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Archeotecnologia, i misteriosi meccanismi dell’antichità

Alcuni rivoluzionari, alcuni falsi, alcuni inesistenti, alcuni mal valutati, andiamo a scoprire insieme quali misteriose innovazioni tecnologiche sono apparse nella storia

Si dice che l’uomo sia a conoscenza del solo 1% circa di tutta la sua storia della specie umana. Non c’è da meravigliarsi dunque se ogni tanto spunta una notizia su un rivoluzionario marchingegno datato ai tempi dell’antica Grecia, o il ritrovamento di un oggetto che paradossalmente non rispecchia minimamente l’epoca in cui viene collocato.

È vero, le innovazioni tecnologiche sono sempre organizzate in una meticolosissima classificazione di date; c’è anche da dire però che il fattore fantasia a volte, crea dei progetti talmente innovativi da lanciare l’idea così lontano dal suo contesto storico, che gli avventori di ogni epoca successiva saranno spinti a chiedersi ‘sarà forse vero?’.

Ci si ritrova così davanti ad oggetti misteriosi, dai quali sono ricavabili talmente poche informazioni che li ritrovi costretti a vivere in un eterno limbo a metà tra un’idea all’avanguardia e un falso colossale.

Presenteremo oggi una serie di oggetti misteriosi, una sorta di antichi prototipi di varie invenzioni, reali e non, che possono sembrare più vicine alla nostra epoca rispetto alla data in cui sono stati classificati.

Parleremo di questa piccola branchia della OopArt, nella quale vengono inseriti tutti quegli oggetti che sembrano anomali per la loro epoca. A volte falsi, a volte misteriosi, a volte alcuni oggetti hanno tenuto sulle spine gli archeologi per decenni fino a scoprire che la loro funzione era di natura decisamente più semplice e ragionevole rispetto alle supposizioni iniziali.

Meccanismo di Antikythera

Tecnologia antica

Si tratta del più antico calcolatore matematico conosciuto. Datato tra il 150 e il 100 a.C., il Meccanismo di Antikythera fu ritrovato all’interno di un relitto nautico a 45 metri di profondità al largo dell’isola di Cerigotto (chiamata anche Anticiterra) in Grecia.

Uno dei frammenti principali presentava una specie di ruota da ingranaggio inglobata al suo interno, con la quale si capisce che il meccanismo era decisamente più complesso di quanto appariva. Molti sospettarono si trattasse di un falso, quel marchingegno era troppo complicato per essere considerato al passo con quell’epoca. I misteri sul meccanismo di Antikythera cominciarono a svelarsi nel 1951, quando il professor Derek de Solla Price cominciò ad esaminare minuziosamente ogni pezzo del congegno, riuscendo dopo circa vent’anni a scoprirne il funzionamento originario. Si tratta di un planetario dalla struttura molto sofisticata, con il quale veniva calcolato il sorgere del sole, le fasi lunari, i movimenti dei cinque pianeti allora conosciuti, gli equinozi, i mesi, i giorni della settimana e, con molta probabilità anche le date dei giochi olimpici. Beh, che dire, un calendario estremamente efficiente.

Batteria di Baghdad

Tecnologia antica
Sezione della Batteria di Baghdad

Nel 1938, il tedesco Wilhelm König rimase particolarmente incuriosito da un misterioso manufatto datato tra il 247 a.C. e il 224 d.C., conservato nella collezione del Museo Nazionale Iracheno, per il quale lavorava. Il manufatto in questione era formato da 3 parti ben definite: una giara di terracotta di circa 13 cm e, al suo interno, un cilindro di rame nel quale era inserita una sbarra di ferro. Dopo due anni di studi König stampò un libretto sul quale esponeva la sua teoria: il manufatto poteva essere una cella galvanica per placcare in oro gli oggetti in argento. Naturalmente tale discussione è stata al centro di migliaia di controversie che hanno portato alla luce altre teorie; König stesso, attraverso vari esperimenti di simulazione si convinse sempre di più che il manufatto lavorasse attraverso la conduzione elettrica. Fu Willard Gray che, dopo la seconda Guerra Mondiale, dimostrò che il manufatto produceva corrente elettrica se riempito con succo d’uva, ipotizzando che potesse trattarsi di una vera e propria batteria. Le controversie rimasero indissolubili, sia nei confronti della scuola di pensiero ‘cella galvanica’, e ancor più nei confronti della scuola di pensiero ‘batteria’.

Nel 2005 nel programma televisivo MythBusters riprodussero e collegarono assieme 10 Batterie di Baghdad e, riempiendole di succo di limone, riuscirono a generare una tensione continua di 4 volt. Da qui il mistero sulle Batterie di Baghdad tramutò da ‘cos’è questo manufatto?’ a ‘a cosa servivano queste batterie?’. La trasmissione valutò tre possibili risposte: galvanizzazione, uso medico (per l’utilizzo di elettro-agopuntura) ed esperienza religiosa (se la scossa avesse attraversato il corpo di qualsiasi fedele di quel tempo, totalmente ignaro delle basi della fisica, ci avrebbe messo poco ad essere scambiata per un’esperienza mistica). Dunque, nonostante la risoluzione dell’enigma, il loro utilizzo rimane ancora un mistero.

