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Il conformista di Bernardo Bertolucci – Il filo nascosto

Per il nuovo appuntamento con Il filo nascosto, parliamo di un vero e proprio capolavoro di Bernardo Bertolucci.

C’è un sottile legame fra tutti i regimi totalitari, che permette ai dittatori di sfruttare al meglio le loro posizioni estreme e la loro propaganda, ovvero l’irresistibile tentazione all’omologazione al pensiero dominante, capace di trasformare gli oppressi in vero e proprio braccio armato del potere. Una dinamica egregiamente sviluppata da Bernardo Bertolucci ne Il conformista, straordinario lavoro del maestro emiliano liberamente tratta dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia. Un’opera dolorosa e struggente, avvolta in un’atmosfera rarefatta sapientemente orchestrata dallo stesso regista e dal direttore della fotografia Vittorio Storaro, che fra il quartiere romano dell’EUR e una suggestiva Parigi tratteggiano un ritratto preciso e pungente dell’Italia fascista.

Rimaniamo dunque nello stesso 1970 di Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca), precedente appuntamento con la nostra rubrica Il filo nascosto, per un altro racconto che scava fra le pieghe della storia del nostro Paese, parlando del ventennio fascista ma allo stesso tempo dell’Italia dell’epoca, da poco entrata nei famigerati anni di piombo. Protagonista de Il conformista è Marcello Clerici (un perfetto Jean-Louis Trintignant), docente e fervente fascista che accetta da parte della polizia segreta l’incarico di uccidere il suo professore e mentore Luca Quadri, dissidente politico fuggito a Parigi. L’uomo sfrutta il viaggio di nozze con la moglie Giulia (Stefania Sandrelli) per dirigersi nella capitale francese e mettersi in contatto con la potenziale vittima.

Giunto sul posto, Marcello subisce il fascino della moglie del professore Anna (Dominique Sanda), precipitando in un vortice di ossessioni, fantasmi del passato e contrasti fra la sua natura e la sua immagine pubblica.

Il conformista: l’omologazione, la meschinità e l’indifferenza dell’Italia fascista

Nel pieno della sua maturità artistica (il successo planetario di Ultimo tango a Parigi arriverà appena due anni dopo), Bernardo Bertolucci riversa ne Il conformista tutte le direttrici del suo cinema: la passione per il cinema francese e in particolare per Jean-Luc Godard (il numero di telefono e l’indirizzo del maestro del protagonista coincidono con quelli del regista francese, dichiarato punto di riferimento del cineasta italiano), la riflessione politica, un erotismo pulsante e vitale, l’omosessualità e la stessa Parigi, ineludibile approdo del suo immaginario. Ma Il conformista è soprattutto un viaggio tortuoso e frastagliato nella psicologia del protagonista, che ha un preciso punto di inizio, ovvero l’abuso sessuale subito da bambino dall’autista di famiglia Lino, terminato (almeno secondo Marcello) con l’assassinio del molestatore.

Da fine indagatore dell’animo umano e delle ricadute dei traumi dell’infanzia sulla crescita, Bertolucci utilizza il breve flashback incentrato su questo episodio come base di appoggio per l’analisi della tormentata psiche di Marcello. Qui avviene la decisiva frattura fra la sua essenza, rappresentata da un’omosessualità sempre negata, e la volontà di sovrapporla a ciò che ci si aspetta da lui.

Un’attitudine sintetizzata dal suo migliore amico, personaggio creato dallo stesso Bertolucci che emblematicamente è cieco e si chiama Italo: «Per me un uomo normale è quello che si volta per la strada per guardare il sedere di una bella donna che passa e scopre che non è il solo ad essersi voltato. E ce ne sono almeno cinque o sei. Ed è contento se scopre gente uguale a lui. I suoi simili. Perciò gli piacciono le spiagge affollate, le partite di football, i bar del centro… Ama quelli che sono come lui. E diffida di quelli che sente diversi. Per questo l’uomo normale è un vero fratello, un vero cittadino, un vero patriota».

La psicologia del protagonista

I personaggi che ruotano intorno a Marcello riflettono precisi lati della sua personalità. La madre oppiomane, con la quale vive un evidente complesso di Edipo, e un padre fervente fascista, violento e ormai definitivamente impazzito rappresentano il cordone ombelicale con una borghesia marcia e corrotta, sempre pronta a cavalcare l’onda del momento per resistere alle epoche e ai mutamenti sociali. La stessa moglie Giulia, doverosa stella sul petto per la società, lo disgusta per la sua scarsa cultura e per la sua stupidità, ma si rivela ben più anticonformista di lui, dal momento che confessa candidamente di essere arrivata all’altare non più vergine e di aver intrattenuto una relazione con un uomo molto più grande di lei, per poi subire a sua volta l’ambiguo fascino di Anna Quadri.

Non è un caso che proprio quest’ultima, evidentemente bisessuale, sia la figura su cui Marcello riversa la sua tentazione di dominare ed essere contemporaneamente dominato, come è emblematica la scelta dello stesso Bertolucci, che utilizza l’ammaliante volto di Dominique Sanda non solo per Anna Quadri, ma anche per l’amante di un ministro e per una prostituta incontrata al confine, sottolineando così l’irresistibile tentazione di Marcello per ciò su cui in pubblico getta odio. Altrettanto fondamentale è proprio Luca Quadri, una sorta di padre putativo per il protagonista, capace di simboleggiare sia la sua attrazione per l’ambiente culturale sia un’altra frangia della borghesia, che di fronte all’incubo a occhi aperti del fascismo preferisce la fuga a una strenua resistenza sul campo.

