Siamo giunti al terzo appuntamento di Dentro la Canzone, la nostra rubrica che ci porta alla (ri)scoperta di brani affascinanti e spesso emblematici. Oggi viaggiamo sulle note di un cantautore italiano, noto per la sua ugola, per la montatura dei suoi Ray-Ban e per la sua capacità di imprimere in musica racconti di vita vissuta. Oggi parliamo di Antonello Venditti e della sua Giulio Cesare, cercando di capirne il significato, perchè dopotutto “Paolo Rossi era un ragazzo come noi”.
Il significato di Giulio Cesare di Venditti è nascosto tra i banchi del liceo
Nel 1966, in un’aula del Liceo Classico Giulio Cesare di Corso Trieste, a Roma, c’è una classe: la 3E, con 34 studenti appartenenti alla medio-borghesia capitolina. Il terzo anno per un Liceo Classico è l’anno definitivo, l’ultimo, di quell’esame che spalanca le porte all’età adulta, come sottolineato didascalicamente da quel nome: maturità. Un traguardo e che si celebra generalmente con un viaggio in Europa. La fine della scuola: la libertà. Un anno particolare il 1966, culla dei movimenti rivoluzionari che esploderanno nel 68 e dell’era hippie, che nel 69 travolse la Summer of Love di Woodstock. C’era un clima di inevitabile cambiamento nell’aria, soprattutto dal punto di vista sociale.
E poi c’erano i mondiali inglesi, il cui unico protagonista era un giovane brasiliano con la maglia numero 10. Per l’anagrafe Edson Arantes do Nascimento. Per la storia Pelè. Così elegante e ipnotico che ancora oggi, insieme ad un altro sudamericano col 10, si contende il posto di miglior calciatore di tutti i tempi. Se lo chiedete ai napoletani non c’è storia. Ma qui siamo nel 66 e l’altro, che di nome faceva Diego, all’epoca dei fatti aveva solo 6 anni. Pelè in quel torneo, dimenticabile per l’Italia, non aveva rivali. Una stella talmente luminosa da fare invidia alla famiglia reale britannica. Insomma nel 66 “la regina d’Inghilterra era Pelè”.
Ritorniamo per un attimo a quella 3E però. Quella dei 34 figli della Roma bene. Tutti belli ed eleganti, tranne uno. Si chiama Antonello, figlio di un impiegato statale e di una professoressa di latino: insomma uno che la piccola borghesia ce l’ha nel sangue, sebbene la cosa gli faccia piacere poco. Si sente un rivoluzionario, Antonello, appartenente ad una classe operaia che però non ha mai vissuto. Vicino insomma a quell’aria di rivoluzione che nasceva in quegli anni nel Paese, con un padre che rappresentava una montagna troppo alta da scalare. Del resto “essere giovani e non essere rivoluzionari è una contraddizione in termini” scriverà qualcuno che di comunismo doveva pur capirne qualcosa.
E quindi Antonello, con le sue idee, con i suoi 18 anni, e con la maturità alle porte si sente libero. Pregustando il viaggio in Europa dopo essersi lasciato alle spalle i cancelli ingombranti del Liceo Classico Giulio Cesare, al numero 48 di Corso Trieste.
Paolo Rossi era un ragazzo come noi
In quella baraonda di emozioni che è il 1966 però accade anche altro. Il 27 aprile un giovane universitario chiamato Paolo Rossi viene picchiato a sangue da un gruppo di fascisti, sulle scalinate della facoltà di Lettere, presso l’Università La Sapienza. Tra calci e pugni Paolo scivola e batte la testa violentemente sui gradini di marmo. Morirà sul colpo. “Paolo Rossi era un ragazzo come noi”.
Esattamente 20 anni dopo Antonello è un adulto, è diventato un cantautore di successo, e in Italia cresce l’attesa per i Mondiali di Messico 86, sperando di bissare l’incredibile vittoria di 4 anni prima, quando un giovane calciatore chiamato proprio Paolo Rossi permetterà all’Italia di alzare la Coppa del Mondo, davanti agli occhi compiaciuti di un Sandro Pertini che sul 3-1, in finale contro la Germania Ovest, griderà “non ci prendono più”. Ironico poi, che nel mondiale messicano del 1986 a rubare la scena sarà proprio quel sudamericano. Non Pelè, quell’altro, con la complicità di una mano divina.
Nell’ultima strofa Antonello ritorna metaforicamente in quei banchi di scuola. In quella stessa 3E del Giulio Cesare. E rivede virtualmente i suoi 33 compagni di scuola. “Eravamo 34 e adesso non ci siamo più. E seduto in questo banco ci sei tu”.
Francesco Totti era un ragazzo come noi
Dopo il successo dei mondiali tedeschi del 2006, Antonello Venditti proporrà una versione leggermente modificata del testo. L’omaggio introdotto dal cantautore è quello al Re prediletto di Roma: Francesco Totti, che va a sostituire il Pablito Rossi nell’ultima strofa. Nella versione 2.0 Venditti canta “Era l’anno dei mondiali, quelli del 2006. Francesco Totti era un ragazzo come noi”. Nel video qui sotto è possibile ascoltare questa leggera ma significativa modifica al brano. Del resto Totti a Roma (ma non solo) gode di uno status di divina aurea.
Insomma Venditti, quando c’è da scrivere di scuole, di coppe e di campioni, ci sa davvero fare. Ma anche quando c’è da scrivere di tutto il resto.
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