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Ma tu le conosci davvero le società tech cinesi?

Milano, 12 settembre.
Un treno in ritardo, una metro semi-vuota, un breve tratto a piedi e finalmente arrivo a destinazione.
Sono nel cuore della città, a due passi dal Duomo, per prendere un caffè e fare due chiacchiere.
Due chiacchiere che mi porteranno a pormi un po’ di domande su uno dei Paesi più grandi e potenti del mondo: la Cina.

Non è la prima volta in realtà che cerco di capire qualcosa di più di questo enorme Stato che si trova, per noi, dall’altra parte del mondo.
Anzi, a dire il vero sono anni che la Cina stuzzica un po’ il mio interesse, da quando gli Stati Uniti hanno imposto il famoso ban che ha messo, almeno temporaneamente, in ginocchio Huawei.
All’epoca avevo provato a capire l’aspetto geopolitico di una vicenda che, all’apparenza, riguardava solo il mondo tech. Le cose però erano molto più complesse di così e più leggevo, più me ne rendevo conto. Ma non solo: più indagavo e più mi sembrava evidente che non sapevo quasi nulla di una delle superpotenze mondiali. Né da un punto di vista tecnologico né da un punto di vista culturale.
C’era un mondo da scoprire.

Qualche tempo dopo ho provato a colmare questa mia lacuna con un libro: Red Mirror.
Simone Pieranni, divulgatore e giornalista, ha vissuto in Cina per quasi un decennio e quindi mi sono affidata alle sue parole per iniziare a comprendere meglio questo Paese, soprattutto da un punto di vista hi-tech.
Non voglio spoilerarvi nulla, anche perché non è di questo libro che voglio parlarvi oggi.
Qualora però voleste approfondire l’argomento vi suggerisco sia di leggere il volume di Pieranni sia di ascoltare la sua intervista per Le Vie del Tech. Vi garantisco che è più che interessante.

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C’è un altro libro, pubblicato recentemente, che ha suscitato il mio interesse nelle ultime settimane: si chiama Do Good and Prosper: Interplay Between Philanthropy and Business Innovations.
L’autore è Edison Tse, Associate Professor of Management Science and Engineering della Stanford University.

Fermi tutti.
Come siamo passati da un caffè a Milano al libro di un professore di Stanford?
Il mio appuntamento era con Xiaoning Lyu, imprenditrice e fondatrice di Viva La Vida e VIVA AI.
Avevo già incontrato Xiaoning qualche tempo prima, proprio per via di VIVA AI, un tool che usa l’intelligenza artificiale e l’arte per ingaggiare e stimolare i dipendenti dell’aziende.
Messo però da parte l’aspetto tech della sua azienda, ci siamo confrontate sulle differenze e le somiglianze tra i nostri due Paesi e tra le società cinesi ed europee.
Ad un certo punto Xiaoning mi ha detto che molte Internet companies cinesi, in tempi recenti, hanno iniziato a percorrere la strada della filantropia. Insomma, in Cina ci sono big tech che pensano al bene della comunità in un modo che, almeno all’apparenza, sembra molto diverso dalla “responsabilità sociale” di cui parliamo in Occidente.
E qui entra in gioco il libro del professor Tse. Xiaoning mi ha consigliato di leggerlo e così ho fatto.

Tencent e le altre Internet companies cinesi

Do Good and Prosper: Interplay Between Philanthropy and Business Innovations parla di filantropia ma prima di farlo vi racconta una storia, quella delle Big Tech cinesi.
Un viaggio che parte dal 1978, dalla riforma economica cinese che ha portato il Paese ad aprirsi al resto del mondo.
“Apertura” significava due cose: aprirsi agli investimenti esteri e buttare uno sguardo a ciò che succedeva fuori, cercando di replicare quello che di buono l’Occidente aveva da offrire.
Ad esempio, nel 1990 Lenovo decise di concentrarsi sui personal computer che, all’epoca, stavano ottenendo un enorme successo negli Stati Uniti. Nasce così il primo circuito stampato che permetteva ai PC di IBM di processare i caratteri cinesi.

