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Valeria Rossi racconta Tre parole: la fotografia di un’intera generazione

Valeria Rossi ci ha parlato delle sue sensazioni a proposito del ventesimo anniversario di Tre parole

Esattamente 20 anni fa, il 7 maggio 2001, faceva capolino nell’ancora rigogliosa industria musicale italiana Tre parole, folgorante esordio della cantautrice Valeria Rossi. Un pezzo solo all’apparenza frivolo e dimenticabile, ma in realtà metaforico e con venature malinconiche. Grazie al suo ritornello orecchiabile e gioviale, giocato tutto sui cliché della nostra musica (“Dammi tre parole: sole, cuore e amore“), Tre parole ha scalato rapidamente le classifiche, fino a diventare il secondo singolo più acquistato dell’anno (battuta solo dal successo dance di Kylie Minogue Can’t Get You out of My Head), con più di 100.000 vendite, condite da due dischi di platino. 

C’è però qualcosa che i numeri non dicono su Tre parole, come la sua capacità di entrare nell’immaginario collettivo e di essere ancora adesso indelebilmente scolpita nei ricordi dei giovani di allora e dei meno giovani di oggi. Un fenomeno sempre più raro, soprattutto nell’epoca di Spotify, dove le hit durano spesso un battito di ciglia, per poi essere superati rapidamente dal fenomeno mediatico successivo, in un’infinita catena di inconsistenza. Ma c’è anche dell’altro. Anche se all’epoca dell’uscita non l’avrebbe immaginato nemmeno la stessa Valeria Rossi, Tre parole è riuscita a fotografare la fiducia e la spensieratezza di un’intera generazione, che di lì a poco avrebbe perso la propria innocenza con l’11 settembre, per poi vedere rapidamente sfumare ogni sicurezza a colpi di crisi economiche, politiche per i più giovani disastrose e, infine, pandemie.

Con il suo testo semplice, efficace, simbolico e che accende istantaneamente la voglia di vita e di gioia, Tre parole è l’immagine più fedele dell’ultima Italia veramente felice e rigogliosa che ci è dato ricordare. Abbiamo parlato del ventesimo compleanno di questa canzone con l’autrice Valeria Rossi.

Valeria Rossi ci ha parlato delle sue sensazioni a proposito del ventesimo anniversario di Tre parole

Ho deciso di celebrare questo anniversario con qualche evento, perché mi sono accorta che in questi 20 anni ha ricevuto tantissimi omaggi e sto cercando di restituirli. Ho iniziato con l’immagine di una coppia di fedi da matrimonio di due persone, con incise le parole “Sole, cuore, amore” e ho deciso di utilizzare questo mese per creare un po’ di comunità intorno a questa canzone. Recentemente, ho organizzato la vendita di memorabilia di Tre parole, con abiti e anche oggetti di scena del videoclip. Un progetto il cui ricavato è andato in beneficenza alla Aflin Onlus, che si occupa dei diritti delle bambine indiane. Se posso dare voce alle donne che non ne hanno lo faccio. È una mia vocazione, anche per via del mio vissuto personale. 

Tre parole è tutta una metafora, le sue parole sono simboliche e universali, non parlano all’intelletto. È un ipertesto, che è quasi più apprezzato oggi. All’epoca dell’uscita arrivava più l’aria che c’era intorno, mentre oggi si capisce di più il messaggio. È un testo molto zen, molto taoista, però forse precorreva un po’ troppo i tempi. 

Come accennavamo in apertura, il ricordo di Tre parole è più vivo che mai.

Adesso c’è più sensibilità verso un certo tipo di linguaggio. Alcuni lo avevano colto già all’epoca, come Umberto Eco, che era un grande estimatore di Tre parole. È rimasta la fotografia di un momento, forse l’ultimo spensierato degli italiani, perché dopo fra Berlusconi, il passaggio all’Euro e l’11 settembre c’è stata una piaga peggiore dell’altra. È stata una canzone molto trasversale, un’opera agrodolce. C’era una venatura di malinconia. Per me era un urlo di disperazione, che conteneva toni dolci ma anche amari, come la vita. Tre parole ha racchiuso in sé diverse emozioni.

Il testo originale era più cupo e crepuscolare, come le sonorità, poi ho accolto i suggerimenti di alcuni collaboratori e abbiamo fatto in modo che contenesse anche una proposta, non solo un lamento. I ritornelli sono sempre un’apertura, e quello di Tre parole è diventato una dichiarazione che ha toccato tante persone. Alcuni mi dicono che è stata la colonna sonora del filmino del loro matrimonio. Mi è piaciuto raccogliere così tante persone in una specie di tribù.

Valeria Rossi ha poi parlato dei riferimenti alla canzone nella cultura pop successiva:

Tre parole ha avuto tanti omaggi, da Boris a Non ci resta che il crimine, passando per Sole cuore amore di Daniele Vicari. Uno di quelli di cui sono più fiera è quello dell’enigmista Stefano Bartezzaghi, allievo di Umberto Eco. Anche Blob l’ha usato più volte per contrasto a immagini violente, come quelle della Diaz.

La cantautrice ci ha poi parlato dell’iconico video di Tre parole, che potete (ri)vedere all’inizio dell’articolo:

Anche se ha richiesto tanto lavoro e l’aiuto di molti collaboratori, Tre parole non è stata costruita a tavolino. La scintilla del video è stata l’intuizione di ruotare tutto intorno al sorriso. Non c’era niente, solo alcuni elementi di disturbo simbolici, degli archetipi junghiani. Il simbolo portante doveva essere il sorriso, che adesso ho ripreso nei miei post. Sono uscita dall’autoreferenzialità dell’artista, quello che conta è il sorriso, non importa che sia il mio.

Valeria Rossi ha poi fatto un doveroso accenno al sempre attuale dibattito sulla condizione femminile:

Adesso c’è più consapevolezza. Con la loro peculiare sensibilità, per fortuna le donne stanno riequilibrando questa visione patricentrica che si auto-mutila di una sensibilità non apprezzata, perché non misurabile e non manovrabile. Le donne non vogliono togliere niente a nessuno, vogliono solo essere; rivendicano il loro diritto a essere. Col tempo ho acquisito consapevolezza, e adesso faccio scelte ben precise. Alla me stessa di ieri direi di avere più fiducia nell’universo, perché tante volte ci troviamo a fare cose dettate da una forza sconosciuta, che poi si rivelano segnanti.

Ma c’è un’erede di Valeria Rossi? La cantautrice la pensa così:

Fra le nuove leve, una abbastanza fuori dagli schemi, in maniera amabile e non contrapponente, secondo me è Francesca Michielin. L’ho notata subito a X Factor, dove portava avanti la sua verità con grande naturalezza, senza proclami. Sta facendo anche lei delle scelte importanti con il suo podcast Maschiacci.

Infine, Valeria Rossi ci ha parlato dei suoi progetti futuri:

Ho appena finito di scrivere un libro con un editore indipendente, molto appassionato. Stiamo definendo la data di uscita, si chiama Il disordine che ho dentro.

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Lucia Tedesco

Giornalista, femminista, critica cinematografica e soprattutto direttrice di TechPrincess, con passione ed entusiasmo. È la storia, non chi la racconta.

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