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Quando eravamo tutti ingegneri: il Meccano. La macchina del tempo

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Già dai gloriosi (si fa per dire) anni Ottanta del Novecento, a tutti i produttori di giocattoli – per non parlare di quelli dei primissimi videogiochi – è presa la mania del realismo. Quella, cioè, di creare passatempi per bambini e ragazzi che fossero il più possibile simili a ciò che stavano imitando. E che, nella fattispecie dei giochi elettronici, si declinava nella grafica. La locuzione “grafica realistica” non ha ancora smesso di ossessionarci, e a ogni nuova console o a ogni nuova edizione di un gioco si correva (e si corre) a verificare di quanto fosse (o sia) migliorata la qualità della grafica suddetta.

Ci sono tuttavia delle fiere eccezioni. Stiamo parlando di giochi che, forse per pigrizia delle aziende produttrici o forse per snobismo, non hanno mai pensato di rendersi più simili alla realtà. Per prendere due esempi in ambito calcistico, pensiamo al calciobalilla e al Subbuteo, con i loro omini rigidi e goffi, pressoché sempre uguali negli anni, nei decenni. E davvero poco o nulla realistici.

Nel novero dei giochi disinteressati alla possibilità di rinnovarsi c’è anche il mitico Meccano.

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Cos’è il Meccano

Il Meccano, intanto, va scritto con l’iniziale maiuscola. Non per deferenza verso la nostra giovinezza ma perché trattasi di marchio registrato.

Il Meccano era (ed è) un gioco di costruzione di modellini meccanici composto da – come dicevamo – elementi perforati, viti, bulloni e dadi. In rarissime confezione deluxe (che l’estensore di questo articolo ha visto solo in fotografia) esistevano anche sparuti pezzi di plastica, perché il risultato di tanti sforzi dei futuri ingegneri fosse un po’ meno deprimente.

Breve cronistoria del Meccano

Il Meccano nasce nel 1901 su iniziativa di Frank Hornby, commesso di Liverpool, che pensa bene di inventare un passatempo romanticissimo. E lo chiama Mechanics Made Easy (traducibile con La meccanica resa facile).

Il primo set rudimentale era un giocattolo con scopi ludico-educativi, che mostrava alle giovani generazioni le infinite virtù di leve e ingranaggi.

Scherzi a parte, il successo del gioco è subito folgorante, al punto che il marchio viene registrato già nel 1901, anche se si dovrà attendere il 1909 perché si adotti il nome Meccano.

Prodotto dalla Meccano Ltd di Liverpool dal 1908 al 1980, negli anni è diventato noto a livello planetario. Al punto che dal 1916 al 1963 è stata pubblicata la rivista Meccano Magazine.

Tra alti e bassi, e numerosi cambi di proprietà, il gioco Meccano si produce ancora oggi. Attualmente, il gioco viene proposto dall’azienda canadese Spin Master, che ha acquistato il marchio nel 2013. Anche se il grosso della produzione è in Francia, a Calais, per favorire la distribuzione nel mercato europeo.

L’immortale Meccano: l’attitudine a costruire

Il fatto che il Meccano sia immortale, e venga utilizzato ancora oggi nonostante la sua elementarità che fa arrossire, ha almeno due ragioni.

La prima va ricercata nell’attitudine umana a costruire, fabbricare, ingegnarsi da sé. Ogni bambino, grazie al Meccano, poteva sentirsi un ingegnere in erba: se oggi riesce a costruire un camion di metallo, domani saprà fabbricarne e aggiustarne uno vero.

Il paragone più calzante, in questo senso, è quello con un altro gioco all’apparenza eterno: i Lego. Ne riparleremo.

L’immortale Meccano: il sistema imperiale

C’è anche una componente squisitamente tecnica, che fa del nostro gioco un passatempo immortale.

Il Meccano è uno dei pochi prodotti che non si è mai evoluto, lo abbiamo già detto. Ma anche nel senso che dal suo anno di nascita, il 1901, ha continuato a produrre pezzi compatibili tra loro. Questo perché, oggi come più di un secolo fa, il riferimento è stato ed è il sistema imperiale utilizzato per i pezzi perforati: il passo è di mezzo pollice, dado e bullone sono da cinque trentaduesimi di pollici.

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Il Meccano, i Lego e noi

Torniamo, come promesso, al paragone con i Lego.

Il gioco Meccano sembra la versione adulta e mascolina dei Lego. Mascolina o meglio maschilista. Ammettiamolo: non una bambina è stata mai avvistata a giocare col Meccano.

Eravamo in una società sessista, in cui i maschi avevano il Meccano e sarebbero diventati piloti o meccanici, le femmine cullavano le bambole e sarebbero diventate infermiere od ostetriche.

Battute (battute?) a parte, il Meccano – proprio come il Lego, e anche come le bambole – non doveva imitare il reale. Non importa quanto rozze, squadrate e irresistibilmente gotiche uscivano le costruzioni composte col Meccano.

La fantasia colmava il divario tra il prodotto del nostro ingegno e la realtà. A noi bastava mostrare agli altri la nostra capacità a costruire, da sempre una delle attitudini umane. Un’altra, ahinoi, è quella a distruggere: ma questa, come si dice, è un’altra storia.

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