Jet d’oro precolombiani

All’inizio del ‘900 fu ritrovata una tomba della civiltà precolombiana risalente al 500 d.C. conosciuta come Quimbaya. Al suo interno furono scoperti nel corredo funebre, circa 100 piccole statuette che rappresentavano varie tipologie di animali: insetti, pesci, uccelli, lucertole, pipistrelli, rane e gatti. Tra queste statuine ce ne sono quasi una ventina che molti pseudo scienziati hanno riconosciuto come moderni aerei da combattimento; Infatti secondo alcuni di loro, i monili presenterebbero degli elementi analoghi alle strutture tipiche dei jet, come le ali rigide e piatte a delta, situate nella sezione inferiore della struttura (e non in alto, come dovrebbe essere per gli insetti o gli uccelli), e la coda, dotata di deriva e stabilizzatore.

Questa ventina di monili furono subito ribattezzati con il nome di Jet d’oro precolombiani. Della lunghezza che va dai 2 ai 5 cm, i jet d’oro precolombiani vengono considerati in forte connessione alla Teoria degli antichi astronauti (La teoria che ipotizza il contatto delle civiltà antiche del mondo con forme di comunità extraterrestre).

Naturalmente per molti studiosi è una teoria assolutamente errata, considerando che gli antichi artisti della civiltà di Quimbaya tendevano a rappresentare gli animali totalmente al di fuori degli elementi stilistici che caratterizzano il loro aspetto reale. Ciò non toglie che la loro forma rimanga comunque un mistero.

 

Il Turco

Il Turco fu creato nel 1769 da Wolfgang von Kemplen per Maria Teresa d’Austria; esso era un automa con un meccanismo molto sofisticato che gli permetteva di simulare un giocatore di scacchi e poter sfidare così persone reali. Aveva l’aspetto e il vestiario di un uomo mediorientale, con tanto di turbante, e collegato a un grosso scatolone, con una scacchiera in superficie, pieno di meccanismi e rotelline, e alcuni sportelli consentivano di vedere l’interno della macchina prima di far cominciare la partita. Il Turco si comportava come un vero giocatore, analizzava le mosse e muoveva di conseguenza, prendendo il pezzo di scacchi interessato con il braccio artificiale. Tutti rimasero colpiti da questa meravigliosa innovazione tecnologica, senza che nessuno si rese conto che in realtà si trattava di un imbroglio, essendo manovrato da un giocatore umano: all’interno dei vari sportelli che venivano aperti prima della partita, gli ingranaggi prendevano solo una parte dello spazio, lasciando così il giusto spazio per poterci nascondere una persona di bassa statura che, attraverso dei magneti, poteva vedere il movimento di pezzi dell’avversiario nella scacchiera sopra di lui, e rispondere alla mossa comandando il braccio del manichino per spostare i pezzi. Affinchè l’assistente truffaldino potesse vedere all’interno del vano, era provvisto di una candela, il cui fumo usciva dal turbante del Turco. Per destare qualsiasi dubbio degli spettatori, il presentatore accendeva due candelabri accanto alla scacchiera, con la scusa di illuminarla meglio, andando così a dissimulare il fumo della candela nascosta. La macchina ebbe un successo mondiale e, in una delle città americane dove si esibì, fu persino analizzata da Edgar Allan Poe, che ne scrisse il racconto ‘Von Kempelen e la sua invenzione’. Nonostante la certezza della frode, nessuno potè mai svelare il suo mistero, in quanto fu distrutto in un incendio nel 1854.

Lampade di Dendera

Nel 1857 l’archeologo francese Auguste Mariette, scoprì all’interno del Tempio di Hator e Dendera, in Egitto, una serie di ampie cripte risalenti al XV secolo a.C.; le pareti di queste stanze erano ricoperte di lastre di pietra in cui erano scolpiti vari bassorilievi con geroglifici molto particolari. Secondo alcuni studiosi, le raffigurazioni della stanza rappresenterebbero una sorta di antiche lampade ad incandescenza, secondo altri invece, rappresentavano antichi tubi di Crockes (apparecchi in grado di emettere radiazioni, precursori del tubo catodico e costruiti inizialmente per studiare gli effetti della luminescenza del fosforo); naturalmente un’invenzione del genere è considerata nettamente più vicino alla nostra epoca che a quella con cui sono stati datati i bassorilievi. Molti egittologi cercarono di interpretare il significato di quei simboli, riuscendo a dare un’ipotetica risposta legata a uno degli elementi di mitologia egiziana più conosciuti: il serpente primordiale che nasce da un fiore di loto. In questo caso, secondo alcuni studiosi, ‘Il gambo del fiore di loto è stato interpretato come un cavo elettrico di alimentazione; un sostegno che rappresenta parte della colonna dorsale del dio Osiride, verrebbe invece interpretato come un avvolgimento elettrico e dei serpenti raffigurerebbero le serpentine che si trovano all’interno dei tubi di Crookes’. Nonostante la loro rappresentazione la si possa meglio accostare al serpente primordiale, il loro significato rimane sempre un mistero, messo ancora più in discussione dalla presenza nel bassorilievo di due Djed, misteriosi oggetti di culto trovati in tantissimi bassorilievi egizi, la cui funzione è ancora incerta e dibattuta; secondo varie teorie infatti, i due Djed, uniti alle presunte lampade a incandescenza, svolgerebbero la funzione dei moderni isolatori elettrici.

