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Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta | Recensione

Dopo innumerevoli ore di gioco ecco le nostre impressioni sul ritorno del capostipite dei JRPG

Il gioco di ruolo giapponese, come lo conosciamo, oggi ha un’origine comune chiamata Dragon Quest. Questa serie, nata nel 1986 dalla mente di Yuji Horii, ha subito conquistato il pubblico nipponico, influenzando poi tutto quello che è venuto dopo, compresa la tanto amata saga di Final Fantasy.

Se in Occidente la serie ai tempi creata da Square ha conquistato la grande maggioranza di fan, in Giappone, patria del JRPG o gioco di ruolo alla giapponese, la situazione è ben diversa, infatti Dragon Quest è quasi una religione, tanto che a ogni uscita di un titolo nuovo della saga molta gente prende addirittura delle ferie per giocarlo, cosa che per gli ideali lavorativi giapponesi è davvero fuori da ogni schema.

Questo per farvi capire quanto questo gioco sia venerato in Giappone, motivo per cui dal 1986 a oggi i cambiamenti apportati al gameplay sono stati sempre ridotti al minimo indispensabile, rendendo la saga, ancora oggi, fedele alle sue origini, a differenza ad esempio di Final Fantasy, che ha sempre cercato di rinnovarsi in ogni nuovo capitolo.

Uscito l’anno scorso in Giappone e arrivato quest’anno in Occidente, Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta non fa eccezione, anch’esso è infatti rimasto legato alle sue radici, ma il fatto che finalmente sia uscito su una console ammiraglia e non su di una portatile – l’ultimo capitolo ufficiale su una console fissa è stato l’8 su PS2, se escludiamo il decimo capitolo che era invece un MMORPG – riesce a dare una nuova dimensione alla sua rinomata formula.

Dragon Quest XI: il classico che non invecchia

La componente narrativa di Dragon Quest è sempre stata molto in stile fantasy classico, con draghi da sconfiggere, principesse da salvare e signori dei demoni che minacciano il mondo intero, ma con picchi di originalità in diversi capitoli. Ad esempio, nel quarto capitolo era possibile giocare una sorta di prologo con i membri del party così da conoscerli meglio prima di riunirli in un unico gruppo, oppure nel quinto capitolo era invece possibile scegliere una sposa con cui poi avere dei figli che sarebbero diventati i nostri successivi personaggi. Questi colpi di genio ideati da Yuji Horii hanno sempre dato una marcia in più a una storia piuttosto semplice e lineare.

L’undicesimo capitolo non si discosta troppo da quanto vi abbiamo detto: la storia inizia con una madre che mette in salvo il suo bambino prima di essere uccisa, per poi scoprire che quel bambino diventerà il nostro protagonista, la reincarnazione del Lucente, un eroe leggendario che si manifesta quando il mondo è minacciato dal Signore Oscuro, quel Maoh (in giapponese re dei demoni) da sempre incarnazione del nemico da battere in ogni Dragon Quest.

La narrazione, dunque, non è nulla di troppo complesso, ma riesce comunque a regalarci dei momenti davvero interessanti, con dei plot twist inaspettati e ben studiati. La marcia in più è data al racconto dalle nuove tecnologie, che riescono ad aggiungere un pizzico di tocco cinematografico alle varie scene cui assisteremo, coinvolgendoci maggiormente nelle vicende.

Il meglio di Dragon Quest XI riguarda però i personaggi, soprattutto i comprimari, tutti e sei caratterizzati bene, con le loro storie e sotto-trame che andranno ad arricchire le vicende narrate e ad approfondire la nostra conoscenza degli stessi; questo ci porterà inevitabilmente ad affezionarci ai nostri compagni di viaggio e a noi n particolare è piaciuta Jade, per il suo carisma e il suo coraggio.

Purtroppo la saga resta ancora ferma sul protagonista muto, che nel 2018 inizia a essere un po’ anacronistico. Anche se il suo ruolo dovrebbe essere quello di rappresentare il giocatore, senza nessuna grossa opzione di dialogo o di morale, nello stile di Mass Effect per intenderci, sembrerà di giocare con una bambola vuota in balia degli eventi. Si spera che la saga decida di cambiare prima o poi quest’approccio obsoleto nei confronti del protagonista, o che almeno lo evolva dando al giocatore una concreta possibilità di interpretarlo.

Il design come al solito è lasciato nelle mani del leggendario Akira Toriyama, papà di Dragon Ball che è a bordo del progetto Dragon Quest sin dal primissimo capitolo. Un Dragon Quest senza il suo design non sarebbe un Dragon Quest, e questa volta il mangaka si è impegnato molto per evitare che i personaggi sembrassero troppo dei cloni di figure prese da altre sue opere.

Anche il mondo di gioco è molto suggestivo e ogni città ha un tema diverso che la caratterizza, come la bella Gondolia, chiaramente ispirata a Venezia.

La parte narrativa di Dragon Quest XI riesce a essere affascinante e coinvolgente nonostante resti nei classici canoni del fantasy, con dei personaggi ben riusciti e un’ambientazione realizzata ottimamente.

Il Gameplay di una volta

Giocare all’undicesimo capitolo di quest’epopea suscita dei sentimenti contrastanti negli appassionati di JRPG e in particolare in chi ha giocato i capitoli precedenti. Nonostante tutto il mondo di gioco abbia fatto enormi passi avanti rispetto al passato, aleggia un sentimento a metà fra il nostalgico e l’innovativo.

