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Google ha il monopolio della ricerca: la sentenza americana potrebbe cambiare il web

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Un giudice federale negli USA, Amit Mehta, ha stabilito che Google ha violato la legge antitrust statunitense, mantenendo un monopolio nei mercati della ricerca e della pubblicità online. Una decisione che potrebbe cambiare il web come lo conosciamo.

Google e il monopolio nella ricerca: le implicazioni della storica sentenza

L’indagine era partita già dal 2019, il processo dallo scorso settembre. Oggi arriva la sentenza, e ha il potenziale di cambiare il web — anche più di quanto lo stia facendo l’AI. Il giudice Amit Mehta ha emesso una sentenza che dichiara Google colpevole di monopolio nei servizi di ricerca generale e nella pubblicità testuale di ricerca generale. Google è un monopolista, ed ha agito come tale per mantenere il suo monopoliosulla ricerca online, ha dichiarato il giudice.

Questo viola la Sezione 2 dello Sherman Act”, una normativa antitrust di fine Ottocento che, negli Stati Uniti, servì per separare le compagnie monopoliste per il petrolio, il tabacco e molti altri settori dell’economia all’inizio del secolo scorso.

La decisione riconosce la posizione dominante e nociva per la competizione del mercato di Google. Tuttavia, per il momento, non interviene sul merito per dire quali misure Google potrebbe adottare per rendere questo settore più competitivo. Potrebbe limitarsi a impedire alcune tattiche della compagnia, ma anche richiedere di spezzare la compagnia in più entità.

Le ragioni della sentenza: perché Google è un monopolio secondo Mehta

Il giudice Mehta ha respinto gli argomenti di Google secondo cui i suoi contratti con produttori di telefoni e browser come Apple, Samsung o Mozilla non fossero esclusivi. Ha sottolineato che la prospettiva di perdere miliardi di dollari di entrate garantite da Google disincentiva Apple dal lanciare il proprio motore di ricerca, nonostante ne abbia la capacità“.

Durante il processo, è emerso che Google paga ad Apple 20 miliardi di dollari all’anno per essere il motore di ricerca predefinito su iPhone, condividendo il 36% delle entrate pubblicitarie da Safari con Apple.

La sentenza evidenzia la posizione dominante di Google nel mercato della ricerca, con una quota che è passata dall’80% nel 2009 al 90% nel 2020. Il giudice ha descritto il monopolio di Google come “notevolmente duraturo“, sottolineando la mancanza di concorrenza effettiva nel settore.

La questione pubblicità (e le chat cancellate)

Mehta ha stabilito che gli accordi esclusivi di Google hanno permesso all’azienda di “aumentare i prezzi della pubblicità testuale di ricerca senza vincoli competitivi significativi“. Ha respinto l’argomento di Google secondo cui i prezzi, se aggiustati per la qualità, sarebbero diminuiti, definendo questa prova “debole“.

Il giudice, tuttavia, non ha condannato Google per non aver conservato delle chat sulla questione, perché “non avrebbero spostato l’ago” della bilancia sulla decisione. Ma non “condona” la società, facendo capire che la prossima volta potrebbe sanzionare la società se non conserverà le prove di un processo.

I commenti dopo la sentenza

Jonathan Kanter, a capo dell’antitrust per il Dipartimento di Giustizia americano, commenta che questa sentenza “segna la strada per l’innovazione per le prossime generazioni e protegge l‘accesso all’informazione per tutti gli Americani”.

Come riporta The Verge, un portavoce per la rivale DuckDuckGo ha spiegato che “Il viaggio sarà lungo. Come abbiamo visto nell’UE e in altri luoghi, Google farà di tutto per evitare di cambiare la sua condotta”. Ma pensa che questa sentenza darà spazio alla competizione.

Il presidente degli affari globali di Google, Kent Walker, ha assicurato che l’azienda ha intenzione di presentare ricorso contro la sentenza. Walker spiega che la corte “ha riconosciuto che Google offre il miglior motore di ricerca, ma conclude che non dovrebbe essere permesso renderlo facilmente disponibile“.

L’impatto sul settore tech

Questa decisione potrebbe avere ripercussioni significative su altri casi antitrust nel settore tecnologico. Sebbene, dopo il caso US vs Microsoft nei primi anni 2000, l’antitrust americano non abbia più colpito la Silicon Valley, questa decisione potrebbe essere la prima di molte. Amazon, Apple e Meta affrontano attualmente cause simili, e Google andrà a processo una seconda volta in autunno per il suo business di tecnologia pubblicitaria.

La sentenza contro Google segna un momento cruciale nella regolamentazione delle grandi aziende tecnologiche. Ma resta da vedere cosa la giustizia americana chiederà a Google per spezzare questo monopolio. Vi terremo aggiornati.

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