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Il filo nascosto: Lolita di Stanley Kubrick

Il nuovo appuntamento con la nostra rubrica cinematografica ci porta a Stanley Kubrick e alla sua Lolita.

Una frivola musica estiva come accompagnamento, un bizzarro cappello per ripararsi dal sole in giardino e un eccentrico paio di occhiali, che si abbassano lentamente scoprendo uno sguardo angelico e innocente e soprattutto due occhi magnetici e indagatori. È così che Stanley Kubrick ci presenta la sua Lolita. Una presentazione efficace e suggestiva, che coincide con l’inizio della discesa agli inferi di Humbert Humbert, il cui nome riflette la doppiezza del personaggio interpretato da James Mason e le tante facce che successivamente mostreranno i protagonisti di questo sublime adattamento dell’omonimo romanzo di Vladimir Nabokov. Un’opera densa di temi e contenuti, torbida e conturbante, nonostante siano evidenti le limitazioni dovute al famigerato Codice Hays, che dagli anni ’30 agli anni ’60 limitò enormemente la trattazione di tematiche considerate scomode nel cinema americano.

Lolita di Stanley Kubrick si basa proprio su un tema estremamente controverso, già alla base dell’ultimo appuntamento con la nostra rubrica Il filo nascosto dedicato a Morte a Venezia, cioè un amore impossibile che sfocia inesorabilmente nell’ossessione e nella perdizione. Come il compositore Gustav von Aschenbach di Luchino Visconti (anch’esso frutto di una straordinaria penna come quella di Thomas Mann), devoto alla bellezza efebica del giovanissimo Tadzio, anche Humbert Humbert è letteralmente accecato dal trasporto per l’adolescente Dolores, detta Lolita, interpretata dall’allora quattordicenne Sue Lyon. Una passione inconcepibile e inconfessabile, per via della giovanissima età di lei.

Nonostante tutto suggerisca al protagonista di porre fine a questa morbosa infatuazione, Humbert compie tutte le possibili scelte sbagliate: accetta l’invito della madre vedova di Lolita, Charlotte Haze, a prendere in affitto una loro camera e addirittura arriva a sposarla per rimanere vicino all’oggetto dei suoi desideri. Non pago di ciò, dopo l’accidentale morte della madre l’uomo preleva Lolita, proponendosi come suo tutore con evidenti secondi fini. L’inizio della sua fine.

L’incipit di Lolita di Stanley Kubrick

Lolita Stanley Kubrick

Proprio sull’inizio e sulla fine gioca lo stesso Stanley Kubrick, che sceglie di porre nell’incipit di Lolita, subito dopo gli ammiccanti titoli di testa, un confronto chiave fra il protagonista e il Clare Quilty di Peter Sellers, che si conclude con la morte di quest’ultimo sotto i colpi di pistola di Humbert Humbert. In questo suo sesto lavoro, datato 1962, il cineasta statunitense mette in scena un vero e proprio marchio di fabbrica del suo cinema, ovvero una sequenza iniziale altamente simbolica e capace di trasformarsi in una vera e propria dichiarazione di intenti per il racconto. Svariate sono infatti le sfumature e le suggestioni proposte da questi primi folgoranti minuti, a cominciare dai già citati titoli di testa, in cui delle mani maschili, che presumiamo essere dello stesso Humbert, si prendono cura di un piede femminile, con un romantico accompagnamento sonoro del formidabile Nelson Riddle.

La scena più esplicita di un’opera che, proprio per il Codice Hays, deve limitarsi ad alludere invece di mostrare, lasciando alla fantasia dello spettatore gli aspetti più controversi del romanzo, inclusi i rapporti sessuali. Subito dopo, ci spostiamo nella caotica residenza del commediografo Clare Quilty, che appare quasi come un museo, in cui riecheggia il disfacimento della Xanadu di Quarto potere. Il confronto fra Humbert e Quilty è comico e allo stesso tempo carico di tensione. In un ambiente affollato, dove convivono ritratti settecenteschi e tavoli da ping pong e si mescolano dialoghi surreali e colti riferimenti a Spartaco (al centro del precedente lavoro del regista Spartacus), a duellare con le parole e non solo sono un commediografo e un aspirante scrittore. Due diversi modi di intendere l’arte e la narrazione, che si riflettono sulle differenti maniere dei due di approcciarsi alla loro comune ossessione Lolita.