Il conformista e il mito della caverna di Platone

Il conformista

Proprio a un dialogo fra Marcello e Luca Quadri è affidata una delle più straordinarie riletture del mito della caverna di Platone mai viste sul grande schermo. In un sontuoso contrasto fra luci e ombre, che Storaro utilizza come perfetto accompagnamento del lato più sinistro e respingente del protagonista, i due utilizzano questa potente allegoria per rappresentare l’Italia dell’epoca e lo stesso Marcello: entrambi intenti a guardare i riflessi delle cose e ormai incapaci di distinguere la realtà dalle ombre proiettate sulle pareti della caverna dal regime e dal loro bieco conformismo. Un’immagine resa ancora più poderosa e suggestiva dal fatto che a parteciparvi siamo anche noi spettatori, coinvolti nella più efficace rappresentazione artistica del mito della caverna, ovvero il cinema stesso.

Essenziali per la resa de Il conformista sono la fotografia del già citato Vittorio Storaro e le scenografie di Ferdinando Scarfiotti, che incarnano l’alienazione e la conflittualità interiore del protagonista. Con le sue geometrie massicce e squadrate, risalenti proprio all’epoca fascista, l’EUR è la perfetta ambientazione del percorso del protagonista, letteralmente circondato da architetture dominanti da cui sembra quasi schiacciato. Memorabili poi gli interni, che riprendono le suggestioni metafisiche di De Chirico proponendo un essere umano piccolo e solitario, circondato da spazi enormi e semivuoti, simbolo di un’empatia sempre più rara e di una collettività prossima allo sfascio. Doverosa poi una menzione alle musiche di Georges Delerue (già collaboratore di Godard e François Truffaut): armoniose e delicate nelle sequenze più raffinate, angoscianti nei momenti più tesi, come quello dell’agguato ai coniugi Quadri.

Una feroce critica alla borghesia

Il conformista

Il conformista è attraversato da una moltitudine di ricercate soluzioni visive di Bertolucci, appassionato seguace dell’immagine. È questo il caso del memorabile incipit, in cui le luci al neon che omaggiano il documentario del 1936 La vita è nostra, commissionato dal Partito Comunista Francese, si fondono con la fotografia superbamente virata al rosso che circonda il protagonista, ma anche del contrasto fra i chiaroscuri che accompagnano la parabola romana di Marcello e una Parigi avvolta da un magico e intenso blu. Innumerevoli poi i riferimenti alla doppiezza morale del protagonista, spesso mostrato attraverso dei vetri o con la sua stessa immagine riflessa nello specchio, a ribadire il fatto che Marcello non è altro che la somma di molteplici menzognere proiezioni.

Attraverso una feroce critica alla borghesia, Il conformista mette in luce il terreno fertile che il fascismo ha trovato sul suo percorso e si propone come una delle più lucide e puntuali riflessioni su questo periodo buio della storia italiana. La complessa struttura narrativa orchestrata da Bertolucci, scandita da frequenti salti avanti e indietro nel tempo, trova la sua conclusione con un’ardita ellissi temporale, che ci porta fino al 25 luglio 1943 e alla caduta del regime fascista. Mentre sulle strade si celebra la fine della dittatura e inizia l’aspra e crudele resa dei conti fra le diverse fazioni in campo, Marcello incontra casualmente il redivivo Lino, evidentemente sopravvissuto all’incontro con il protagonista di diversi anni prima.

Il finale de Il conformista

Il conformista

A cadere non è solo il fascismo, ma anche l’insieme di maschere di Marcello, che assiste al crollo di tutte le sue certezze. Crolla il sistema a cui si è conformato, ma anche la miccia che ha acceso una vita passata nella menzogna e nel rifiuto di una parte della sua personalità. Da ideale simbolo della borghesia qual è, a Marcello non resta che un ultimo atto di codardia e squallore, cioè scaricare su Lino e addirittura sull’amico Italo tutte le colpe di cui si è macchiato, inclusa la collaborazione per l’assassinio di Luca e Anna Quadri.

Un gesto di opportunismo e trasformismo simbolo di un’intera nazione, passata in un battito di ciglia dall’appoggio al contrasto a un regime. Ma l’anima non si può camuffare per sempre: un ultimo sguardo verso il corpo nudo dell’amante di Lino è al tempo stesso una splendida irruzione del vero nel falso e la spietata punizione per il più conformista dei conformisti.

Il conformista

Una decina d’anni fa mio padre era a Monaco. Mi ha raccontato che spesso la sera dopo il teatro andava con gli amici in una birreria e c’era uno squilibrato, un po’ buffo, che parlava di politica. Era diventato un’attrazione. Gli pagavano da bere, lo eccitavano e lui saliva su un tavolo e faceva dei discorsi da pazzo furioso. Era Hitler.

Il filo nascosto nasce con l’intento di ripercorrere la storia del cinema nel modo più libero e semplice possibile. Ogni settimana un film diverso di qualsiasi genere, epoca e nazionalità, collegato al precedente da un dettaglio. Tematiche, anno di distribuzione, regista, protagonista, ambientazione: l’unico limite è la fantasia, il faro che ci guida è l’amore per il cinema. I film si parlano, noi ascoltiamo i loro dialoghi.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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