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Cosa sta succedendo al clima della Terra? Ecco il rapporto Onu

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cambiamento climatico

Prima il caldo record e gli incendi in Canada, iniziati a cavallo tra giugno e luglio: temperature vicine ai 50 °C, circa 500 morti e una superficie di 500mila ettari bruciata.

Poi le inondazioni in Germania e Belgio a metà luglio: oltre 180 morti e 1500 dispersi. E quelle successive in Cina.

Adesso gli incendi in Grecia ma anche in Algeria, Turchia e in California, con un bilancio provvisorio di centinaia di morti.

È evidente a tutti che non può trattarsi di fenomeni isolati, ma dei tragici riverberi di un cambiamento climatico sempre più grave, che porta a un intensificarsi di fenomeni meteorologici estremi.

Proprio questi eventi estremi sono stati indagati da un recente report dell’Onu. Ma partiamo da una mappa.

Il cambiamento climatico: la mappa della Nasa

Spesso le immagini arrivano in modo più diretto e dicono di più, e meglio, di un gran numero di dati.

L’immagine pubblicata dalla Fire Information for Resource Management System della Nasa è eloquente: mostra tutte le zone della Terra attualmente colpite da roghi. Grecia, Sud Italia, Turchia, Algeria, Stati Uniti (California ma anche Siberia), Amazzonia e Africa (soprattutto Zambia, Angola, Malawi, Madagascar e Repubblica democratica del Congo).

Cosa sta succedendo al nostro pianeta? Ce lo spiegano i due recenti report dell’Onu e dell’Effis.

Il report di Effis

Prima di addentrarci nello studio dell’Onu, vediamo qualche numero fornitoci di Effis, sigla dell’European Forest Fire Information System, il programma europeo di monitoraggio degli incendi.

Ebbene: dallo scorso 29 luglio a oggi in Grecia sono bruciati quasi 94mila ettari di territorio. Qualcosa come lo 0,7 per cento dell’intero territorio del Paese è andato in fumo in meno di due settimane. La media annuale tra il 2008 e il 2020 è stata di 9.147 ettari bruciati: oltre dieci volte meno.

Il caso della Grecia può valere come paradigma dell’allarme globale legato al cambiamento climatico, che non può più essere ignorato.

Il report dell’Onu

È stato pubblicato lunedì 9 agosto il sesto rapporto sul cambiamento climatico a cura dell’Ipcc, l’Intergovernmental Panel on Climate Change, ente inter-governamentale delle Nazioni Unite.

Si tratta di un lavoro basato sull’analisi di oltre 14mila studi accademici ed è stato approvato da 195 governi di tutto il mondo.

Le parole adoperate nel report fanno tremare. I grandi cambiamenti del clima sono definiti “irreversibili”. Più nello specifico, leggiamo che “molti di questi cambiamenti climatici sono senza precedenti in migliaia, se non centinaia di migliaia di anni, e alcuni tra quelli che sono già in atto, come il continuo aumento del livello del mare, sono irreversibili in centinaia o migliaia di anni”.

L’aumento della temperatura media del pianeta di 1,5 °C è previsto entro il 2030, dunque dieci anni in anticipo rispetto ai precedenti pronostici.

L’aumento delle temperature nel decennio 2011-2020 è stata di 1,09 °C superiore rispetto a quella del cinquantennio 1850-1900.

E a proposito di temperature, proprio ieri A Siracusa, nei pressi del comune di Floridia, il termometro ha rsegnato 48,8 °C. Ovvero il picco più alto mai registrata in Europa.

Più numeri si guardano, più cresce lo sconforto: da 2000 anni non si registrava un aumento delle temperature altrettanto rapido, e da 6500 anni non avevamo temperature tanto elevate. Per non parlare degli Oceani, mai così acidi da 2 milioni di anni.

A questo punto un’inquietante domanda è in agguato: è tutto perduto?

Le possibilità di intervento

Se l’innalzamento del livello del mare sembra ormai irrimediabilmente fuori controllo, ci sono altri ambiti in cui possiamo ancora intervenire. Come? In poche parole, frenando le gravi cause antropogeniche (cioè derivanti dall’uomo) di questo disastro climatico in corso.

Ci stiamo riferendo in particolar modo alle emissioni di CO2 e di metano. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, non ha usato mezzi termini al riguardo: i dati del report dell’Ipcc “devono suonare una campana a morto per il carbone e i combustibili fossili, prima che distruggano il nostro pianeta”.

Ma per mantenere l’innalzamento delle temperature sotto gli 1,5 °C, tetto massimo fissato nel 2015 dagli Accordi di Parigi, è necessario giovarsi di “riduzioni immediate, rapide e su larga scala”.

Lo ha confermato in un’intervista ai colleghi del Corriere della Sera Claudia Tebaldi, una delle autrici del report, climatologa del Pacific Northwest National Laboratory.

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Le parole di Claudia Tebaldi

La climatologa spiega al Corriere che gli eventi estremi così intensi erano stati previsti. E che “gli estremi esisterebbero anche senza il riscaldamento terrestre provocato dall’uomo, che però li rende più frequenti, probabili e lunghi.”

E alla domanda sulla reversibilità o meno di questi fenomeni, Tebaldi risponde con queste parole: “Viaggiano in tandem con il riscaldamento globale. Se lo fermiamo o almeno limitiamo, ciò si rifletterà abbastanza rapidamente su questo tipo di fenomeni. Mentre per altri eventi, come lo scioglimento dei ghiacci o l’innalzamento dei mari, il risultato si vedrebbe soltanto dopo diversi decenni.

D’altra parte si ipotizza che lo sviluppo tecnologico permetterà di riassorbire parte dei gas serra già concentrati in atmosfera e questo provocherebbe un raffreddamento globale e una minore probabilità di eventi estremi”.

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