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“Per un pugno di like” recensione: la libertà ai tempi di Facebook

Non mi piace. No, non è un giudizio sul libro che è oggetto di recensione. Sono tre semplici parole che, ai tempi dei social, sono divenute ora più che mai limitate. I social ci hanno tolto la libertà di esprimere questo concetto. Pensateci, sembra una cosa banale, eppure non è così.
In questo suo nuovo saggio, dal titolo “Per un pugno di like: perché ai social network non piace il dissenso”, Simone Cosimi ci spiega perché dovremmo essere indignati.

Ma facciamo un passo alla volta e cerchiamo di capire di cosa parla il libro e a chi è rivolto.

I like o I don’t like (on Facebook)? Questo è il dilemma

Simone Cosimi non è una penna nuova alle tematiche dei social e dei loro usi e consumi. Coautore di libri come “Nasci, cresci e posta. I social network sono pieni di bambini: chi li protegge?” o “Il cyberbullismo“, nonché giornalista professionista che collabora con Repubblica, D, Wired, VanityFair.it e altre testate nazionali, è uno scrittore che più di una volta ha dimostrato di sapere quello che dice.

C’era bisogno di dire ancora qualcosa sul tema dei social. Alcuni temi trattati nei precedenti testi, vengono ripresi in quest’ultimo libro, come per esempio il tema del cyberbullismo e la privacy, soprattutto verso quegli utenti più fragili, come i minori. Ma l’autore, stavolta, si è soffermato sul concetto dei “like” di Facebook e degli altri social.

Chiariamolo subito: se stavate cercando l’ennesimo manuale o trattato su “come diventare la nuova Ferragni” o “acchiappare una sfilza di like e guadagnare i big money“, ci spiace dirvi che questo testo potrebbe non fare al caso vostro. O meglio, farebbe comunque al caso vostro, ma soltanto se voleste partire dalla volontà di approfondire questa necessità che abbiamo di “piacere” alle persone.

Facebook e altri social: il piacere di non piacere

per un pugno di like simone cosimi libroL’autore esprime accuratamente (e sinteticamente nelle sue 115 pagine scarse del formato cartaceo), una perfetta analisi sulle origini dei “like”, partendo dalla storia di FriendFeed fino ad approdare alla sua evoluzione nel corso del tempo, con l’aggiunta delle reazioni attraverso le emoji o il cuoricino.

Un tracciato che ha l’obiettivo di indirizzare il lettore a trovare, grazie al testo, una e più risposte alla domanda: ma perché abbiamo bisogno di “piacere”? Il libro analizza i processi psicologici e di maketing con cui prima Facebook, poi Instagram, TikTok, Snapchat e altri hanno ridotto le nostre capacità di espressione, riducendo tutto in un unico pollice bene in alto. Nessun pollice verso il basso, nessuna possibilità di dire “non mi piace”. E se vi state chiedendo “ma perché, c’è bisogno proprio di dire che non ci piace?”, sì, il testo spiega perchè c’è realmente bisogno, in un mondo connesso ora più che mai, di dire esplicitamente “non mi piace”. Niente faccine arrabbiate, niente silenzio obbligato, la libertà potente di un esplicito “no, non ci sto, non va bene”.

” […] il piacere è tendenzialmente collegato alla ripetizione mentre il dispiacere alla rottura. Gli esseri umani sono quindi portati a ripetere ciò che genera piacere mentre fanno di tutto, anche se certe volte con difficoltà, per evitare di ripetere esperienze negative. “

In particolare, il testo si sofferma in modo chiaro e allo stesso tempo complesso, attraverso anche gli approfondimenti di altri esperti del settore, sul come mai il dissenso sia stato vietato su Facebook. Viene spiegato il potere e il rischio di dire “non mi piace”, così come capita su YouTube, in cui al contrario una simile presa di posizione da parte degli utenti, possa sfociare in cyberbullismo. O, in aggiunta, un “like” messo su pagine Facebook dichiaratamente antisemite, possa anche compromettere la nostra reputazione sociale. Allora fanno i bene i social a proibirci l’uso del “non mi piace”?

“[…] se un contenuto orribile viene postato su Facebook, la comunità ha certo modo di segnalarlo o di dire la propria commentando, ma non ha la possibilità più forte e potente di farlo fuori, estrometterlo dal dibattito, contribuendo per esempio a farlo sparire dalle bacheche con la sola forza della contrapposizione perfettamente speculare, con tutti gli abusi a cui questo metodo potrebbe andare incontro.[…] “

“Per un pugno di like”: a chi è adatto?

Partendo dall’inizio con una nota di merito per la copertina e il titolo che volutamente gioca con “per un pugno di dollari“, alla fine, l’autore non lascia una propria interpretazione, una risoluzione all’arcano “piacere o non piacere sui social”. Lascia una vera dichiarazione, sostenuta da trattati e ricerche. Forse, anche per questo motivo il libro risulta “accademico“, un saggio probabilmente difficile per chi si aspettava di trovare tra le sue pagine la formula magica del successo. Questo è un libro che non risolve l’algoritmo di Facebook, non coccola il nostro senso di piacere e compiacere, anzi, scrolla le nostre coscienze, è un testo che dovrebbe essere studiato all’Università. Ancora di più in quei master del settore e affini. Alla fine, è un libro che dovrebbe piacervi proprio per il trattato sul non piacere.

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Elisa Erriu

"Lo scrivere" è il suo mestiere. Ma oltre alla coltre delle sue varie esperienze giornalistiche e dei suoi Master, c'è un mondo fatto di fantasy, anime, film, videogame, musica, Ichnusa, My Little Pony e oggettistica del Re Leone (l'originale!). Attenzione: se pronunciate per tre volte il suo nome giapponese, apparirà alle vostre spalle.

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