Nel 1995 il Ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni iniziò a costruire l’infrastruttura necessaria a fornire ai cittadini l’accesso ad Internet.
Quattro anni dopo arriva Tencent con OICQ, un servizio di messaggistica istantanea che l’anno dopo venne ribattezzato QQ, l’antenato dall’oggi famosissimo WeChat.
Perché famosissimo?
Perché oggi è impossibile vivere in Cina senza usarlo. WeChat è passato dall’essere un’app di messaggistica ad una piattaforma di servizi che integra WeChat Pay per i pagamenti e migliaia di app che funzionano dentro l’app. È un ecosistema che tiene le persone impegnate, in media, 90 minuti al giorno.
Per aiutarvi a fare un paragone la media di Facebook è 38 minuti.

WeChat app on the screen smartphone closeup. WeChat is a mobile

Su quest’app Tencent ha costruito un impero che si basa su 5 settori principali: la messaggistica, i social network, il gaming, i video in streaming e i sistemi di pagamento. A queste se ne aggiunge un sesto: il cloud computing, nato per sostenere tutte le altre attività di questo colosso cinese.

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Tencent però non è l’unica grande Internet company della Cina.
Pensate ad esempio ad Alibaba che non solo è un gigante dell’e-commerce ma può contare su Alipay che è il più grande sistema di pagamento del mondo.
E poi c’è Baidu, che nasce come alternativa a Google e che nel 2016 ha dato vita a PaddlePaddle, una piattaforma dedicata allo sviluppo di prodotti basati sul deep learning, piattaforma che oggi conta 4 milioni di sviluppatori e 180.000 aziende provenienti da tutto il globo.
Tra i colossi asiatici c’è anche Didi, che negli anni è riuscita a surclassare Uber grazie ad una serie di manovre e colpi di genio che oggi la rendono una piattaforma di servizi di trasporto completa, che va ben oltre il “cerco un passaggio per andare dal punto A al punto B“.

societa tech cinesi Didi compressed
Beijing, China. February 19, 2021. Editorial Use Only, 3D CGI. Didi Signage Logo on Top of Glass Building. Workplace of Car Sharing Services Transport Company in High-rise Office Headquarter.

Perché vi racconto tutto questo? Perché parliamo di queste aziende? Perché in un momento non ben delineato hanno deciso di mettere al centro le persone e le comunità in un modo inedito e sorprendente.
E siccome volevo capire, volevo saperne di più, ho deciso di fare quattro chiacchiere con l’autore del libro.

L’intervista a Edison Tse

Edison Tse professore Standford University
Il professor Edison Tse

Sono le 9:00 del mattino in California. Le 18:00 per noi.
Mi collego su Zoom e dall’altra parte trovo il professor Tse ad attendermi. Non so bene da dove cominciare perché nel mio cervello si affollano una marea di domande. Decido di partire dalla più ovvia: perché scrivere questo libro?
“Trovavo sorprendente il fatto che un sacco di Internet companies in Cina abbracciassero la filatropia senza guadagnarci nulla. […] Normalmente, qualsiasi sia il tuo tipo di business, non ti lanci in qualcosa di nuovo senza che possa generare profitto, giusto? […] Ci doveva essere qualcosa dietro e questo ha stimolato il mio interesse.

Ok ma cosa intendiamo esattamente con filatropia? In pratica, cosa fanno le aziende cinesi?
Il professor Tse mi fa un esempio molto pratico.
Prendiamo JD.com, la seconda piattaforma di e-commerce della Cina. Insieme a Tencent, hanno ideato un programma che trovo geniale: ogni volta che un utente supera i 100.000 passi, loro regalano un pollo ad un agricoltore povero e gli spiegano come allevarlo. Ma non è finita qui: grazie ad un piccolo dispositivo monitorano l’attività del pollo e con i dati raccolti aiutano l’agricoltore a stabilire il prezzo a cui quel medesimo pollo può essere venduto.
In sostanza JD.com e Tencent insegnano una nuova attività al fattore, lo aiutano a crescere il pollo e poi a guadagnare, ricavando i fondi per comprare nuovi polli e mantenersi. Allo stesso tempo questo sistema permette di portare sul mercato polli che sono più in salute, che sono allevati in maniera etica e organica. Questo, a quanto pare, spinge altri utenti a camminare per raggiungere i 100.000 passi e alimentare il circolo.

