5 settembre, Berlino.
Sono in trasferta per IFA quando ricevo la chiamata di un collega: “Ti sta cercando il Museo della Scienza, puoi chiamarli domattina?”.
Beh, certo che posso.
Il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano è il mio museo preferito da almeno due decenni e settembre è il mese di un festival che ho imparato ad amare: Visioni dal Mondo.
Anzi, a dire il vero il nome completo è Festival Internazionale del Documentario Visioni dal Mondo. Un evento magico, fondato e diretto da Francesco Bizzarri con la direzione artistica di Maurizio Nichetti, che per qualche giorno trasforma Milano nella capitale del documentario.
Non sono certo un critico cinematografico ma sicuramente conosco due settori: la tecnologia e i videogiochi.
Ed è in virtù di questa conoscenza che negli ultimi tre anni ho fatto parte della giuria di qualità di una specifica categoria di questo festival: Visioni VR.
Il nome vi dice già tutto questo che dovete sapere: il mondo della realtà virtuale si fonde con quello del documentario. Ad un gruppo di giornalisti e content creator viene quindi chiesto di valutare questa fusione, guardando tutte le opere in gara per poi votare ed eleggere così il vincitore.
L’evoluzione di Visioni VR
La prima volta che ho partecipato non ero del tutto convinta della bontà di questa idea. Mi aspettavo principalmente adattamenti di documentari tradizionali o semplicemente video a 360° che sicuramente avrebbero permesso di decidere cosa guardare e su cosa focalizzarsi ma senza una vera sceneggiatura e senza alcuna interazione.
Per certi versi non mi sbagliavo: non c’era vera interazione ma non potevano nemmeno essere ridotti ad un mero adattamento. Anzi, ricordo ancora Replacements, che ti lasciava immobile, al centro della scena, mentre la città di Giacarta si evolva intorno a te, generazione dopo generazione, anno dopo anno, trasformando la casa di una famiglia indonesiana, che all’inizio sembrava accogliente e carina, in un’abitazione decadente che resisteva a malapena alla rapida costruzione di enormi grattacieli.
E poi c’era Mare Nostrum – The Nightmare, che raccontava in maniera straziante il viaggio del giovane tuareg Atambo verso l’Europa, con il cuore che ti si stringeva per il doloroso addio alla madre e le agghiaccianti condizioni di viaggio.
L’anno dopo è stata la volta di The Man Who Couldn’t Leave, che raccontava la storia di un prigioniero del carcere di Green Island (Taiwan), durante le persecuzioni politiche degli anni ’50. La storia di un uomo che è sopravvissuto a tutto questo, e del suo amico che invece non ce l’ha fatta. Un misto di emozioni che ti facevano vergognare di ciò che la nostra specie può fare ad altri esseri umani.
E poi, dopo aver sperimentato quel dolore, ti ritrovavi dentro JFK Memento, che invece era una ricostruzione storica dell’omicidio di Kennedy che ti immergeva in una “storia” che ha fatto la Storia, mescolando computer grafica, intervista e filmati in maniera incredibilmente curata.
Vi racconto tutto questo perché ripensandoci ho immagini molto vivide di tutti questi documentari ed esperienze VR. Me li ricordo meglio di qualsiasi altro documentario classico io abbia visto nella mia vita. E non è solo per la potenza delle storie raccontate ma anche per il mezzo scelto per farlo.
La realtà virtuale dona un’immersività senza precedenti: sei tu, da solo, con il visore, senza distrazioni. Sei obbligato a seguire la storia. Sei obbligato a focalizzarti su quello che accade. Sei obbligato ad essere un po’ regista.
È quindi un peccato che i documentari VR sia ancora pochi ma è incredibile come, anno dopo anno, Visioni dal Mondo riesca a raccogliere e selezionare esperienze sempre più elaborate, tanto nella tecnica quanto nella narrativa. La voglia di sperimentare quindi c’è, ora manca “solo” un giusto mercato che faccia da trampolino di lancio per questi contenuti. E magari uno standard universale che permetta a opere come queste di essere fruite su qualsiasi visore.
Lou è il vincitore di quest’anno
Lou è stato il secondo documentario che ho visto, seduta nella Virtual Zone del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia, su uno sgabello girevole che è perfetto per godersi la realtà virtuale ma mortale per la schiena di chiunque abbia più di trent’anni.
Ho scritto “documentario” ma non è esattamente così che lo definirei. Lou è una vera e propria esperienza VR, è interattivo. Ed è bellissimo.
Per pochi minuti infatti vestirete i panni di un bambino autistico: Lou.
Non vi attendono incredibili avventure ma solo la quotidianità di un ragazzino che deve imparare a gestire lo stress che gli causa il mondo esterno, che sia la mamma che gli toglie una scatola o il rumore di un corridoio scolastico.
Nella sua semplicità Lou è disarmante, arrivando a farvi immedesimare così tanto da chiedervi “perché questa gente mi fissa? perché non capiscono?”. Pochi minuti cambiano la prospettiva di chi guarda in una maniera che solo la VR può rendere possibile.
E infatti questo è il giudizio della critica che ha accompagnato la premiazione:
“Lou è l’unica storia che non sarebbe potuta essere raccontata con altri mezzi o tecnologia in modo altrettanto efficace: nella sua semplicità visiva e grazie a una struttura narrativa diretta ed immediata, è in grado di generare una forte empatia e di cambiare il punto di vista di chi guarda. Lou rompe quella parete che separa le persone autistiche dal resto del mondo, facendo entrare letteralmente lo spettatore nella loro bolla, permettendogli di immedesimarsi a pieno in ciò che vivono, cogliendone sensazioni e sfumature”.
Se mai ne aveste l’occasione, date una chance a Lou e date una chance a queste esperienze VR. Potrebbero davvero lasciare il segno.
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