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Ed Wood di Tim Burton – Il filo nascosto

Per il nuovo appuntamento con Il filo nascosto, parliamo ancora di Tim Burton e del suo Ed Wood.

Il cinema di Tim Burton è fatto di emarginati, che per il loro aspetto e per le loro passioni sono costretti a indossare maschere più o meno evidenti. È questo il caso di Edward mani di forbice, che pur essendo innocuo è costretto a isolarsi per via delle sue mani taglienti, del protagonista del cortometraggio e del lungometraggio Frankenweenie, troppo preso dallo sfortunato cane Sparky per stringere contatti umani, e persino del suo Batman, costretto a vivere una doppia vita per salvaguardare la sua attività di vigilante. Ma il legame fra passione, emarginazione e dissimulazione è ancora più evidente in Ed Wood, anomalo biopic del 1994 che Tim Burton ha dedicato a Edward D. Wood Jr., definito spesso “il peggior regista di tutti i tempi”, soprattutto per il suo straordinario pasticcio Plan 9 from Outer Space.

Dopo Big Fish – Le storie di una vita incredibile, a cui abbiamo dedicato il precedente appuntamento con la nostra rubrica cinematografica Il filo nascosto, facciamo un piccolo passo indietro all’interno della filmografia di Tim Burton per concentrarci su quella che, a dispetto delle apparenze, è una delle sue opere più personali e autobiografiche. In questa appassionata e sognante cronaca delle disavventure artistiche e produttive di Ed Wood, condita da numerosi episodi inventati di sana pianta, emerge infatti una smodata passione per il cinema e per le storie, la stessa che ha accompagnato i fondamentali anni della crescita e della formazione di Tim Burton.

Facile inoltre leggere nel rapporto fra il protagonista e Bela Lugosi, divo decaduto e distrutto nel corpo e nella mente coinvolto in alcuni dei suoi B-movie, chiari echi del legame fra Tim Burton e Vincent Price, fermamente voluto dal regista per il già citato Edward mani di forbice e scomparso appena un anno prima dell’uscita di Ed Wood.

Una vita e una carriera ai margini

Ed Wood

Prima di procedere oltre, è opportuno spendere qualche parola su Edward D. Wood Jr., sublime incapace prestato al cinema più bizzarro e sgangherato. Nonostante abilità pressoché nulle come regista e sceneggiatore, a cavallo fra anni ’50 e ’60 Wood è riuscito a realizzare una manciata di film ancora oggi conosciuti e apprezzati dai cinefili più incalliti, come Glen or Glenda, La sposa del mostro, La notte degli spettri e soprattutto il già menzionato Plan 9 from Outer Space, considerato da molti il peggior film mai realizzato. Opere caratterizzate da budget ridotti dall’osso, da scene girate alla “eccellente la prima”, da una totale noncuranza delle più basilari norme di continuità e coerenza narrativa e da effetti speciali ai limiti del ridicolo, come dischi volanti sostenuti da fili ben visibili.

Quelli di Wood sono però anche lavori genuini e sinceri, in cui al di là dei limiti tecnici ed economici traspare chiaramente una limpida passione per la settima arte. La vita di Wood è stata una perenne lotta: fondi da trovare, compromessi produttivi e narrativi da assecondare e una passione da crossdresser assolutamente intollerabile per la bigotta morale americana dell’epoca, condita da un vero e proprio feticismo per i golfini d’angora da donna, evidente soprattutto in Glen or Glenda, dove è anche protagonista. La sua non è una favola a lieto fine: sempre più ai margini del sistema hollywoodiano, per sbarcare il lunario finì a girare dozzinali film pornografici, scivolando lentamente nel vortice della depressione e dell’alcolismo, che lo hanno ucciso a soli 54 anni.

Dopo la sua morte, Wood è riuscito a conquistare la gloria e la fama mai raggiunte da colleghi ben più capaci di lui. Le sue squinternate opere sono più vive che mai, e continuano a ispirare e intrattenere gli appassionati: Tim Burton è uno di loro.

