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Divertirsi da morire. Il discorso pubblico nell’era dello spettacolo: la recensione dell’attualissimo saggio di Neil Postman

La nostra recensione del saggio

Per guadagnarsi lo statuto di classico un libro (così come ogni altra opera d’ingegno) deve rispondere a due caratteristiche: essere fortemente emblematico del proprio tempo, e avere un respiro universale. Cioè, insomma, aver sempre qualcosa da dire.

Non sappiamo se il volume di cui parleremo oggi sarà ancora di grande attualità tra qualche centinaio di anni, ma di certo lo è oggi, a distanza di trentotto anni dalla sua prima edizione. E più avanti vi diremo perché.

Stiamo parlando di Divertirsi da morire. Il discorso pubblico nell’era dello spettacolo di Neil Postman, uscito nel 1985, e che ora LUISS University Press ripubblica con una prefazione di Matteo Bittanti (settembre 2023, traduzione di Leone Diena).

Neil Postman

Autore di Divertirsi da morire è Neil Postman, docente alla New York University per oltre quarant’anni, considerato tra i più importanti sociologi e teorici dei media del Novecento. La sua teoria sull’ecologia dei media è stata la prima risposta alla domanda lasciata aperta da Marshall McLuhan sulle conseguenze sociali, culturali e politiche dell’introduzione di una nuova tecnologia nella comunicazione.

Divertirsi da morire è il libro più importante della sua carriera (oltre che il più noto e tradotto).

divertirsi da morire copertina

Divertirsi da morire: George Orwell e Aldous Huxley

La tesi di fondo, che già si intuisce dal provocatorio titolo dell’opera, è affascinante.

Con Divertirsi da morire Neil Postman vuole dimostrare che la sua contemporaneità (che per certi versi oggi sembra già antica) non ha verificato tanto la profezia di George Orwell quanto quella di Aldous Huxley.

Orwell, nel suo celeberrimo 1984, immaginava un futuro distopico in cui il mondo sarebbe stato dominato da una cupa e ossessiva sorveglianza. Quasi all’opposto si poneva Huxley con Il mondo nuovo, nel quale ha figurato un futuro in cui sarebbe stata la tecnologia a opprimere gli individui. I quali sarebbero stati non solo inconsapevoli, ma addirittura felici di essere conculcati.

Dunque, se per George Orwell il domani sarebbe stato dominato da violenza e paura, per Aldous Huxley questo ruolo di comando sarebbe andato alla frivolezza.

Una mutazione antropologica

Nella prima parte di Divertirsi da morire Postman si occupa di dimostrare che il passaggio dalla carta stampata alla TV come veicolo di informazioni ha portato addirittura a una mutazione antropologica.

L’autore si riferisce in particolar modo al discorso pubblico, come recita il sottotitolo dell’opera, ma il concetto si può facilmente estendere a ogni altro ambito.

In estrema sintesi, non è la televisione a modellarsi sui toni e i tempi di chi comunica attraverso di essa, ma il contrario.

E la televisione, inutile quasi ricordarlo, ripudia la complessità. Occorre, per essere persuasivi in un discorso televisivo, la massima brevità ed efficacia icastica, con buona pace della complessità e dell’approfondimento.

Leggiamo a p. 27: “Con il decadere dell’influenza della carta stampata, il contenuto della politica, della religione, dell’educazione, e di quant’atro sia oggetto di interesse pubblico deve cambiare ed essere rifondato in termini adatti alla televisione”.

Ieri e oggi

Nei capitoli iniziali, Divertirsi da morire analizza il discorso pubblico prima della televisione. Gli oratori organizzavano coerenti monologhi anche di diverse ore, e il pubblico era serenamente abituato a una simile durata. Anche percettivamente: non era affatto ritenuto straordinario rimanere concentrati a lungo, le frasi subordinate e gli incisi non spaventavano.

Insomma, “la stampa ha promosso una definizione di intelligenza che ha dato priorità all’uso obiettivo, razionale della mente e nello stesso tempo ha incoraggiato forme di discorso pubblico con un contenuto serio e ordinato logicamente” (p. 63).

Con la TV, al contrario, non si bada più a elaborare discorsi strutturati, cadere in palese contraddizione non è un problema (pensiamo all’arte della smentita di tanti politici italiani), a importare non è più ciò che si dice ma il grado di penetrazione del discorso. Ed è questo, spesso, che orienta gli elettori al momento del voto: quanti leggono i programmi dei vari partiti?

Per motivi di spazio, purtroppo, non si può qui dar conto dei tanti e brillanti esempi di Postman, che dimostrano come ogni evento televisivo sia ridotto a spettacolo. Compresi i telegiornali, che a prescindere dalla gravità delle notizie annunciate hanno sempre la medesima sigla da spot pubblicitario.

Oggi (e domani)

Se l’analisi di Neil Postman sulla televisione è impietosa, figurarsi cosa avrebbe detto ai giorni nostri, all’epoca in cui Internet e i social media hanno accelerato a dismisura questo processo: la comunicazione è sempre più istantanea, rapida e affidata a frasi brevi. Ogni notizia somiglia a un titolo di giornale, e oggi la TV tanto bistrattata da Postman è paradossalmente diventata… fonte di approfondimento.

Quindi? No, non cadremo in contraddizione. Non negheremo ciò che abbiamo scritto in diversi articoli, e cioè che i social non sono né buoni né cattivi ma dipende dall’uso che se ne fa.

Tuttavia, non c’è dubbio: la comunicazione tramite la Rete e le piattaforme sta impoverendo il linguaggio e annullando la capacità sia di esprimere che di comprendere un discorso strutturato. Oltre a renderci incapaci di mantenere l’attenzione desta a lungo.

Il rimedio è uno solo: non abbandonare la bella, sana e quanto mai preziosa abitudine alla lettura.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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