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Diabolik: com’è il film di Mario Bava sul ladro di Clerville

In attesa del film dei Manetti Bros, la nostra analisi del primo adattamento per il grande schermo di Diabolik.

In attesa dell’uscita di Diabolik dei Manetti Bros (in sala dal 16 dicembre con 01 Distribution), vale la pena fare un salto indietro nel tempo e (ri)scoprire Diabolik di Mario Bava, primo adattamento per il grande schermo dell’omonimo fumetto creato da Angela e Luciana Giussani.

Siamo nel 1968, appena 6 anni dopo l’inizio del successo culturale e commerciale del ladro di Clerville. Anche se in quest’epoca letteralmente invasa dai più disparati adattamenti di opere a fumetti può essere difficile da immaginare, in quel momento storico quella affidata a Bava da Dino De Laurentiis era un’operazione decisamente avanguardista. Appena due anni prima erano arrivati sugli schermi di tutto il mondo due importanti esperimenti in questo senso, cioè Modesty Blaise – La bellissima che uccide di Joseph Losey, con protagonista Monica Vitti, e la serie televisiva con Adam West Batman, seguita da un omonimo film. Anche l’Italia non si è fatta attendere: pochi prima mesi di Diabolik è arrivato infatti in sala Kriminal di Umberto Lenzi, seguito poi da Satanik di Piero Vivarelli.

Curioso quindi notare che in un’epoca giustamente considerata giustamente florida e ricca d’inventiva per la settima arte, molti dei più grandi produttori e cineasti del mondo facevano già ciò di cui si accusa il cinema di oggi, cioè inseguire le narrazioni seriali di altri media.

Diabolik: il sublime gioiello pop di Mario Bava

Diabolik

Un altro elemento comune a tutte le epoche dell’intrattenimento è il fenomeno che potremmo chiamare conservatorismo del fan, ovvero la tendenza da parte di una consistente fetta degli appassionati di un progetto o di un franchise a giudicare con sdegno e astio tutto ciò che devia dal prodotto originale, ignorando di conseguenza anche le specificità e le necessità dei vari media. Dopo appena 6 anni dalla sua nascita, Diabolik ha già un nutrito seguito in Italia, con decine di migliaia di lettori che a cadenza quindicinale si recavano in edicola, affamati di nuovi episodi di questo gustoso mix di azione, crimine, violenza ed erotismo, alimentato da una forte carica eversiva.

Anche un maestro del cinema come Mario Bava, già capace di rivoluzionare il genere con pietre miliari come La maschera del demonio, Sei donne per l’assassino e Terrore nello spazio, è atteso da un vero e proprio plotone d’esecuzione, pronto a impallinarlo anche per la minima infedeltà al sacro testo a fumetti. Con il magnetico John Phillip Law nel ruolo del protagonista, la splendida Marisa Mell in quello dell’iconica Eva Kant e due attori di innegabile valore come Michel Piccoli e Adolfo Celi rispettivamente nelle parti dell’ispettore Ginko e del villain Ralph Valmont (creato appositamente per il film), Mario Bava mette in scena un suggestivo gioiello di pop art, carico di inventiva, forte di una sontuosa scenografia e impreziosito da impareggiabili effetti speciali artigianali, che come da manuale viene bocciato da critica e pubblico per la sua non totale aderenza all’opera originale.

Dal fumetto allo schermo

Diabolik

Questo primo adattamento di Diabolik è effettivamente frutto di un arduo compromesso fra lo stesso Bava, che vorrebbe portare sul grande schermo almeno una parte della violenza che sprizza dalle pagine del fumetto, e Dino De Laurentiis, che temendo la censura invita più volte il regista a edulcorare i momenti più truculenti. Da ammirabile professionista, Bava rispetta le indicazioni, riuscendo addirittura nell’impresa di utilizzare solo una parte del budget stanziato del progetto. Questo non impedisce però al regista di riversare sullo schermo tutta la sua inesauribile inventiva, che dà vita a momenti di squisita raffinatezza registica (si veda l’incipit, con il pregevole utilizzo della prospettiva e la caricaturale rappresentazione della polizia del corpo di polizia della fittizia cittadina di Clerville), scene di palpabile erotismo e un impianto visivo capace di resistere al tempo e ai passaggi di sceneggiatura più forzati.

