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I cookie fanno male alla privacy? Facciamo un po’ di chiarezza

Molti siti, appena ci colleghiamo, ci chiedono di accettare i cookie per motivi di privacy. Noi, ovviamente, con tutto quello che sentiamo in giro, neghiamo prontamente e rifiutiamo qualunque tipo di consenso. La nostra privacy è davvero a rischio? Stiamo facendo bene? Parlando con alcuni dei nostri lettori ci è parso di capire che circolano un po’ troppe leggende metropolitane sull’argomento. Per cui, cogliamo l’occasione fare un po’ di chiarezza qui.

Cosa sono i cookie?

I cookie non sono nati insieme al web, come molti erroneamente pensano. Il primo server web è del 1990 mentre i cookie sono arrivati nel 1995 con Internet Explorer versione 2.

In pratica, i cookie risolvono un problema molto semplice: danno una continuità alle pagine che guardiamo su un sito web. Nella struttura del web, infatti, ogni richiesta di una pagina è un evento separato e indipendente. Eppure, se apriamo il sito di Amazon il carrello è li che ci aspetta con tutte le nostre cose dentro e quando andiamo su Gmail non abbiamo bisogno di inserire la password ogni volta. Tutto questo è diventato possibile grazie ai cookie.

Immaginate di andare tutti i giorni a fare colazione nello stesso bar con un barista estremamente smemorato. Tutte le volte si dimenticherà di voi e ogni colazione sarà come la prima volta. A qualcuno può stare bene, alcuni clienti preferiscono però essere salutati per nome. Il barista sa di questo suo problema e lo risolve in maniera molto semplice. Si segna su un taccuino tutto quello che sa di voi con a fianco un numero. Poi, vi da un bigliettino con quel numero e vi chiede di farglielo vedere la prossima volta che entrare nel suo bar. In quel modo, legge il taccuino, in caso lo aggiorna, e ricorda tutto su di voi.

Un server web fa esattamente questo; il numero che viene dato al nostro browser siamo abituati a chiamarlo cookie (biscotto).

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I cookie di terze parti

Quando andiamo su un sito web, qualunque sito web, è normale vedere pubblicità di altri soggetti (di terze parti) come ad esempio Amazon o Facebook. Questa pubblicità, però, è magicamente collegata alle nostre attività recenti; come le ricerche sul web o ciò di cui abbiamo parlato sui social. Come avviene questo?

Il meccanismo si complica un pochino, anche se non di molto. Innanzitutto, non è il sito web ad andare a prendere la pubblicità, ma il nostro browser. Il sito web, infatti, ci manda una pagina con una serie di elementi ancora da riempire; immaginate, ad esempio, una tela di un pittore con dei buchi. Ci arrivano però anche delle istruzioni su come andare a prendere quello che manca. I buchi vengono quindi riempiti dal nostro browser con URL che puntano a Amazon, Microsoft, Meta o a un’agenzia di pubblicità. Quindi, il nostro browser si collegherà al sito “di terza parte” e, in automatico, riceverà un cookie di terza parte (per la pubblicità) e il nuovo server saprà da dove stiamo arrivando.

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Il cookie permetterà alla pubblicità di seguirci (o inseguirci, se preferite) da un sito all’altro e alle agenzie di costruire un nostro profilo valutando i siti attraverso i quali le contattiamo. Con questo meccanismo Amazon, Microsoft, Meta e anche molti altri riescono a proporci pubblicità consistente con i nostri gusti e uniforme su tutti i siti che visitiamo.

Non solo pubblicità

L’esempio della pubblicità lo si fa sempre per primo perché è sotto gli occhi di tutti. Esistono tuttavia dei cookie di terze parti di cui non vediamo esplicitamente il risultato, ma che svolgono un compito molto importante per i siti che fanno da tramite.

cookie analytics

Web Analytics

Un esempio molto importante è quello delle cosiddette analitiche per il web. Ovverosia, ogni sito web raccoglie delle informazioni su chi lo visita per capire con chi ha a che fare. In questo caso nessuno è interessato a noi come singoli, ma si vuole fare una statistica.

