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12 bytes: la nostra recensione al libro di Jeanette Winterson

Una raccolta di saggi sul futuro che potrebbe attenderci

Come sarà il futuro prossimo?

Non intendiamo dal punto di vista meteorologico. Ci riferiamo a come potrà essere il mondo, considerato lo sviluppo sempre più accelerato della tecnologia.

Sviluppo che affascina e spaventa: lo stiamo vedendo con i chatbot conversazionali, per cui nutriamo due sentimenti contrapposti, che hanno come conseguenza l’appartenenza di molti di noi a una delle due categorie che a suo tempo Umberto Eco ha chiamato apocalittici e integrati.

Semplificando sino alla brutalità, gli apocalittici vedono ogni progresso come il male, destinato a fagocitare l’umana specificità. Al contrario, gli integrati sono quelli che prendono ingenuamente ogni innovazione come necessariamente positiva e salvifica.

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cover Winterson 12 Bytes

12 bytes

Un punto di vista più equilibrato cerca di darlo Jeanette Winterson con il suo 12 bytes, raccolta di saggi usciti in lingua italiana per Mondadori (gennaio 2023, traduzione di Chiara Spallino Rocca).

Si tratta appunto di dodici testi, suddivisi in quattro sezioni, a cui si aggiunge un post scriptum del 2022 dedicato al metaverso.

La prospettiva adottata dall’autrice è curiosa e ibrida. Winterson infatti è una romanziera che – seppure in forma narrativa – si occupa da decenni di questioni di genere.

In 12 bytes questa, che allo stesso tempo ci pare non solo un’attitudine ma pure una passione (lo si intende dal tono partecipato della scrittrice), si somma con esiti non sempre brillanti a ragionamenti sulle nuove tecnologie, in una doppia direzione temporale, che scopriamo fin dal sottotitolo dell’opera: Come siamo arrivati fin qui, dove potremmo finire in futuro.

Tecnologia e discriminazione

Anzitutto, i saggi si rivolgono al passato, mostrando (in modo un po’ troppo compilativo) le discriminazioni di genere che nei decenni hanno accompagnato anche la comunità scientifica e, più nel dettaglio, il comparto della tecnologia.

La tenacia (e spesso l’ironia) che innerva queste retrospettive non sfocia tuttavia in prese di posizione particolarmente originali.

Verso il novacene

La seconda direttrice temporale in 12 bytes è quella che ci proietta nel futuro.

Ossia in quell’era che, come leggiamo a p. 43, dovrebbe succedere all’antropocene. E chiamarsi novacene.

Anche qui, dobbiamo confessarlo, ci siamo imbattuti in passaggi che talvolta ci hanno lasciato più di qualche dubbio, perché risuonano piuttosto scontati: “Non dobbiamo aver paura della tecnologia: è l’uso che ne facciamo che conta”, leggiamo ad esempio a p. 63.

Noi e l’intelligenza artificiale

Più originale e avvincente ci è parso 12 bytes nei ragionamenti intorno a ciò che potrebbe accaderci, proprio in senso antropologico, con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale.

E anche qui gli elementi cardine che innervano i testi sono due.

Il primo corrisponde a una sensazione che spesso ha visitato anche noi. È perfettamente inutile istituire una sorta di fronte contrapposto ai chatbot conversazionali, ai sistemi di riconoscimento facciale eccetera. Queste tecnologie non solo esistono, ma saranno sempre più pervasive. Occorre semmai domandarci come esse modificheranno la nostra posizione nel mondo.

E in questo senso Jeanette Winterson ci regala forse le pagine più suggestive del volume. L’autrice sostiene che, con buona probabilità, l’IA potrebbe sostituire il nostro atteggiamento predatorio nei confronti del pianeta con uno improntato alla modestia: “Il nostro incontro con l’IA – la nemesi che noi stessi abbiamo creato, la nostra ultima invenzione e, sospetto, la nostra ultima possibilità – potrebbe fare in modo che l’eccezionalismo umano ceda il posto all’umiltà” (p. 119).

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Transumanesimo o provocazione?

Ma è con la confessata simpatia per il transumanesimo che l’autrice si espone maggiormente e, di nuovo, ci convince solo fino a un certo punto.

Winterson accarezza l’idea che una tecnologia sempre più sofisticata possa portare alla creazione di uomini-macchine, che pongano fine a tutto ciò che sino a oggi abbiamo considerato come squisitamente umano.

Sarebbe certamente una prova estrema di marginalizzazione e abbandono del nostro narcisismo, certo. Ma preferiamo immaginare che possano esistere scenari di coabitazione con la tecnologia meno… brutali.

A meno che questa non sia una benefica provocazione della scrittrice. E non lo escludiamo, dal momento che la stessa Winterson propone che, a intervenire nell’universo tech, siano anche gli artisti, che potrebbero aggiungere al rigore scientifico la propria creatività e iconoclastia: “Mi piacerebbe che gli artisti affermati e gli intellettuali militanti venissero chiamati per dare il loro contributo, a ogni livello, nell’ambito scientifico, tecnologico e governativo. L’arte non è un’industria dello svago: ha sempre ingaggiato una lotta emotiva con la realtà, ed è una serie di invenzioni e creazioni. È la capacità di pensare in modo diverso, la volontà di cambiare la conoscenza di noi stessi. Ci aiuta a essere più saggi, più riflessivi, meno impauriti” (p. 275).

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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