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Cultura

L’intelligenza artificiale di Google vuole i nostri dati?

... perché le cose non sono proprio come sembrano

In questi ultimi mesi stiamo parlando un sacco di intelligenza artificiale. Forse troppo. l’hype è alle stelle e chi ha visto troppi film di fantascienza comincia a farsi domande strane. Durante il Google I/O 2023, poi, la multinazionale americana ha fatto vedere le sue innovazioni nel campo dell’intelligenza artificiale ed è stato come mettere altra benzina sul fuoco. Ma, in realtà, con cosa stiamo avendo a che fare esattamente? I nostri dati e la nostra privacy sono davvero in pericolo? Secondo noi della redazione no, e vogliamo spiegarvi il perché.

Cos’è l’intelligenza artificiale

Riducendo ai minimi termini, e rimanendo un po’ sul tecnico, la definizione di intelligenza artificiale lascia spesso un po’ perplessi.

Un sistema di intelligenza artificiale, è un software che, presa una informazione in ingresso seleziona in una lista di risposte predefinite quella giudicata essere la migliore.

Quindi, per fare un esempio, non possiamo dare a una intelligenza artificiale la foto di un animale e chiedere “che animale è“. Possiamo al più chiedere “è un gatto?“. E la risposta sarà del tipo “si, al 99%“.

Anche con questo banale esempio si vedono già un buon numero di problemi dell’intelligenza artificiale moderna. Innanzitutto, le risposte sono tutte predefinite; l’intelligenza artificiale può scegliere in una lista che le diamo noi ma non può inventarsi delle risposte. Secondo, la risposta non è mai certa; c’è sempre un margine di errore, che i matematici chiamano anche “un intervallo di confidenza”. Terzo, ma forse più importante, ogni intelligenza artificiale nasce per rispondere a domande estremamente specifiche. Quando vediamo una intelligenza artificiale fare operazioni complesse, quella è la collaborazione di tante intelligenze artificiali semplici.

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Inoltre, il software deve imparare quali sono le risposte migliori. Questo, senza entrare troppo nei dettagli, si fa dando una serie di esempi da valutare: migliaia o milioni di esempi. L’unica cosa che, come esseri umani, dobbiamo fare è spiegare il concetto di ‘migliore’ all’intelligenza artificiale. Cosa non banale, ma sicuramente più facile.

Ora, però, arriva la notizia peggiore. Da dove li prendiamo gli esempi per addestrare la nostra intelligenza artificiale? Ovviamente da Internet, dove ce ne sono praticamente infiniti. Purtroppo, e questo lo sappiamo tutti, dentro Internet c’è scritto tutto ma anche il contrario di tutto. Una intelligenza artificiale non distingue tra giusto e sbagliato; impara e basta. Quindi, imparerà anche cose sbagliate. Per cui, adesso dovrebbe essere chiaro anche come mai, a volte, ci vengono date delle risposte sbagliate dalle intelligenze artificiali. Molto convincenti, ma drammaticamente sbagliate.

google artificial intelligence palm

L’intelligenza artificiale di Google

Cosa ha fatto Google? Ci verrebbe da dire “poco di nuovo”. Nel senso che ha costruito un motore per una intelligenza artificiale dentro il suo cloud. Lo ha fatto con un hardware potentissimo e con algoritmi all’avanguardia. Questo vuol dire che l’intelligenza artificiale di Google ragiona alla velocità della luce ma, comunque, continua a soffrire di tutte le limitazioni che abbiamo discusso prima.

Dal punto di vista tecnico, l’intelligenza artificiale di Google è stata costruita in tre passi.

Dentro il cloud è stato programmato una specie di motore ultra-ottimizzato in grado di fare tutte le operazioni necessarie a far ragionare una intelligenza artificiale. Questo motore però da solo non fa nulla: è come un PC dove non abbiamo installato windows.