Ed Wood: il poetico inno all’incapacità di Tim Burton

Da persona che ha a sua volta subito ostracismo e derisione per le sue passioni e da amante del lavoro di Ed Wood, Tim Burton non è interessato a realizzare un biopic preciso e rigoroso, ma vuole invece cogliere la parte più serena e gioiosa di questo bizzarro personaggio. Per la seconda di numerose volte, assegna quindi il ruolo del protagonista a Johnny Depp, che lo ripaga con una formidabile performance sopra le righe, capace di restituite allo spettatore l’essenza di Wood. Non c’è spazio né per la parabola discendente del regista né per i lati più oscuri della sua personalità, ma solo per il suo approccio incantato e per certi versi infantile a un’arte per cui evidentemente non è portato e per la sua ammirazione nei confronti di Bela Lugosi, che degenera in toccante amicizia.

Attingendo a un arco di poco più di 6 anni della vita di Ed Wood (da Glen or Glenda a Plan 9 from Outer Space), Tim Burton dà vita a un poetico inno all’incapacità, scandito da episodi tragicomici, costellato dalla presenza di veri e propri freak del mondo dello spettacolo e alimentato dall’ammirevole desiderio di restituire onore e dignità a un personaggio bistrattato ben oltre i suoi effettivi demeriti. Un’opera in costante equilibrio fra le esilaranti lavorazioni dei film del protagonista e una palpabile malinconia, avvolta da un bianco e nero che apparentemente non ha nulla a che vedere con le colorate favole dark a cui ci ha abituati Tim Burton, ma che in realtà è la perfetta continuazione di un universo in cui la fantasia e la dedizione sono le uniche armi per riscattarsi da una vita infelice e insoddisfacente.

Il cinismo di Hollywood contro la vitalità di Edward D. Wood Jr.

L’approccio di Tim Burton all’imperfetto mondo di Ed Wood sta tutto nello sguardo estasiato del protagonista, che sussurra più volte “perfetto” al termine di riprese visibilmente afflitte dalle più svariate problematiche. Una sorta di controcampo delle deliranti opere di Wood, che ci restituisce lo spirito di un vero e proprio profeta delle illusioni, devoto a una sua personale e astratta visione della produzione cinematografica. Come accennavamo in apertura, l’analogia più evidente fra Burton e Wood è il rapporto fra allievo e inconsapevole mentore (che tornerà a parti invertite in Big Fish), con l’autore di Edward mani di forbice che proietta su Bela Lugosi tutto l’affetto da lui provato per Vincent Prince, altro indimenticabile volto del cinema di genere americano.

Un formidabile Martin Landau (vincitore dell’Oscar come migliore attore non protagonista per la sua prova ed esaltato da un ottimo trucco, a sua volta meritevole dell’ambita statuetta) carica su di sé tutta la tragicità che Burton ha risparmiato a Wood, incarnando il cinismo della fabbrica dei sogni hollywoodiana. Dopo aver contribuito alla diffusione e alla popolarità del cinema con la sua interpretazione di Dracula, Lugosi si ritrova letteralmente fagocitato dal sistema che ha contribuito ad alimentare. Dato per molti da morto, si aggira come uno spettro per Hollywood, in precarie condizione fisiche e alle prese con un’evidente dipendenza dalla morfina e dal metadone. Quello con Ed Wood è un incontro fra anime perse, che tuttavia regala a Lugosi l’ultima irrealizzabile illusione: rimettere in sesto la sua carriera e prendersi la rivincita sull’odiato Boris Karloff e sul suo mostro di Frankenstein.

Un connubio destinato a fallire, non solo per le problematiche dei due, ma anche e soprattutto per un’industria ingenerosa e irrispettosa del suo glorioso passato.

Non solo risate

Ed Wood

Bela Lugosi accompagna il circo di Ed Wood in tre occasioni (Glen or Glenda, La sposa del mostro e, in maniera tragicomicamente postuma, Plan 9 from Outer Space), in compagnia di altri eccentrici personaggi, che inevitabilmente catturano l’attenzione di Tim Burton. Fra questi c’è la bizzosa attrice e presentatrice Vampira (altra vittima dell’industria dell’intrattenimento), il wrestler e improvvisato mostro Tor Johnson, lo stravagante Bunny Breckinridge di Bill Murray e le due donne della vita di Ed Wood, ovvero Dolores Fuller (Sarah Jessica Parker) e Kathy O’Hara (Patricia Arquette), rassegnate alla personalità difficilmente classificabile del regista.