Disco di Scisto

Questo disco è stato considerato un misterioso oggetto di tecnologia archeologica per tantissimi anni, finchè non si resero conto che la sua funzione era molto più semplice di quanto gli studiosi credessero. Rinvenuto nel 1936 all’interno della tomba del principe Sabu, a Saqqara, in Egitto, il disco di Scisto è un manufatto circolare dal diametro di circa 61 cm, che al suo centro presenta delle pale ricurve simili ad un’elica e un foro che sembrerebbe destinato a fare da punto di collegamento con un asse. Per anni gli storici e gli studiosi si convinsero che l’oggetto fosse il componente di un antico, misterioso ed avanzatissimo dispositivo. Dopo anni e anni di mistero, grazie ad alcuni ritrovamenti simili, l’ipotesi più plausibile è che il disco di Scisto fosse semplicemente una lampada ad olio: il centro verrebbe riempito di olio e, sulle ‘eliche’, venivano disposti sei stoppini, di modo che il lato esterno della cordicella bruciasse, mentre la parte interna rimanesse immersa nell’olio. Una risposta più semplice di quel che credevano insomma; D’altronde, come diceva Conan Doyle ‘Il mondo è pieno di cose ovvie che nessuno si prende mai la cura di osservare’.

Tecnologia moderna nei geroglifici di Abido

Come abbiamo detto all’inizio, oltre a reali innovazioni, l’universo archeotecnologico è costellato anche da miriadi di valutazioni errate; ne sono l’esempio per eccellenza alcuni geroglifici ritrovati nella città di Abido, in Egitto. Le origini di questa città si perdono nella preistoria, sembra infatti che durante il periodo predinastico d’Egitto (3900 a.C.), la città esistesse già. All’interno del suo sito archeologico sono stati ritrovati alcuni geroglifici che inizialmente sono stati interpretati come immagini raffiguranti mezzi tecnologici moderni. Le incisioni infatti sono state spesso confuse con un elicottero, un carrarmato, un sottomarino o aeroplano. La risposta alla nostra interpretazione moderna a questi geroglifici, la possiamo trovare in 2 fattori: la casualità e la pareidolia.

Casualità in quanto il santuario i cui sono stati trovati, è stato cominciato dal faraone Seti, per poi essere concluso dal figlio Ramesse II, che modificò alcune incisioni, tra cui i geroglifici in questione; di conseguenza il caso ha fatto sì che le due iscrizioni sovrapposte dessero una forma simile a quella mezzi moderni. La Pareidolia invece è quel fenomeno psicologico che ci permette di riconoscere volti o forme all’interno di composizioni casuali.

Ancelle d’oro di Efesto

È affascinante notare come l’uomo, abbia sempre avuto radicata nella sua immaginazione, l’idea di costruire macchine complesse. D’altronde non è solo la fantasia che si nutre della realtà, ma anche viceversa. Esempio lampante di questa caratteristica umana: le ancelle d’oro di Efesto.

Nella mitologia greca, Efesto è il Dio del Fuoco (Vulcano in quella romana). Pioniere di mitiche invenzioni, egli è il personale fabbricante di fulmini di Zeus, costruttore di armi avanzate e creatore dell’indistruttibile scudo di Achille. Nella sua fucina Efesto si costruì alcune ancelle d’oro per aiutarlo con il suo lavoro, che non hanno nulla da invidiare ai concetti moderni che abbiamo del robot: assomiglianti a ‘giovinette vive’, con una morfologia apparentemente identica a quella umana, molto forti per poter effettuare i lavori pesanti, e progettate di modo che potessero apprendere dagli Dei. Insomma, dei veri e propri automi come li intendiamo ancora oggi.

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Enrico Natalini

il suo DNA è composto al 100% di cultura trash e underground. Che siano libri, film, fumetti, serie tv, spettacoli teatrali, mostre o televendite è un segugio per tutte quelle chicche che sopravvivono all'insaputa del mainstream. Di lui dicono che è come un cartone animato, non ha capito bene se sia un complimento o meno, ma a lui piace.

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