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Trending on Streaming – Il principe è una docuserie senza i Savoia

Tre puntate che raccontano un caso di cronaca che ha coinvolto gli ex-reali italiani

C’è una scena in How I met your mother in cui Barney si presenta a un incontro per supportare un amico che ha problemi con l’alcool con una bottiglia di liquore, pronto a fare festa. Quando gli fanno notare la cosa replica “Questo è quello che mi merito per aver letto di fretta l’invito“. Ecco, la sensazione che può generare Il principe, la nuova docuserie di Netflix protagonista di questo appuntamento di Trending on Streaming è proprio questa. Vediamo bene perché.

Il principe: la docuserie Netflix ci porta alla scoperta di un caso di cronaca molto specifico

Siamo alla fine degli anni ’70. Un gruppo di giovani in vacanza in Sardegna decide di fare un’escursione fino all’isola di Cavallo, al largo della Corsica. Durante la giornata incrociano la strada della famiglia Savoia, dove hanno la propria residenza i Savoia, esiliati dall’Italia. Nella notte poi, accade la tragedia che cambierà per sempre la vita di tutti i coinvolti.

Vittorio Emanuele, il principe che dà il titolo alla docuserie Netflix, vuole spaventare i ragazzi, rei di aver usato il suo gommone. Così si avventura fino alle loro barche e spara due colpi, teoricamente a vuoto. Tuttavia uno di questi colpisce il diciannovenne tedesco Dirk Hamer. Ne nascerà un complesso caso giudiziario, che si muove tra i confini di Francia, Italia e Germania ma anche quelli tra nobiltà e popolo.

Questo è il punto da mettere in chiaro su questa docuserie, che a chi scrive è sfuggito nell’approcciarsi inizialmente. Non si tratta di uno show che racconta la storia dei Savoia, né dall’inizio, né solamente nella loro fase finale, quella successiva all’esilio. Non è neanche un racconto della vita di Vittorio Emanuele, proprio quel principe che c’è nel titolo, se non in parte minore.

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Questo progetto è interamente concentrato sul caso dell’isola di Cavallo. Una vicenda che ha avuto un grande riscontro all’epoca, ma che come tante altre storie italiane tra gli anni ’70 e ’90 non sono davvero arrivate alla nostra generazione. Ed è interessante riscoprirle, ma l’impressione è che in questo caso ci si sia presi davvero uno spazio troppo ampio.

Questa docuserie poteva essere una mail

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Uno dei detti più celebri del mondo del lavoro moderno (tanto più dopo la pandemia e il remote working) è “Questa call avrebbe potuto essere una mail“. Con la docuserie Netflix Il principe, il mood è molto simile, perché tre puntate da 40 minuti sono davvero troppe per raccontare questa storia. E il problema non è il tempo impiegato di per sé, quanto la dilatazione della narrazione che rende meno coinvolgente il tutto.

Perché il caso di Cavallo ha effettivamente diversi elementi appassionanti. Gli eventi che hanno portato alla morte di Hamer hanno quella tensione drammatica, quell’incastrarsi di elementi nel modo peggiore possibile che danno forza al racconto.

Tutto quello che è successo dopo nelle aule di tribunale, ha le caratteristiche delle grandi storie giudiziarie: una sorella che cerca la verità e la giustizia, un potente che mette le proprie risorse a disposizione per difendersi, ipotesi di complotto, prove che spariscono, elementi che riemergono a distanza di anni…

Ma questi elementi sono annacquati in sé stessi, con una loro continua ripetizione che allunga il minutaggio e gli toglie forza. E viceversa, alcuni passaggi che avrebbero meritato approfondimento (come le accuse di Emanuele Filiberto di brogli nel referendum del 1946, lanciate en passant) non hanno particolare spazio.

Il principe su Netflix poteva dare molto di più

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Al di là della delusione per non aver trovato una serie sulla famiglia Savoia, su cui chiaramente Netlix non ha colpe (ma che invitiamo a prendere come suggerimento per il futuro), Il principe resta una docuserie che si prende troppo spazio per la storia che vuole raccontare.

Una vicenda che si è perduta tra le pieghe della cronaca e che merita effettivamente di essere riportata alla luce. Tuttavia una narrazione così prolissa e sbilanciata, ne diminuisce l’impatto e rende l’esperienza meno piacevole. Se invece di uscire in questo formato fosse stata un film di 70-90 minuti, più esplicitamente intitolata Il principe sparatore, probabilmente ci avrebbe fatto un effetto diverso.

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Mattia Chiappani

Ama il cinema in ogni sua forma e cova in segreto il sogno di vincere un Premio Oscar per la Miglior Sceneggiatura. Nel frattempo assaggia ogni pietanza disponibile sulla grande tavolata dell'intrattenimento dalle serie TV ai fumetti, passando per musica e libri. Un riflesso condizionato lo porta a scattare un selfie ogni volta che ha una fotocamera per le mani. Gli scienziati stanno ancora cercando una spiegazione a questo fenomeno.

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