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Black Panther: Wakanda Forever, com’è il film con Letitia Wright

Black Panther: Wakanda Forever è nelle sale italiane dal 9 novembre.

«Nella mia cultura la morte non è la fine, viene considerata un punto di partenza», dice Chadwick Boseman nei panni di T’Challa in Captain America: Civil War. Una battuta scolpita ormai nell’immaginario collettivo, dal momento che lo stesso attore statunitense che l’ha pronunciata è purtroppo scomparso nel 2020 a soli 43 anni, lasciando sgomenti gli appassionati e gli addetti ai lavori. Ma questo tragico collegamento fra la fantasia e la vita reale racchiude anche il senso della Fase 4 del Marvel Cinematic Universe e in particolare della sua chiusura Black Panther: Wakanda Forever, disponibile dal 9 novembre nelle sale italiane.

Da Avengers: Endgame in poi, il Marvel Cinematic Universe ha dovuto fare i conti con una doppia elaborazione del lutto: quella del mondo fittizio dopo il passaggio di Thanos e quella della nostra realtà, che pochi mesi dopo il lancio di quella memorabile chiusura di un arco narrativo è stata sconquassata dal covid e da tutto ciò che ne é seguito. Non è un caso infatti che a stretto giro sia arrivata la prima serie originale Disney+ della Marvel WandaVision, il film stand-alone sulla Vedova Nera di Scarlett Johansson Black Widow, Spider-Man: No Way Home, Doctor Strange nel multiverso della follia e Thor: Love and Thunder, tutti in qualche modo legati al tema della scomparsa e alla reazione di chi invece resta.

Perfettamente coerente dunque che a chiudere questo delicato passaggio di un franchise sempre più esteso sia Black Panther: Wakanda Forever, che a sua volta è costretto a confrontarsi con la morte di Chadwick Boseman, affiancata inevitabilmente a quella del suo iconico T’Challa.

Black Panther: Wakanda Forever: la morte non è la fine

Black Panther: Wakanda Forever

I primi minuti di Black Panther: Wakanda Forever sono prevedibilmente dedicati proprio a T’Challa e alla sua morte (fuori campo) per una malattia non curabile neanche coi mezzi del potente regno africano. Un passaggio decisamente sbrigativo, affiancato dai caratteristici titoli di testa del Marvel Cinematic Universe, composti solo da immagini di Chadwick Boseman e presentati senza alcun accompagnamento sonoro, a sottolineare la solennità del momento.

Nella necessità di cercare un futuro per una saga priva del suo volto principale, il regista e sceneggiatore Ryan Coogler, insieme al co-sceneggiatore Joe Robert Cole, guarda senza indugio alle donne e alle suggestioni sociali e politiche suggerite dal Wakanda, forti di diversi punti di contatto col presente. Fin dal suo debutto nei fumetti, Black Panther è un simbolo, un’idea. Naturale dunque che questo ruolo, passando per la reggenza della regina Madre Ramonda, vada a Shuri, sorella di T’Challa interpretata di nuovo dalla convincente Letitia Wright. Ancora tormentata per la morte del fratello, Shuri si trova a prendere in mano le redini del regno e a difenderlo da minacce interne ed esterne, fra le quali spiccano indubbiamente l’intero mondo occidentale, irresistibilmente attratto dal vibranio, e Namor, capo di una civiltà di stampo atlantideo con diversi punti di contatto e di attrito col Wakanda.

Nella sua lotta, Shuri non è sola. Oltre a Ramonda (la formidabile Angela Bassett), accanto a lei ci sono la guerriera Okoye (Danai Gurira), la giovane e brillante ingegnera Riri Williams (Dominique Thorne) e qualche vecchia conoscenza con un recente passato tutto da decifrare.

