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Il colibrì: com’è il film diretto da Francesca Archibugi

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Il colibrì di Francesca Archibugi è il film di apertura della diciassettesima edizione della Festa del Cinema di Roma, tratto dal romanzo omonimo di Sandro Veronesi, vincitore del Premio Strega 2020, edito da La Nave di Teseo. Nel cast figurano Pierfrancesco Favino, Kasia Smutniak, Bérénice Bejo, Nanni Moretti, Laura Morante, Sergio Albelli, Benedetta Porcaroli e Massimo Ceccherini.

Il colibrì, scritto da Laura Paolucci, Francesco Piccolo e Francesca Archibugi, racconta la vita di Marco Carrera, una vita di coincidenze fatali, perdite e amori assoluti. Il racconto procede secondo la forza dei ricordi che permettono di saltare da un periodo a un altro, da un’epoca a un’altra, in un tempo liquido che va dai primi anni ‘70 fino a un futuro prossimo.

Il colibrì, la recensione del film di Francesca Archibugi

È al mare che Marco conosce Luisa Lattes, una ragazzina bellissima. Un amore che mai verrà consumato e mai si spegnerà, per tutta la vita. La sua vita coniugale sarà un’altra, a Roma, insieme a Marina e alla figlia Adele. Marco tornerà a Firenze sbalzato via da un destino implacabile, che lo sottopone a prove durissime. A proteggerlo dagli urti più violenti troverà Daniele Carradori, lo psicoanalista di Marina, che insegnerà a Marco come accogliere i cambi di rotta più inaspettati.

Sono anni di lotta, di resistenza, anni di illusioni e di infingimenti quelli raccontanti e accolti nell’ultima opera di Francesca Archibugi, anni di legami, invisibili, impercettibili, filiformi come dei Lacci, gli stessi – forse – inquadrati e discussi in precedenza già da Daniele Luchetti in quel sofferente e caustico carnage domestico; sono anni di strade imboccate e direzioni mai intraprese, vite esasperate, ed è la vita la protagonista assoluta de Il colibrì, e la forza morale per sostenerla, per affermarla, per rammentare che c’è, esiste, ed è forse spesso impercettibile, invisibile, ma è li che ti tiene ferma, legata a sé, sempre con un’innata ostinazione.

E il protagonista, motore immobile della storia, vive la sua vita come il colibrì, che vola sul posto senza muoversi, ed è in questo modo, restando fermo senza far niente, che riesce a trovare la forza per andare avanti. Marco Carrera è al centro, è il centro di questo album di famiglia, di questo mosaico composto da tranche de vie, che ci porta in un vortice narrativo, tra passato e presente: il tempo è un concetto esperienziale, emotivo, che quando è attraversato dalle interferenze dell’esistenza vive di una cronologia personale, picchi e abissi interiori, come la memoria, a cui è strettamente collegato.

Il colibrì: un racconto pieno di morte e colmo di vita

In questo racconto il tempo non è uno sguardo fisso, non è immobile, ma vive di sensazioni, vive dei propri peggiori disfacimenti, come il tempo del lutto, che è grave, inaccettabile, pregno di una fissità ineguagliabile, e il tempo del perdono, uno specchio in cui poter contare le proprie rughe, una ad una come in un’autopsia della colpa, e il tempo del protagonista, Marco, un tempo sospeso, perso, risalito, ripreso, perduto.

Marco è un dinamico osservatore della sua stessa vita, e la abita con grazia, con gentilezza, dimostrando che ci sono molti modi di essere un uomo, modi che sfuggono dalla mascolinità e dal concetto tossico di virilità: questo è il punto più lieto e importante di tutto il racconto, la possibilità di essere altro, l’incapacità di stare al mondo realizzando il male, se non il proprio.

Sono i legami, i rapporti che determinano l’opera di Francesca Archibugi, un racconto che indaga e interroga la vita, con le sue crepe, con le fenditure più ostili, forse insanabili, con i suoi urti e le sue scosse telluriche, un racconto pieno di morte e colmo di vita.

Il colibrì è prodotto da Domenico Procacci per Fandango con Rai Cinema, Les Films des Tournelles – Orange Studio e sarà disponibile al cinema da venerdì 14 ottobre distribuito da 01 Distribution.

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Il colibrì
  • Veronesi, Sandro (Autore)
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