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Splendidi quarantenni: come Rambo raccontò la guerra in Vietnam

Compie 40 anni Rambo di Ted Kotcheff, con protagonista uno strepitoso Sylvester Stallone.

Quando nel 1972 lo scrittore David Morrell dà alle stampe quello che diventerà il suo romanzo più celebre, Primo sangue, la guerra in Vietnam è ancora in corso. Ci vorranno altri due anni prima della caduta di Saigon e 10 prima di vedere sul grande schermo l’adattamento di questo romanzo. Perché nonostante durante questi 10 anni si pensi più volte a rendere Primo sangue un film e al progetto si avvicini una lunga lista di nomi giganteschi, nessuno sembra avere il coraggio di affrontare una vicenda così particolare su un argomento così caldo. Primo sangue parla infatti di un veterano della guerra in Vietnam di nome John Rambo, di come lo stato americano tratta i reduci e di quella che oggi chiamiamo sindrome da stress post-traumatico, ma che al tempo nessuno sapeva come chiamare.

La guerra in Vietnam nel cinema americano

Nel frattempo il cinema americano, che più o meno da Berretti verdi di John Wayne non ha mai smesso di raccontare il conflitto in Vietnam, passando dalle agiografie alla critica talvolta velata, talvolta feroce, decide che è arrivato il momento, ora che la guerra è finita, di dare il giusto spazio e il giusto peso a quanto è successo. Nel 1978 e nel 1979 escono dunque prima Il cacciatore di Michael Cimino e poi Apocalypse Now di Francis Ford Coppola. E fanno un rumore enorme.

Il successo di questi due film evidenzia come esista un filone tutto americano all’interno del cinema di guerra: i film sulla guerra in Vietnam, appunto. Da questo momento in poi viene rotto ogni indugio e gli anni Ottanta segneranno il dispiegamento di grandi mezzi per raccontare il conflitto. E questo significa Platoon, Full Metal Jacket e Nato il 4 luglio. Che ancora oggi, insieme a Il cacciatore e Apocalypse Now, sono sempre presenti nelle classifiche dei film più belli mai fatti sull’argomento.

Prima però c’è stato un altro film.

Rambo Stallone

L’approdo di Primo sangue sul grande schermo: Stallone è John Rambo

Perché a inizio anni Ottanta, quando ormai si sono perse le speranze di portare Primo sangue sul grande schermo – anche ora che grazie a Cimino e Coppola le fragole sembrano mature – ecco che arriva una personalità tutta nuova che da sei anni si sta facendo sentire a Hollywood. È diventato famoso in tutto il mondo interpretando nel 1976 un pugile di periferia che si ritrova a combattere per il titolo contro il campione in carica. Da lì la sua carriera decolla e nel 1981 ha già riportato il suo pugile in sala una seconda volta e sta per arrivare la terza. E nel frattempo è stato in F.I.S.T., I falchi della notte, Fuga per la vittoria e Taverna Paradiso, che segna anche il suo esordio alla regia.

Stiamo ovviamente parlando di Sylvester Stallone e se la storia di Primo sangue è arrivata sul grande schermo come la conosciamo lo dobbiamo a lui, che accetta l’offerta di prendere parte al progetto a patto di poter dare qualche ritocco alla sceneggiatura. Lo script dunque, originariamente redatto da Michael Kozoll e William Sackheim, viene impreziosito dal contributo di Stallone, che rende John Rambo un personaggio meno dalle parti del violento senza controllo e più da quelle del tragico perdente.

L’adattamento di Primo sangue viene dunque finalmente fatto e il 22 ottobre 1982 – esattamente 40 anni fa – esce nelle sale statunitensi First Blood, che da noi sarà distribuito due mesi dopo con il titolo di…

Rambo Stallone

L’importanza di Rambo tra i film sulla guerra in Vietnam

Per capire l’importanza di Rambo all’interno del filone dei film sulla guerra in Vietnam occorre aver presente il comportamento dello stato americano nei confronti dei reduci e come questi ultimi erano visti dall’opinione pubblica. Nella coscienza collettiva americana quella in Vietnam è stata una guerra durata uno sproposito che pian piano, nonostante la massiccia propaganda iniziale, perse appeal. Iniziò ad essere percepita come un’ingiustizia e i reduci venivano visti come sanguinari assassini ai quali lo stato aveva rovinato la vita, raccontandogli un sacco di menzogne.

I reduci della guerra in Vietnam erano persone smarrite, sbandati senza più un senso nel mondo in preda alla sindrome da stress post traumatico. Erano diventate figure scomode per un’America che voleva dimenticare alla svelta gli errori commessi. Tutti volevano ripulirsi la coscienza dal senso di colpa e vedere questi fantasmi aggirarsi per le città, con le loro menomazioni fisiche e le loro ferite da arma da fuoco, non aiutava.

E lo stato, dal canto suo, fece poco e niente per aiutare queste persone in termini economici e umani. Non vennero accolti come eroi di guerra e vennero lasciati in balìa di loro stessi, totalmente impossibilitati al reinserimento nella società civile.

Rambo, Stallone cantore dei veterani del Vietnam

Rambo, a differenza della maggior parte dei film sul Vietnam che raccontano gli orrori della guerra sul campo di battaglia, diventa il cantore di tutti questi emarginati. Costringe l’America a ricordarsi di loro e a riconoscere la vergogna di aver voltato le spalle ai suoi stessi figli una volta mandati al fronte. Quando Stallone riscrive il personaggio decide di renderlo più umano usando quella stessa compassione che in passato ha avuto per Rocky Balboa e sfodera l’arma che nessuno a quel punto si sarebbe aspettato nei confronti dei veterani: l’empatia.

Quello di cui parliamo è un film dove non solo ci ritroviamo ad empatizzare con un ex berretto verde, ma quando al suo ritorno dalla missione lo stato tenta di rimuoverlo, di cacciarlo via, il nostro reagisce, si difende. Risponde alla violenza subìta con quelle stesse armi che lo stato gli ha messo in mano quando lo ha disumanizzato e trasformato in una macchina. Per la prima volta sullo schermo la reazione del reduce al trattamento indegno da parte dello stato non è di isolamento e adombramento, ma di piena e decisa avversione verso il potere costituito che lo ha tradito e abbandonato.

Rambo Stallone

Rambo dopo Rambo

Stallone intuisce le potenzialità di tutto questo e le mette nero su bianco. A dirigere c’è invece Ted Kotcheff, che veniva prevalentemente dalle commedie e che sarebbe tornato sull’argomento Vietnam con Fratelli nella notte. Anche Rambo tornerà in Vietnam e non solo lì: Pakistan, Birmania e infine (almeno per ora) Messico, diventando di film in film qualcosa di molto diverso dalla sua prima incarnazione, ma portando sempre il volto di Stallone, che firma la sceneggiatura dell’intera saga. Sicuramente è dovuto a questa graduale trasformazione se oggi l’immagine di John Rambo è immediatamente collegata a certo cinema muscolare anni Ottanta, ma la prima volta sul grande schermo di questo iconico personaggio resta ancora oggi un ritratto impietoso, toccante e senza compromessi della figura del reduce come non se ne erano mai visti prima.

E il monologo finale «Dove sono finiti i miei amici?» è ancora oggi lì a testimoniarlo.

Se volete approfondire la figura di John Rambo e in generale il cinema di Sylvester Stallone il nostro consiglio spassionato è quello di accaparrarvi la Guida da combattimento a Sylvester Stallone de I 400 Calci, edita da Magic Press.

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