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Zoom limita lo smart working dei suoi dipendenti: è (già) la fine di un’epoca?

È paradossalmente l’azienda simbolo del lavoro a distanza

Evitiamo di ricordare le ricadute negative che, da diversi punti di vista, la pandemia ha prodotto in tutte le nostre esistenze.

Se una involontaria virtù l’ha avuta, il Covid-19, è stata quella di avvicinarci di più al virtuale. Tra le altre cose, abbiamo imparato a usare le app di teleconferenze. E abbiamo scoperto i loro svariati usi. Tramite queste piattaforme si può prendere un aperitivo assieme a un amico che si trova dall’altra parte del mondo (benché durante la pandemia fosse necessario utilizzarle anche col vicino del piano di sopra). Oppure per serissime riunioni lavorative.

Molti di noi, e molte aziende, anche dopo la fine del lockdown hanno continuato a servirsi di queste forme di comunicazione a distanza. Da lì a valutare un più ampio utilizzo dello smart working (modalità apprezzata soprattutto dai lavoratori più giovani) il passo è stato breve.

Eppure adesso l’azienda forse più famosa del settore, Zoom, nei confronti dello smart working ha fatto dietrofront. Cosa è accaduto? E perché gran parte della stampa parla già di fine di un’epoca?

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Zoom limita lo smart working dei suoi dipendenti

La società di telecomunicazioni californiana Zoom ridurrà lo smart working dei suoi dipendenti.

L’azienda, attraverso una nota, ha fatto sapere che un “approccio ibrido strutturato” sarà più efficace. E così, in concreto, i dipendenti che abitano entro 50 miglia (poco più di 80 chilometri) da un ufficio di Zoom dovranno raggiungerlo almeno due volte a settimana.

La decisione della società con sede a San Jose ricalca quelle di altri grandi aziende, come Amazon, Google e Disney.

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Zoom durante la pandemia e oggi

La notizia risuona paradossale alle orecchie di molti. Proprio l’azienda che (suo malgrado, naturalmente) ha cavalcato la pandemia mostrando al mondo che lo smart working è possibile, oggi lo riduce. Nel 2020 il valore di mercato di Zoom ha raggiunto i 140 milioni di dollari, I ricavi annui erano saliti del +400% contro (giusto per farci un’idea) il +3% del 2023.

È del tutto evidente che l’impossibilità di raggiungere il luogo fisico di lavoro durante il lockdown aveva fatto decollare l’azienda californiana. Che adesso si trova in un momento di difficoltà. Non a caso in febbraio Zoom Video Communications, questo il nome per esteso della società, ha lasciato a casa 1.300 dipendenti, pari a un settimo del totale.

E il fondatore Eric Yuan, con una mossa che non crediamo lo ridurrà in povertà, si è tagliato lo stipendio del 98%.

La riduzione dello smart working già in estate

Lo stesso Yuan ha dichiarato che la riduzione dello smart working per i dipendenti di Zoom sarà operativa, a seconda del Paese, in un periodo che andrà da giugno e settembre. Il CEO di Zoom ha detto: “Lasciare che i dipendenti lavorino ovunque è diventata una moda, e sarà difficile costringerli a tornare indietro del tutto”.

Per questo si è scelta una forma ibrida.

È davvero la fine di un’epoca?

Il grosso della stampa, nel nostro Paese e non solo, si è affrettata a individuare nella riduzione dello smart working da parte di Zoom un forte valore simbolico. E a dichiarare, né più né meno, che l’epoca del telelavoro sarebbe già finita, dopo soli tre anni di gloria.

Ci pare una posizione eccessiva, e proviamo a spiegare perché. Una flessione dello smart working era auspicabile per almeno due motivi. Intanto, è normale – a prescindere dall’ambito – che una novità dirompente, dopo il boom iniziale, abbia una flessione. È successo anche a ChatGPT, che dopo mesi di fasti ha fatto segnare un primo (e lieve) calo di utenti.

Dopo di che, indubbiamente, la (tanto agognata) fine della pandemia ha diminuito il ricorso al lavoro a distanza, specie da parte di quelle aziende che lo avevano adottato più per necessità che per adesione ideologica.

Ma un’innovazione simile dubitiamo che sia destinata a finire nel dimenticatoio.

Mentalità e infrastrutture

Probabilmente servirà tempo, perché lo smart working attecchisca davvero e in modo definitivo.

Il cambio di mentalità richiesto, in effetti, è epocale. Deve anzitutto sradicarsi l’idea dell’ipercontrollo sui lavoratori. Per farlo è sufficiente leggere svariati studi che indicano come da remoto si lavori mediamente di più e meglio. Inoltre la tecnologia permette (senza ledere la privacy del lavoratore) di avere il pieno controllo sulla produttività.

Occorre insomma passare da un’ottica punitiva (adottata ancora da troppe aziende) a una collaborativa: più si mettono i dipendenti in condizione di lavorare bene, e più essi… Lavoreranno bene.

Dopo di che, l’ulteriore passo dev’essere quello di dotare ogni Paese di strumenti per un utilizzo ragionevole delle piattaforme di telelavoro. In Italia, ad esempio, è ancora forte il digital divide, ovvero il divario (sociale e geografico) tra chi ha pieno accesso alle tecnologie dell’informazione e chi no.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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