Un altro esempio?
Tencent ha introdotto un sistema molto semplice: ogni 10.000 passi percorsi vi regala un piccolo fiore rosso digitale.
Quel fiore rosso però può essere donato e quella donazione corrisponde poi a denaro – vero – che la Tencent Charity Foundation mette a disposizione per rispondere ai reali bisogni della società.
A mio avviso è degno di nota per due motivi.
Il primo è che è fondamentalmente l’opposto di ciò che facciamo in Occidente, con app che ci danno del denaro – pochi centesimi alla fine dei conti – per farci camminare cercando di mantenere in salute la popolazione. Non c’è uno scopo benefico, lo fai per te stesso.
La seconda ragione è che questo sistema, all’apparenza semplice, è in realtà riuscito a spingere le persone ad agire, ad uscire di casa e camminare per ottenere un piccolo fiore rosso che possono poi donare ad altri per fare del bene, per migliorare la vita della società.

Tencent Red Flower

Perché avviene tutto questo?
Non c’è una risposta universale ma Edison Tse ha una teoria: “Le Internet companies in Cina crescono in maniera diversa dalle loro controparti statunitensi. Negli USA replicano in loro business in diverse parti del mondo. Ad esempio Amazon in Italia è la stessa Amazon che abbiamo qui. Questo perché crescono seguendo lo stesso modello di business in tutto il mondo. In Cina un’azienda cresce grazie alle persone, grazie al fatto che riesce a toccare determinati punti chiave.
Ti faccio un esempio. Se stai vendendo qualcosa alle persone, queste persone avranno bisogno di fondi. E l’azienda sviluppa nuovi prodotti che ti permettono di avere i fondi e di effettuare il pagamento. Ecco cosa fanno, sviluppano servizi che toccano varie aspetti della tua vita.
Prendi Tencent. Tutti i loro prodotti rispondono a delle specifiche esigenze delle persone.
Ecco perché, secondo me, la filantropia è un solo un altro touch point, un elemento chiave che attrarrà altre persone perché stai facendo del bene.”

A questo punto chiedo al professore se pensa possa essere un modello replicabile anche all’estero.
La risposta breve? Potrebbe ma non è così scontato.
Di per sé la filantropia delle big tech asiatiche è un plus: “Se rendi la società migliore, crei nuove opportunità per tutti. Non saranno solo per te, è evidente, ma può averne una fetta. Quindi credo che filantropia e innovazione possano intrecciarsi ed essere un modo per aumentare il benessere di tutti quanti.
Dobbiamo però considerare che da un lato questo sistema funziona perché è da sempre integrato nel tessuto cinese, nel modo in cui le Internet companies cinesi sono cresciute, dall’altro dobbiamo tenere presente che Pechino gioca un ruolo fondamentale perché il governo è parte attiva di tutto questo.
In sostanza, le aziende hanno il supporto delle autorità perché questo sistema permette di eliminare la povertà, ed eliminare la povertà è un punto chiave per il governo cinese.
“Forse la Cina lo fa perché non ha un sistema di welfare ben organizzato. Lo sviluppo è stato così veloce che non hanno avuto modo di crearne uno adeguato. E questo è il motivo per cui lo stanno facendo, per cui la filantropia è così legata alla prosperità comune.”

A questo punto mi sembra evidente che non ci siano punti in comune con la responsabilità sociale delle società occidentali. Tse concorda con me: “Penso che in Europa abbia più a che fare con i ripensamenti. Non so quale sistema sia meglio. Credo però sia giusto lasciare che le cose procedano così come sono e vedere cosa succederà in futuro.

E voi cosa ne pensate? Vi aspettavate tutto questo dalle società tech cinesi?

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Erika Gherardi

Amante del cinema, drogata di serie TV, geek fino al midollo e videogiocatrice nell'anima. Inspiegabilmente laureata in Scienze e tecniche psicologiche e studentessa alla magistrale di Psicologia Clinica, dello Sviluppo e Neuropsicologia.

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