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Tricky Traps, ovvero le avventure di una pallina. La macchina del tempo

Chi si ricorda il rumorosissimo gioco elettromeccanico?

In questa rubrica ci divertiamo, augurandoci che voi vi divertiate con noi, a ripescare oggetti tech di qualche decennio fa.

Strumenti, ludici ma non solo, che allora sembravano novità all’avanguardia, ma che oggi fanno sorridere per la loro ingenuità. A testimonianza, superfluo aggiungerlo, di come la tecnologia evolva (e lo faccia a velocità sempre maggiore).

Tuttavia, ciò di cui parliamo oggi si pone come un unicum. Si tratta di un gioco in cui convivevano meccanica ed elettronica. Era un antenato dei videogiochi ma allo stesso tempo un nipotino di certi passatempi di più antica data.

Insomma: come la Coca-Cola o la musica dei Police, è rimasto impossibile da imitare, se non goffamente.

Stiamo parlando di Tricky Traps. Una definizione ci aiuterà meglio a capire l’oggetto in questione, e a spiegarne la sua unicità.

labirinto legno

Tricky Traps

Tricky Traps era un gioco elettromeccanico (e già si va nel difficile). Sì, perché il meccanismo che faceva funzionare il passatempo era elettronico, mentre il contributo del giocatore era semplicemente meccanico. Ora ci arriviamo.

Il gioco consisteva nel far scendere una serie di cinque palline lungo un tremendo labirinto, e farle arrivare tutte sane e salve (o il maggior numero possibile di esse) prima dello scadere del tempo.

Il concetto del gioco era elementare: c’era appunto una manopola del tempo (con i sempreverdi pulsanti Start e Stop), un eloquente pulsante Next ball, e un pulsantone alla base del gioco stesso, da premere per far avanzare la pallina di volta in volta in gioco.

E, dicevamo, le varie difficoltà disseminate lungo il percorso si attivavano per via elettronica. Ma il pulsante che faceva avanzare la pallina da un alloggiamento (chiamiamolo così) all’altro era meccanico, e recava la scritta Push. Premendolo, si sollevava un perno in plastica che faceva avanzare la pallina. O più spesso la faceva finire tragicamente fuori strada, decretando la fine del gioco stesso.

Il percorso accidentato

Come nei migliori romanzi d’avventura, nel Tricky Traps il percorso delle povere palline era impervio. Si dovevano oltrepassare ponti levatoi e ruote dentate, bisognava appendersi a calamite fragilissime e superare altri ostacoli, tra cui temibili piattaforme rotanti. E il tutto per cinque volte. La sensibilità che occorreva per premere il pulsante né troppo forte né troppo piano era virtù rarissima.

La maggior parte dei giocatori crollava psicologicamente, a metà partita dava una manata al pulsante di comando e mandava tutto all’aria (sovente fuor di metafora).

Cenni storici

Il terribile Tricky Traps è stato prodotto a partire dal 1982 da Tomy, e distribuito in Italia da Giochi Preziosi. Anche se la sua massima diffusione, andiamo a memoria, è avvenuta tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta del secolo scorso.

Se ne ignorano il luogo d’origine e l’inventore, ma non la chiara fama. Al punto che ne esiste una versione per smartphone, dal nome originalissimo: TrickyTraps: The Videogame.

Un gioco ibrido

Il fatto che esista un’app per smartphone che ricalca in tutto e per tutto Tricky Traps, ne conferma la natura ibrida di cui dicevamo.

Il gioco anzitutto ricorda, partendo dagli antenati, il labirinto, che ha fatto produrre un’infinità di passatempi, il più prossimo dei quali a Tricky Traps è quel gioco in legno, da comandare con due rotelle, con le quali bisognava guidare una pallina evitando di farla cadere nelle buche presenti lungo il percorso.

Ma la struttura di Tricky Traps riporta alla mente (oltre al flipper) anche alcuni giochi meccanici, soprattutto i water games.

Tuttavia, nella concezione, Tricky Traps è in un certo senso anticipatore dei videogiochi moderni. Con la differenza che l’azione si svolgeva al di là non di uno schermo, bensì di una protezione in plastica.

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Il mito di Tricky Traps

Questa sua unicità è solo il primo degli elementi che hanno decretato il successo di Tricky Traps.

Un successo folgorante ma effimero. Perché, come dicevamo, non si può produrre niente di simile se non… commettendo un plagio.

Ma anche il gioco in sé era a suo modo appassionante. Era stimolato il piacere perverso di rischiare grosso, con quelle palline che, se manovrate con troppa irruenza, finivano fuori pista. Ma che, se stimolate troppo timidamente, restavano quasi immobili.

Alla tensione insostenibile contribuiva poi lo scorrere del tempo. A cui si aggiunge un particolare non trascurabile, che solo chi ha avuto Tricky Traps (tra cui l’estensore di questo articolo) ricorda.

L’aggeggio, una volta iniziata una partita, faceva il rumore di un altoforno. Per cui ci si spicciava a terminare la prova anche per non compromettere in modo definitivo l’udito di tutti i familiari.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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