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Prey: com’è il film prequel di Predator

Il prequel di Predator è disponibile dal 5 agosto su Disney+.

Che cosa ci aspettiamo da un film di Predator? Puro intrattenimento esaltato dalla fisicità e dall’avveniristica tecnologia della razza aliena yautja o un racconto che riesca invece ad affiancare all’azione un lavoro suggestivo e intrigante sulla mitologia e sulla storia di queste creature? Una scelta fra due soluzioni entrambe legittime, su cui il regista di Prey Dan Trachtenberg ha pochi dubbi: «Voglio essere chiaro, perché c’è stata un po’ di confusione. Io non vedo Prey come un prequel, non è un “raccontiamo le origini di Predator”. Si tratta solamente di una storia ambientata prima del film originale e la creatura in questo film è la prima che finisce sulla Terra», ha dichiarato in proposito.

Al di là delle dichiarazioni di facciata, Prey è tecnicamente un prequel di Predator. Le parole del regista ci aiutano però a comprendere la genesi di questo progetto, disponibile dal 5 agosto su Disney+. Un lavoro che arriva dopo due tentativi falliti di reboot (Predators di Nimród Antal e The Predator di Shane Black) di un franchise scolpito nell’immaginario collettivo ma mai spumeggiante al botteghino: il primo intramontabile capitolo di John McTiernan, con protagonista Arnold Schwarzenegger, ha infatti incassato poco meno di 100 milioni di dollari in tutto il mondo. Di fronte a un universo che è stato puntualmente ridimensionato a ogni tentativo di espansione, la produzione targata 20th Century Studios opta per una dimensione più ridotta, trasportandoci nella Nazione Comanche della prima metà del ‘700, quando avviene il primo contatto tra la civiltà umana e i Predator.

Prey: il ritorno al passato del franchise di Predator

Photo by David Bukach

Protagonista del racconto è Naru (Amber Midthunder), giovane cresciuta fra guerrieri e cacciatori che risponde nella maniera più semplice quando le viene chiesto perché vuole dedicarsi alla caccia: «Perché voi tutti pensate che io non possa farlo». Purtroppo per Naru e per i compagni, nei paraggi non ci sono solo i tipici animali del posto, ma anche una creatura ben più feroce e pericolosa, equipaggiata in maniera più semplice e grezza rispetto a quando l’abbiamo conosciuta. A ben vedere, la direzione del progetto è tutta qui: nella lotta di una ragazza per la propria emancipazione in un ambito esclusivamente maschile e patriarcale e nello scontro fra due razze diverse ma animate dallo stesso primordiale istinto di sopravvivenza.

Prey si muove dunque negli stessi territori di Predator, geograficamente e non solo. I tempi però sono cambiati: il muscolare gruppo capitanato da Dutch Schaefer lascia quindi spazio a un ritratto ben più rispettoso e inclusivo delle popolazioni indigene, dal momento che il cast tecnico e artistico è composto in larga parte da persone native e della Prima Nazione. Impostato il contesto socio-culturale, Dan Trachtenberg (di ritorno al cinema a 6 anni di distanza da 10 Cloverfield Lane) scioglie le briglie, dando il via a un concentrato di pura azione dalla durata di poco superiore ai classici 90 minuti e dalla discreta resa tecnica.

L’uso massiccio della CGI è evidente, ma per una volta gli effetti speciali sono funzionali al racconto e non viceversa. Siamo dalle parti di Mel Gibson e del suo Apocalypto: la natura è incontaminata ma insidiosa, lo scontro fisico determina i rapporti di forze, la violenza è dilagante e trasmessa senza alcun filtro allo spettatore.

L’azione al potere

Prey Predator
Photo by David Bukac

Prey non fa nulla di nuovo, ma lo fa in maniera efficace e coerente, trasformandosi con il passare dei minuti in una lotta senza quartiere fra Naru, novella Ellen Ripley, e un Predator ancora imperfetto, dal design minimale e dalla tecnica grezza, nonostante il suo strapotere fisico. Due predatori uno contro l’altro, con la fauna locale a fare da spettatrice di uno scontro senza esclusione di colpi, con dialoghi ridotti ai minimi termini e un montaggio secco e incalzante, che lascia alla lotta e alla violenza il compito di determinare la linea del racconto.

Il maggior pregio di Prey è allo stesso tempo il suo più evidente difetto. Non c’è la minima intenzione di scavare nel passato degli yautja o di raccontare le loro origini. Il mistero è azzerato, la psicologia della creatura è indecifrabile. Siamo di fronte a un’avventura godibile ma autoconclusiva, che nulla aggiunge a questo universo in termini di stile o mitologia. Ritornando al nostro quesito iniziale, è legittimo dunque chiedersi se questo approccio non sia in fondo l’unico possibile per un franchise dalla forza inferiore a quella di Alien (i due crossover non sono un caso) e che verosimilmente ha esaurito la propria spinta creativa. Con un pizzico di rammarico per l’abbandono della suggestione e del fascino dell’ignoto, ci accontentiamo dunque di quello che tempo fa avremmo chiamato un valido film per la televisione, dal budget relativamente basso e dall’ambizione ancora più contenuta.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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