Dentro il motore deve essere inserita la descrizione di una intelligenza artificiale. Google lo chiama modello, altri preferiscono il termine rete neurale. Un modello, di fatto, descrive come il motore deve ragionare e quali sono i risultati da estrarre. Google mette a disposizione una serie di modelli già pronti e addestrati a trattare il linguaggio umano. Il più recente lo ha chiamato PaLM 2. In realtà, nell’addestramento di PaLM 2 è stato fatto un importante passo in avanti: gli sono stati dati in pasto articoli scientifici, trattati di matematica, testi tecnici e tanto codice open source. Ovvero, dovrebbe aver imparato a ragionare in maniera responsabile.

L’ultimo passo è quello che permette a noi umani di interagire con PaLM 2. Perché PaLM 2 è un servizio cloud; non ha una pagina web e l’unico modo per fargli delle domande e scrivere un software che lo interroga. Bard serve proprio a superare questa barriera.

google intelligenza artificiale duet

Google Bard

Bard è stato creato per permettere a noi utenti di interagire con con PaLM 2 attraverso una interfaccia conversazionale. Ovvero, una specie di chat con l’intelligenza artificiale dove noi scriviamo delle domande e poi leggiamo le risposte.

In realtà Bard fa molto di più. Non si limita a farci chattare ma si annida (o si anniderà) anche in tutti i servizi dell’ecosistema di Google. Quando noi gli chiederemo qualcosa, lui andrà ad innescare il servizio giusto in base a quello che gli abbiamo chiesto e gli passerà i dati che secondo lui sono necessari. È da notare come non abbiamo bisogno di sapere come si chiama il servizio, e neppure che esiste; deve solo essere in grado di soddisfare i nostri bisogni.

Bard diventa quindi una specie di intermediario, che ci aiuta a coordinare il lavoro mettendo insieme i servizi Google per farci ottenere più velocemente quello che ci serve.

Esempio: Bard e la ricerca su internet

Bard, abbiamo già detto, collega e coordina tra loro tutti i servizi di Google. Quindi, ovviamente, anche quello relativo al motore di ricerca.

Semplicemente, quando facciamo una ricerca su Internet, Bard vede i risultati insieme a noi e poi, rivolto a PaLM: “Hei, PaLM, mi faresti un riassunto di questi dati per il mio utente?”. E il riassunto apparirà per nostra comodità a destra dei risultati.

Da li, se il riassunto ci piace, possiamo chiedere a Bard di farlo diventare una tabella o un documento di testo all’interno del nostro spazio Google Drive.

Quindi, i nostri dati sono in pericolo?

C’è il dubbio, lo ammettiamo, che Bard sia li a spiarci piuttosto che non solo pronto al nostro servizio.

Però, vi chiediamo, di che dati stiamo parlando? Se sono dei documenti, i nostri documenti sono già sui server di Google, per cui il contenuto è già noto all’azienda, con o senza Bard. Quando, invece, stiamo guardando i risultati di una ricerca su Internet, se i dati ce li ha forniti il loro motore di ricerca, Google li conosce già. Il fatto che vengano ulteriormente manipolati da Bard possiamo definirlo ininfluente.

Per tutto il resto, invece, quello che non arriva dal motore di ricerca di Google e non transita dai loro server non può essere raggiunto da Bard. Per cui, non si pone il problema.

L’unica eccezione, ovviamente, è se noi stessi andiamo a inserire i nostri dati personali nell’interfaccia di Bard. Però, perdonateci, vale lo stesso discorso se li andiamo a inserire dentro Facebook, Twitter, Instagram e compagnia briscola. Per cui, sappiamo già bene a cosa si sta andando incontro; e la colpa è solo nostra.

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Dario Maggiorini

Un boomer con la passione dei videogiochi fin dai tempi di rogue e nethack. Alla fine sono riuscito a farne un lavoro sospeso tra Techprincess e l'accademia. Ho speso gran parte della mia vita a giocare, il resto l'ho sprecato.

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