Il sistema di combattimento di Dragon Quest XI è rimasto grossomodo intatto, gestito con i classici turni decisi dall’agilità dei nostri personaggi e degli avversari. Abbiamo notato una maggiore enfasi nella tattica, fra incantesimi di potenziamento e indebolimento e sinergia del nostro party, che rimedia molto all’annoso problema del grinding selvaggio da sempre presente in Dragon Quest.

Il livello di difficoltà si è infatti abbassato leggermente rispetto al passato, anche se le boss battle sono sempre piuttosto impegnative, se affrontate nel modo sbagliato. Fortunatamente, potremo accamparci in ogni area del gioco così da recuperare facilmente HP e MP e, finalmente, è presente la possibilità di salvare tramite le statue sacre presenti, così da snellire molto il processo di accumulo di punti esperienza. Questi accampamenti hanno anche un ruolo importante dal punto di vista narrativo, infatti qui potremo anche chiacchierare con il nostro gruppo per scoprire nuovi dettagli della loro storia.

Tra le novità principali introdotte nel combat system avremo la possibilità di cambiare i personaggi del party con quelli delle retrovie durante il combattimento, e i Poteri Pimpanti, una sorta di status in cui i protagonisti diventano più potenti e sono in grado di fare mosse combinate insieme ai compagni, una meccanica che ricorda molto quella di Chrono Trigger.

Vi è anche una modalità che ci permette di muovere i personaggi per il campo di battaglia in maniera più dinamica di quanto accada nel classico combattimento statico; il problema è che comunque i personaggi rispetteranno i turni di gioco e muoversi non faciliterà di certo la schivata degli attacchi nemici. Quindi questa impostazione risulta prettamente una scelta estetica, data la sua inutilità ai fini del combattimento pratico.

Molto più personalizzabile è l’avanzamento di livello, molto diverso in Dragon Quest XI. A ogni level-up ci verranno forniti punti abilità da spendere in una griglia per apprendere nuovi attacchi e abilità attive e passive. Interessante la possibilità di resettare la griglia al costo di qualche moneta, così da correggere eventuali errori di build di un personaggio, oppure per provare nuove combinazioni.

Torna anche un sistema di crafting chiamato la Forgia Celestiale, simile a quanto visto in Dragon Quest VIII e IX, con cui, raccogliendo diversi oggetti, potremo fonderli per crearne di nuovi. Il momento del crafting si sviluppa tramite un simpatico minigioco che ci permetterà di ottenere materiali più potenti se eseguito con successo.

Il mondo di gioco è cresciuto nelle sue dimensioni rispetto ai titoli passati. Le terre di Eldrich sono aree vaste e più vivaci, anche se non stiamo parlando di un open world, dato che anche la struttura delle terre esplorabili si rifà alle classiche mappe degli RPG del passato.

Certamente alcune aree molto ampie danno l’illusione di trovarsi in un mondo aperto, tanto che per percorrerle sarà opportuno utilizzare una cavalcatura, che potrà essere un semplice cavallo o perfino alcuni nemici sconfitti. Alcuni di questi sono anche dotati di abilità speciali, come la possibilità di planare sull’acqua o di saltare più in alto, e grazie a ciò potremo raggiungere zone altrimenti inaccessibili. L’esplorazione sarà infatti un punto importante di Dragon Quest XI, in grado di distrarci dai compiti principali per ottenere oggetti o scoprire aree segrete della mappa.

Il titolo è inoltre molto longevo: si parla di una cinquantina d’ore per finire la storia di base, senza contare le storie secondarie e l’endgame che ci porteranno verso una nuova linea narrativa. Se si vuole finire il gioco al 100% dovrete insomma dedicarvici almeno una novantina di ore.

Tecnicamente Dragon Quest XI sfrutta al meglio l’Unreal Engine 4, motore inedito per la saga, che riesce a donare vivacità e colore al mondo di gioco, con texture ben dettagliate e rifinite. Anche la fluidità di movimento ne guadagna molto.

Il sonoro ha una traccia di doppiaggio inglese (unica traccia presente, anche nell’originale giapponese non vi era il parlato) che risulta buona, ma con qualche strafalcione o qualche voce poco adatta. Sono presenti poi i sottotitoli in italiano, piuttosto ben fatti.

In conclusione possiamo dire che Dragon Quest XI è un ritorno al mondo classico dei giochi di ruolo giapponesi, che in parte riesce anche a innovare una formula collaudata da decenni.

Certo questo titolo non sorprenderà chi ormai si è convertito a meccaniche più action e più immediate, ma gli appassionati di vecchia data sapranno trovare nel nuovo capolavoro di Yuji Horii un vero gioiello curato sotto ogni aspetto.

Dragon Quest XI: Echi di un'Era Perduta

Pro Pros Icon
  • Storia Coinvolgente
  • Personaggi ben caratterizzati
  • Gameplay classico in grado di rinnovarsi
Contro Cons Icon
  • Alcuni elementi sono ancora troppo classici
  • Il protagonista muto nel 2018 è anacronistico

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Silvio Mazzitelli

Di stirpe vichinga, sono conosciuto soprattutto con il soprannome “Shiruz”, tanto che quasi dimentico il mio vero nome. Videogiocatore incallito sin dall’alba dei tempi, adoro il mondo videoludico perché dopo tanto tempo riesce sempre a sorprendermi come la prima volta. Scrivo ormai da diversi anni di questa mia passione per poterla condividere con tutti. Sono uno dei fondatori di Orgoglio Nerd e sono anche appassionato di tutto ciò che riguarda la cultura giapponese e la mitologia (in particolare quella nordica).

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