In mezzo a momenti di abbagliante umanità (le confessioni della passione del protagonista per gli abiti femminili) e attimi di struggente bellezza (l’ultima sequenza girata da Lugosi, inserita a forza nella già sconclusionata trama di Plan 9 from Outer Space), Ed Wood regala allo spettatore aneddoti esilaranti, tratti da reali esperienze del regista. Meritano indubbiamente una menzione la lotta di Lugosi con un pupazzo non motorizzato di un polipo gigante, il chiropratico e improvvisato attore Tom Mason costretto a recitare con il volto semi-coperto per sfruttare la sua somiglianza con il defunto attore senza rivelare la sua identità e il coinvolgimento di un’organizzazione religiosa nella realizzazione di Plan 9 from Outer Space, con la promessa da parte di Wood di utilizzare i ricavi per produrre un film sugli Apostoli di Gesù.

L’ennesima illusione mancata, ma anche un fulgido esempio di sublime cialtroneria applicata alla lotta per la sopravvivenza nello spietato ambiente cinematografico.

Orson Welles ed Ed Wood

A distinguere Ed Wood da altre operazioni analoghe realizzate successivamente (come The Disaster Artist di James Franco, dedicato a Tommy Wiseau e al suo The Room) è lo sguardo assolutorio e sensibile di Tim Burton, che nel terzo atto degenera in sontuosa ucronia. Dopo aver raccontato i vani tentativi di raggiungere il successo da parte di Wood, Tim Burton regala infatti al peggior regista di tutti i tempi un incontro (in realtà mai avvenuto) con quello che da molti è considerato il migliore, ovvero Orson Welles (interpretato da Vincent D’Onofrio). Un segmento breve ma fondamentale per il messaggio del film, che ci mostra come in fondo il più bravo e il più scarso regista siano afflitti dalle stesse problematiche tecniche e produttive, seppur a livelli diversi.

Nell’attimo in cui il cinema più alto incontra l’apoteosi del trash risiede la sintesi del pensiero di Tim Burton, che ha forgiato il suo stile visionario e fiabesco sia con le opere di maestri indiscussi come Federico Fellini, sia attraverso prodotti più sghembi e grossolani, bollati superficialmente come spazzatura. Nel cerchio dell’arte, le opere più belle e quelle meno riuscite sono inevitabilmente destinate a toccarsi, ed è bene non dimenticarlo mai. Soprattutto quando ci si approccia a film considerati trash, ma capaci di resistere sorprendentemente alla prova del tempo, grazie a qualità che non risiedono necessariamente in una sceneggiatura a orologeria, in effetti speciali all’avanguardia o in raffinate prove attoriali.

Il finale di Ed Wood

Ed Wood

Tim Burton si spinge però ancora oltre, e regala a Ed Wood un omaggio simile a quello che anni dopo farà Quentin Tarantino alla sfortunata Sharon Tate in C’era una volta a… Hollywood: un’ovazione all’interno di una sala cinematografica mai avvenuta nella realtà, regalo postumo a una persona scomparsa prima di assaporare l’amore del pubblico per i suoi lavori.

Con la premiere in grande stile di Plan 9 from Outer Space in un tempio di Hollywood come il Pantages Theatre, nella cornice di una pioggia battente da film noir e delle avvolgenti musiche di Howard Shore (scelto dal regista al posto del suo sodale Danny Elfman) e con un avventuroso matrimonio da celebrare a Las Vegas, si chiude questo amorevole inno al cinema di Tim Burton, che da cantore per eccellenza dei freak ha scelto uno dei tanti emarginati da un’industria sempre più orfana della passione e dell’umanità dei tanti Ed Wood sparsi in giro per il mondo.

Ed Wood

“Per difendere l’immaginativa bisogna combattere! Perché spendere una vita a realizzare i sogni di qualcun altro?”

Orson Welles a Ed Wood

Il filo nascosto nasce con l’intento di ripercorrere la storia del cinema nel modo più libero e semplice possibile. Ogni settimana un film diverso di qualsiasi genere, epoca e nazionalità, collegato al precedente da un dettaglio. Tematiche, anno di distribuzione, regista, protagonista, ambientazione: l’unico limite è la fantasia, il faro che ci guida è l’amore per il cinema. I film si parlano, noi ascoltiamo i loro dialoghi.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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