Lolita: la commistione fra generi di Stanley Kubrick

Come nello straordinario Viale del tramonto di Billy Wilder, una morte (che arriva con uno sparo attraverso un quadro, anticipando di fatto il successivo continuo squarcio della bellezza da parte degli anfratti più sinistri della mente umana) dà il via a un flashback che racchiude sostanzialmente tutto il resto del racconto. Inizia così un noir che flirta col thriller, una commedia intrisa di satira nera e un melò che deflagra in road movie, incentrato non solo sull’ossessione, ma anche sullo straniamento e sul tema del doppio.

Volto e corpo di queste tematiche è indubbiamente Humbert Humbert, che sotto una superficie di serietà e rispettabilità è letteralmente dilaniato dall’infatuazione per Lolita, al punto da sposare una donna che non ama, gioire internamente per la sua morte che arriva proprio al momento giusto (ovvero quando Charlotte scopre i suoi veri sentimenti) e portare illegalmente con sé la giovane orfana.

Non è però da meno Clare Quilty, su cui si basa lo svelamento finale del racconto, nonché la classica goccia che fa traboccare il fragile vaso che è Humbert, portandolo direttamente sulla soglia dell’inferno. Anticipando la sua successiva collaborazione con Stanley Kubrick per Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba, Peter Sellers dà vita a un personaggio che porta la doppiezza a un livello superiore, incarnandosi in un diabolico trasformista, che si frappone costantemente ai piani di Humbert ed è a sua volta protagonista di una storia d’amore proibita (sempre fuori campo) con Lolita. Mentre James Mason è autore di una sontuosa prova tutta in sottrazione, che delega al suo diario ciò che sta esplodendo dentro di lui, Peter Sellers è come al solito istrionico, sopra le righe, grottesco, e diventa di fatto il contraltare comico del protagonista.

Dalle pagine allo schermo

Lolita Stanley Kubrick

“Come hanno fatto a fare un film di Lolita?”. Questa fu la frase che accompagnò il lancio del film. Un’efficace mossa di marketing, capace di stimolare attenzione e curiosità, ma anche una domanda che è lecito porsi. Costretto a sintetizzare e a sforbiciare il romanzo di Nabokov, Stanley Kubrick adatta Lolita in un giallo di cui conosciamo già la soluzione, in un mistero svelato in partenza. Così facendo, il regista è libero di concentrarsi sulla tormentata psiche dei protagonisti e di dare vita a un incalzante duello con la censura, in cui a sfidare i rigidi dettami delle autorità sono le allusioni, i non detti e soprattutto le incisive immagini.

Nella lunga fuga di Humbert e Lolita, che attraversa luoghi ordinari come cinema, alberghi, scuole e ospedali, Stanley Kubrick deve escludere dal quadro ciò che ordinario non è, cioè il fatto che il rapporto fra i due evidentemente non è solo platonico. Con la collaborazione dello stesso Nabokov, autore della sceneggiatura, il regista pennella così momenti di cinema altissimo, come la scena del “gioco” nella stanza di albergo, fondamentale per le dinamiche del racconto. Ormai pienamente consapevole del suo ascendente su Humbert, Lolita seduce platealmente l’uomo, ponendosi sopra di lui e mettendo tutta la sua dolcezza al servizio di un dialogo estremamente malizioso, che si conclude con un desiderio, o un suggerimento, sussurrato delicatamente a un orecchio, seguito da un’eloquente dissolvenza a nero.

Apparentemente non abbiamo visto nulla, ma in realtà abbiamo visto tutto. L’eros è sottotraccia ma tangibile, implicito ma pulsante: il grande cinema che trionfa sui burocrati, facendoci percepire e vivere anche ciò che sullo schermo non c’è, e che perciò non è censurabile.