Nel caso di una rivista online, come la nostra, è molto importante avere un’idea di quanti lettori abbiamo, quale sia la loro età media e che gli interessi della maggior parte di loro. Non perché siamo curiosi, ma perché ci serve a capire se stiamo facendo un buon lavoro e che cosa vi piace leggere.

I siti web con una grossa organizzazione dietro gestiscono le analitiche in autonomia; è il caso di Meta, Spotify, TikTok e molti altri. Chi non ha questa fortuna, perché servono grandi capacità di calcolo e competenze, chiede a una terza parte; molto spesso a Google. Nella stragrande maggioranza dei siti, all’interno di ogni pagina, c’è un riferimento che voi non vedete nella grafica ma che rimanda il vostro browser al sito di Google Analytics.

Bloccare quella chiamata e il cookie ad essa collegato è possibile e alcuni browser vi permettono di farlo automaticamente. Tuttavia, per il sito web diventa un problema perché non è più in grado di capire chi lo sta visitando.

Quindi, la nostra privacy è davvero minacciata dai cookie?

Anche fatta chiarezza su come funzionano i cookie e come interagiscono con la nostra privacy, la risposta rimane comunque molto personale.

A qualcuno può dare fastidio che una multinazionale costruisca un suo profilo digitale mentre ad altri non interessa per nulla. Ci sono persone a cui non va bene che sia una specifica azienda a farlo e tantissimi sono semplicemente infastiditi dalla pubblicità. Di contro, se la pubblicità è un male necessario per la sopravvivenza di un sito (l’alternativa è dare i contenuti a pagamento), meglio se è relativa a cose che ci interessano e non ci propone annunci a caso.

Queste sono tutte considerazioni valide per accettare o rifiutare i cookie quando ci vengono proposti. Dal nostro punto di vista, l’importante è quantomeno dire si o no sapendo con cosa abbiamo a che fare e di che tipo di privacy stiamo parlano. In generale, con i cookie, si parla dei nostri interessi personali e delle nostre abitudini di consumo. Ognuno di noi attribuisce un valore diverso alla privacy di queste due informazioni.

Un futuro senza cookie e con più privacy

C’è chi ne parla, perché comunque l’attenzione degli utenti sull’argomento è altissima.

Di fatto, il meccanismo dei cookie non può essere tolto. Perché se lo facessimo non potremo più comprare nulla online; pensate al discorso del carrello di Amazon che abbiamo fatto all’inizio. Al massimo potremo rinunciare ai cookie di terze parti. Infatti, la Comunità Europea non esclude di limitare fortemente l’uso dei cookie di terze parti nel contesto del GDPR per salvaguardare la privacy dei cittadini.

Se questo dovesse succedere, la pubblicità online non sarà più così remunerativa e i siti web dovranno pensare ad altre vie per sostenersi economicamente. I contenuti a pagamento sono un’opzione, ma potremo trovarne anche altre.

Dal punto di vista tecnologico, esistono dei sistemi per raccogliere lo stesso le analitiche web senza usare cookie di terze parti. Però, a nostra sensibilità, sarebbe una cura peggiore del male. Perché i siti potrebbero tracciare un nostro profilo digitale nel rispetto delle normative senza però dircelo e senza darci l’opzione esplicita di rifiutare. Ovviamente, continuerà a valere il divieto di condividere i dati raccolti su di noi con terzi, senza il nostro consenso.

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Dario Maggiorini

Un boomer con la passione dei videogiochi fin dai tempi di rogue e nethack. Alla fine sono riuscito a farne un lavoro sospeso tra Techprincess e l'accademia. Ho speso gran parte della mia vita a giocare, il resto l'ho sprecato.

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