Bava dimostra inoltre più volte il suo profondo rispetto per l’opera delle Giussani e per il fumetto come media. Alcune inquadrature, come l’arrampicata sulla torre del castello, sono infatti riprese fedelmente da precedenti albi, mentre l’azione è letteralmente costellata da inquadrature che imprigionano i personaggi all’interno di contorni ben definiti, in una chiarissima e intelligente riproposizione delle dinamiche delle strisce tanto care ai lettori. Lampanti in questo senso le inquadrature dello specchietto retrovisore all’interno della macchina di Diabolik, come la scenografia che con un prezioso gioco di prospettiva sembra imprigionare Eva Kant durante il suo rapimento. A tutto questo si aggiungono le musiche di Ennio Morricone, che alimentano il clima volutamente surreale del racconto, e la maestria di Bava negli effetti speciali, che lo porta a realizzare inquadrature incredibilmente suggestive solo con l’ausilio di vetri applicati sull’obiettivo, come si può notare per esempio nella caverna del protagonista.

I difetti del Diabolik di Mario Bava

Certo, non tutto funziona alla perfezione nel Diabolik di Bava. Nonostante la formidabile presenza scenica, Marisa Mell non riesce a portare sullo schermo il fascino e la personalità di Eva Kant, che in questo adattamento è più l’amante del ladro di Clerville che la sua effettiva spalla nelle varie attività criminali. Inoltre, può risultare indigesta o addirittura respingente la deliberata scelta del regista di riprodurre la bidimensionalità del fumetto con un continuo gioco di sottrazione, dal quale escono inevitabilmente ridimensionate anche le qualità, le motivazioni e le individualità dei protagonisti del fumetto.

Questi difetti, uniti ad alcuni passaggi narrativi in pericoloso bilico fra genialità e ingenuità, non possono però scalfire la forza che ancora possiede questo Diabolik. Ciò che oggi lascia stupefatti è l’assoluta sfacciataggine con cui Bava tratteggia quello che oggi non esiteremmo a definire un terrorista, che compie spettacolari rapine ai ricchi e allo stato non per aiutare i poveri o per combattere il sistema, ma per pura soddisfazione personale. Una visione politica e sociale che viene ribadita con fantasia e corrosività in due memorabile sequenze, cioè quella del gas esilarante, che porta tutti i presenti a ridere a crepapelle delle minacciose frasi del ministro degli interni, e l’apparizione in televisione di quest’ultimo, che supplica i cittadini di pagare spontaneamente le tasse per non intaccare il bilancio dello stato, con inevitabili prese per i fondelli da parte della popolazione.

Aspettando Diabolik dei Manetti Bros.

Il Diabolik di Mario Bava resta ancora oggi un superbo esempio dell’importanza dell’inventiva dietro alla macchina da presa, della cura maniacale della scenografia, dell’utilizzo dei colori e dell’immagine in chiave espressiva e di effetti speciali semplici ma mai ridicoli. Qualità che possono salvare anche le sceneggiature più deboli e le recitazioni meno ispirate, trasformando un potenziale flop in un cult ammirato ancora oggi, come dimostrano i ripetuti omaggi di Roman Coppola nel suo CQ, dei Beastie Boys nel videoclip di Body Movin e dei Tiromancino nel video di Amore impossibile, diretto peraltro dal figlio di Mario, Lamberto Bava.

Ci auguriamo quindi che i Manetti Bros abbiano fatto tesoro della lezione di Mario Bava, imprimendo al film una visione personale e approfonditamente studiata, non per forza sottomessa alle pagine del fumetto, e traendo il meglio da alcuni formidabili interpreti nostrani, come Luca Marinelli, che interpreterà Diabolik, Miriam Leone, che sarà Eva Kant, e Valerio Mastandrea, che impersonerà invece l’ispettore Ginko. Appuntamento quindi al 16 dicembre in sala per scoprire com’è andata.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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