Black Panther: Wakanda Forever e la geopolitica

Black Panther: Wakanda Forever si deve scontrare con difficoltà drammaturgiche evidenti, solo parzialmente mitigate dalla figura della stessa Pantera Nera e dalle dinamiche tipiche di qualunque monarchia, basate proprio sul concetto di discendenza ed eredità. La scelta di Ryan Coogler di puntare su diversi personaggi femminili in luogo di un unico protagonista assoluto porta a un’intricata tela di rapporti interpersonali, che si riflette in una vera e propria ipertrofia narrativa e di conseguenza in un imponente minutaggio (ben 161 minuti). Al centro di tutto c’è il percorso di crescita e formazione di Shuri, alimentato ma non affossato dal confronto col defunto fratello. Letitia Wright dimostra di avere il carisma e l’espressività necessaria al ruolo, aiutata dalla presenza di diverse sottotrame non sempre efficaci ma utili ad assicurare a Black Panther: Wakanda Forever un’accettabile varietà di registri e atmosfere.

Come il precedente capitolo, anche questo sequel si concentra sull’aspetto politico della storia, quantomai attuale. La perfidia con cui le grande potenze mondiali cercano di impossessarsi del vibranio ricorda gli aspri confronti sulle risorse energetiche che stiamo vivendo sulla nostra pelle; gli svariati accenni al colonialismo sono decise e per certi versi inattese stoccate alla politica estera di Stati Uniti ed Europa nei secoli passati; i richiami all’orgoglio e alle tradizioni di un popolo che ribalta lo stereotipo dell’Africa povera e tecnologicamente arretrata ci invitano a riflettere su un mondo sempre più iperconnesso e in perenne mutamento, ben rappresentato dalla fortissima spinta identitaria di tutta la comunità nera, alimentata anche dal successo planetario del precedente Black Panther (capace di incassare poco più di 1,3 miliardi al botteghino).

Fra Aquaman e Avatar

Black Panther: Wakanda Forever

Black Panther: Wakanda Forever convince dal punto di vista della scrittura, dimostrando coi fatti che il Marvel Cinematic Universe è in grado anche di reggere alla scomparsa di un suo volto e di rigenerarsi per attraverso vie narrative inedite e impreviste. Non altrettanto convincente è invece l’impianto scenico costruito da Ryan Coogler, che mostra la corda soprattutto nelle scene di battaglia, sempre abbastanza confusionarie e mai in grado di raccontare una storia nella storia attraverso le immagini. Un’ampia porzione di Black Panther: Wakanda Forever è dominata da ambientazioni sempre suggestive come quelle acquatiche, rese però con scarsa ispirazione e un’evidente sciatteria, al punto che si ha più volte la sensazione di essere di fronte a un malriuscito ibrido fra il variopinto mondo di Aquaman e le spettacolari immagini viste nel trailer di Avatar – La via dell’acqua, che sarà al cinema fra poche settimane.

Il risultato è un racconto pieno di spunti, carico di vitalità e arricchito dalla suggestiva colonna sonora di Ludwig Göransson, depotenziato però da una narrazione in cui il momento del conflitto è sempre anticlimatico. Fra le pieghe di questo ambizioso sequel si scorge però la potenza della macchina produttiva Marvel, che continua a preparare il terreno per l’intreccio fra i vari personaggi proposti al pubblico negli ultimi anni, ad approfondire nuovi villain (come quello impersonato da Julia Louis-Dreyfus) e a raccontarci un mondo sempre più confuso e privo di certezze, in bilico fra le cicatrici del recente passato e un presente scombussolato da conflitti fratricidi e da politiche sempre più ostili e muscolari.

Black Panther: Wakanda Forever e il ricordo di Chadwick Boseman

Black Panther: Wakanda Forever

Black Panther: Wakanda Forever rispetta pienamente le parole di T’Challa, ricordandoci che la morte non è la fine e che c’è sempre un modo per ricostruire sopra le macerie del passato e per superare le divisioni interne ed esterne. Fra la commozione per il ricordo di Chadwick Boseman (imperdibile in questo senso la toccante scena a metà dei titoli di coda) e qualche passaggio a vuoto, emergono una nuova convincente eroina, pronta a scrivere la sua personale storia, e alcuni infidi nemici, che ritroveremo nel prossimo futuro di un Marvel Cinematic Universe meno spumeggiante rispetto al passato, ma sempre in grado di coniugare intrattenimento e acuta riflessione sul nostro complesso presente.

Vi ricordiamo che Black Panther: Wakanda Forever è nelle sale italiane dal 9 novembre, distribuito da The Walt Disney Company Italia.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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