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“La fine della morte”. L’intelligenza artificiale ci farà vivere per sempre?

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Non smettiamo di ragionare sui profondi cambiamenti che l’intelligenza artificiale sta apportando, e in futuro apporterà in modo ancora più profondo, alle nostre vite.

Curiosamente, almeno in un caso, ciò che potrebbe essere modificato dall’IA sembra somigliare da vicino a un eterno desiderio umano: quello dell’immortalità.

Ne abbiamo parlato recensendo L’architetto e l’oracolo di Gino Roncaglia: il passaggio dal sapere enciclopedico a quello dominato dall’intelligenza artificiale generativa permette di costruire una memoria completa di sé in digitale. Ma la questione non è certo tutta qui: affrontano la possibilità della vita eterna ai tempi dell’IA da una prospettiva più ampia Moritz Riesewieck e Hans Block, in un volume edito da Tlon (novembre 2023, traduzione di Paola Moretti) il cui titolo e sottotitolo sono più che esplicativi: La fine della morte. Vita eterna nell’era dell’intelligenza artificiale.

Gli autori

Come nostra abitudine, iniziamo con un cenno agli autori.

Moritz Riesewieck e Hans Block sono due documentaristi che si occupano delle zone d’ombra nella tecnologia. Insieme hanno firmato il documentario Quello che i social non dicono. The Cleaners, vincitore di numerosi premi e distribuito in tutto il mondo.

La fine della morte. Vita eterna nell’era dell’intelligenza artificiale è il loro primo saggio.

La fine della morte

La fine della morte è composto da due parti, rispettivamente di 8 e 5 capitoli, intitolate Incontri e Osservazioni.

Incontri contiene un fitto di esempi che mostrano come le più moderne tecnologie, e soprattutto l’intelligenza artificiale, sono servite all’uomo per illudersi della propria – o più sovente dell’altrui – immortalità. Nella seconda parte trovano spazio alcune considerazioni degli autori, che tuttavia sono già disseminate lungo i primi otto capitoli.

Incontri

Gli esempi di persone che presumono di trovare l’immortalità attraverso la tecnologia sono numerosissimi.

Ne La fine della morte leggiamo di uomini e donne che hanno perduto persone care, e che pretendono – attraverso il patrimonio digitale di cui si diceva – di continuare a comunicare con loro. In alcuni casi anche attraverso la creazione di un chatbot che, attingendo appunto dalla mole di contenuti online del defunto, offre risposte simili a quelle che avrebbe dato la persona scomparsa.

Più inquietante è chi decide di rendere immortale se stesso. E se si pensa che sia una vanità ed eccentricità di pochi, a p. 70 de La fine della morte leggiamo: “Negli ultimi anni sono nate moltissime start-up che hanno cercato di rivoluzionare digitalmente il lutto e la commemorazione”. Affidandosi a slogan come (è il caso dell’azienda Liveson): ‘Quando il tuo cuore smetterà di battere, continuerai a twittare’.

Di fronte a ciò, sorridiamo nell’apprendere di tanti che si sono creati il loro amante ideale (e, naturalmente, virtuale).

Osservazioni

Nella seconda parte de La fine della morte, Moritz Riesewieck e Hans Block cercano di fornire il loro punto di vista, anche se forse non lo fanno in modo troppo organico.

È intuitivo, come spiegano gli autori, quanto sia difficile accettare la finitezza delle proprie e delle altrui esistenze. Specie quando la scomparsa di una persona cara avviene in modo prematuro e inatteso. Tra chi rifiuta recisamente l’idea di poter “addomesticare” la morte con l’intelligenza artificiale, e chi non vede come delittuosa l’idea di prolungarsi all’infinito tramite l’illusione virtuale, c’è anche chi sceglie una curiosa via di mezzo. Proponendo, ad esempio, una sorta di “data di scadenza digitale” (p. 333).

Riesewieck e Block prendono poi alcuni importanti esempi limite: si domandano, ad esempio, cosa succederà quando l’ultimo superstite dei campi di concentramento non sarà più con noi.

Ma è necessario farlo rivivere attraverso chatbot e avatar? Vale forse la pena ricordare che la memoria si è sempre tramandata attraverso i libri e i manufatti artistici.

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Conclusioni (le nostre)

Insomma: anche se ne La fine della morte non escono mai allo scoperto, i due autori sembrano eccessivamente indulgenti verso le pratiche che permettono di “eternarsi” attraverso la tecnologia.

Certo, l’intelligenza artificiale può rendere vivida l’illusione dell’immortalità. Ma la costituzione di una personalità (e poi, allargando lo sguardo, di una società) adulta passa anche attraverso la capacità di elaborare lutti e separazioni. E attraverso la consapevolezza dei propri limiti, e del fatto che – per quanto la tecnologia evolva – non saremo mai onnipotenti.

Siamo in un’epoca già sufficientemente governata dal narcisismo: non serve davvero aggiungerne altro.

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