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The Midnight Club: com’è la nuova serie di Mike Flanagan

La prima stagione di The Midnight Club è disponibile su Netflix.

Al centro della poetica di Mike Flanagan c’è indubbiamente il delicato e ambiguo passaggio fra la vita e la morte. Un tema fondamentale per le sue acclamate serie Netflix The Haunting of Hill House e The Haunting of Bly Manor, prodigiose storie di fantasmi del passato che si incrociano con il presente, e anche per la successiva Midnight Mass, in cui l’approssimarsi della morte e della fine diventa vero e proprio motore narrativo. Ma i segni dell’indissolubile rapporto di Flanagan con la morte si ritrovano anche nel suo cinema, come in Doctor Sleep, sontuoso omaggio a una delle più raggelanti storie di fantasmi mai raccontate su carta e sullo schermo, e persino ne Il gioco di Gerald, in cui la protagonista vive un’esperienza vicina alla morte. Scontato dunque ritrovare la morte anche in The Midnight Club, nuova serie Netflix da lui creata insieme a Leah Fong.

Rispetto ai progetti per adulti precedentemente citati, Mike Flanagan opta in questo caso per un deciso cambio di target, traendo spunto dall’omonimo romanzo per ragazzi di Christopher Pike per dare vita a una serie young adult horror in 10 episodi, capace di racchiudere molte delle sue ossessioni. Prima di tutto, ancora il passaggio fra la vita e la morte, in questo caso drammatico e doloroso: i protagonisti sono infatti 8 ragazzi che condividono un triste destino, ovvero una malattia terminale destinata a strapparli troppo presto alla vita e all’affetto dei loro cari. Ma l’ospizio Brightcliffe in cui dimorano è al tempo stesso un chiaro rimando al gotico tanto caro a Flanagan: un vero e proprio castello stregato, in cui le storie di chi ha preceduto i protagonisti si incrociano con i misteri della struttura e con un’atmosfera torbida e sinistra.

The Midnight Club: piccoli brividi fra la vita e la morte

The Midnight Club

Su queste solide basi, Mike Flanagan e Leah Fong danno vita a una struttura per certi versi antologica (brillantemente esplorata da Flanagan nel già citato The Haunting), dal momento che i protagonisti sono anche i membri del The Midnight Club, cioè un ritrovo fisso in un’ampia stanza del Brightcliffe volto a raccontare e condividere storie spaventose. Questa dinamica meta-narrativa non è solo un chiaro rimando al florido filone dell’horror per ragazzi di cui Piccoli brividi è il più celebre esponente, ma permette ai creatori della serie di scandagliare l’animo dei protagonisti, che proiettano chiaramente le loro personalità, i loro traumi, i loro rimpianti e i loro desideri nelle storie che raccontano ai coetanei.

In questa sorta di Decamerone in salsa horror seriale, si vengono dunque a creare due binari narrativi: uno costituito dagli stessi racconti dei protagonisti, che spaziano dal brivido alla fantascienza, componendo un intricato puzzle di emozioni ed esperienze e portando alla luce temi importanti come l’emarginazione e l’accettazione della propria sessualità; l’altro composto da ciò che accade realmente nel Brightcliffe, a partire dalla sua misteriosa storia, passando per i rapporti fra i suoi attuali ospiti (fra i quali spicca Ilonka, cuore di The Midnight Club) e arrivando a un forte elemento soprannaturale, rappresentato da una delle poche regole del gruppo, secondo cui il primo membro deceduto deve cercare di mettersi in contatto dall’aldilà con gli altri componenti del club.

Un cast poco ispirato

The Midnight Club

Mentre nei suoi precedenti progetti Mike Flanagan è riuscito brillantemente a coniugare una forte componente umana con il paranormale e l’occulto, nonostante un minutaggio importante (i 10 episodi sono tutti lunghi poco meno di un’ora) The Midnight Club fatica a trovare una sintesi fra la componente prettamente horror, i vari racconti proposti e il dramma dei protagonisti, che devono tutti fare i conti con il loro imminente decesso. Proprio il modo di approcciarsi alla malattia terminale è il limite più evidente della serie, che ondeggia fra toni melodrammatici a tratti forzati e il cinismo e la collera di Anya (il personaggio più riuscito), senza mai riuscire a fornire allo spettatore le basi per entrare in empatia con i protagonisti.

Emblematico (e per certi versi coerente) il fatto che i momenti più validi di The Midnight Club non arrivino dal piano “reale” del racconto ma dalle storie ai confini della realtà dei ragazzi, spesso rivelatrici della personalità e delle paure della voce narrante. In questi scorci di umanità e creatività c’è il meglio di Mike Flanagan, che non riesce invece a costruire una trama portante capace di sostenere adeguatamente le sue notevoli diramazioni. Non aiuta alla resa generale un cast poco ispirato e complessivamente privo di carisma (con l’eccezione dell’ottima Ruth Codd): la partecipazione di Heather Langenkamp (l’indimenticabile Nancy di Nightmare – Dal profondo della notte) non basta a risollevare un insieme lontano anni luce sia dall’intensità dei protagonisti di The Haunting, sia dalla capacità di bucare lo schermo dei giovani interpreti di Stranger Things.

The Midnight Club: un progetto interlocutorio di Mike Flanagan

Un finale di stagione abborracciato, e ancora una volta poco incisivo per le drammatiche esistenze dei protagonisti, lascia aperta la porta per un più che probabile secondo ciclo di episodi, che sarà necessariamente chiamato ad approfondire la storia e i segreti del Brightcliffe. Ciò che resta al momento è un progetto sicuramente superiore alla media, a cui va riconosciuto il merito di mettere al centro del dibattito culturale i giovani e i loro problemi. Inevitabile però pensare che The Midnight Club sia per Mike Flanagan un passaggio interlocutorio e non totalmente riuscito, collocato fra i successi di The Haunting e la terza attesissima stagione di questa serie antologica, in cui si confronterà con un maestro della letteratura fantastica come Edgar Allan Poe e con il suo capolavoro La caduta della casa degli Usher.

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