Lolita di Stanley Kubrick: la tragedia di un uomo ridicolo

Lolita Stanley Kubrick 4

Non è affatto un caso il fatto che Lolita sia uno dei film preferiti di un altro maestro del cinema, ovvero David Lynch. Il cantore per eccellenza del perturbante ha infatti basato gran parte della sua produzione cinematografica e televisiva sul contrasto fra l’ostentata perfezione della borghesia americana e le oscure pulsioni che ribollono al suo interno. Mentre Lynch declina questa tematica nella sua poetica onirica e orrorifica, Stanley Kubrick pone la riflessione su un altro piano, mettendo in scena la tragedia di un uomo ridicolo, incapace di comprendere non solo la sua progressiva alienazione dall’ambiente a cui crede di appartenere, ma anche la sua lenta trasformazione in un fantoccio totalmente asservito agli eventi, agli inganni di Quilty e alla sua ninfetta.

Un personaggio sempre più macchiettistico e goffo, che pontifica sul dovere morale di radersi due volte al giorno mentre rapisce una minorenne e che si aggira con abiti inutilmente pesanti e ingessati in contesti decisamente meno eleganti, illudendosi di poter imprigionare l’oggetto della sua ossessione in una bolla fuori dal tempo e dallo spazio. Un uomo sconfitto dal suo precario sguardo, e in particolare da quel primo fatale sguardo, che ha decretato la sua fine. Una biglia che rotola su un piano inclinato, lanciata a velocità sempre maggiore verso l’abisso, in preda a una cieca follia che lo spinge a preservare con ogni mezzo una parvenza di normalità che di normale non ha nulla, vittima della più bieca gelosia e incapace di comprendere persino che l’ambiguo poliziotto, il sedicente psicologo, il misterioso pedinatore e l’invisibile zio di Lolita sono in realtà la stessa persona.

Il beffardo finale

Lolita Stanley Kubrick

La farsa di Humbert Humbert e delle sue personalità costantemente in conflitto si conclude nel modo più squallido possibile. Il ricongiungimento con Lolita non porta a un ritorno di fiamma con il suo amore proibito, ma lo conduce al contrario verso la rivelazione dell’inganno subito e il definitivo rifiuto da parte della ragazza. Ridotto ormai a un pupazzo privo di vitalità e iniziativa, Humbert accetta persino di donare un’ingente somma alla ragazza, prossima al parto del suo primo figlio con un altro uomo. Non gli rimane che un atto di feroce e inutile vendetta, già mostrato nell’incipit. La conclusione della sua misera parabola non merita neanche la dignità dell’immagine: sono i titoli di coda, che scorrono sul quadro bucato dal proiettile, a informarci della sua morte in cella.

Un epilogo apparentemente affrettato e poco ispirato, che ha invece un altissimo valore simbolico. Con la morte violenta di un commediografo isterico e imbroglione, seguita a stretto giro dalla fine anonima di uno scrittore fallito, Stanley Kubrick rappresenta la sconfitta su tutti i fronti della parola scritta per mano dell’immagine, da lui incarnata in quanto regista e fotografo. Un’immagine capace di dominare anche nelle sue forme più rudimentali, come una recita scolastica in cui un caprone corteggia emblematicamente una ninfetta. Anche questa storia di perversione e dissoluzione morale, guidata dal fato e dalla miseria umana, trova così un suo beffardo e logico senso.

Il filo nascosto nasce con l’intento di ripercorrere la storia del cinema nel modo più libero e semplice possibile. Ogni settimana un film diverso di qualsiasi genere, epoca e nazionalità, collegato al precedente da un dettaglio. Tematiche, anno di distribuzione, regista, protagonista, ambientazione: l’unico limite è la fantasia, il faro che ci guida è l’amore per il cinema. I film si parlano, noi ascoltiamo i loro dialoghi.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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