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Screenshot society. Come le fotografie dello schermo raccontano il nostro stare online: recensione

Abbiamo letto per voi il libro di Elisabetta Zurovac

Le nuove tecnologie, e soprattutto la nostra sovraesposizione ai social media, stanno modificandoci profondamente.

Pensiamo ad esempio al linguaggio: la quotidiana pratica di dialogare in maniera istantanea attraverso le chat ha drammaticamente ridotto la capacità di scrivere con una sintassi ampia, e di comprendere un periodo quando in esso compaiano – scandalo! – delle subordinate.

O prendiamo le dinamiche sociali: non è infrequente vedere, al tavolo di un bar o di un ristorante, un certo numero persone in teoria intime e – sempre in teoria – riunite per trascorrere del tempo insieme. Salvo poi constatare che ciascuna di esse è china sul proprio device, intenta a chattare con chissà chi, situato chissà dove.

Lo screenshot (e lo screenshotting)

Tra le pratiche diffuse, ha un curioso e ibrido statuto quella di estrarre un’istantanea dal continuo e magmatico flusso di ciò che capita in rete e, quasi sempre, condividerla.

Stiamo parlando dello screenshotting, ovvero l’azione di salvare o diffondere uno screenshot (cioè l’immagine che rappresenta ciò che appare in un determinato momento sullo schermo di un dispositivo).

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Dell’argomento si è occupata Elisabetta Zurovac, che per FrancoAngeli (marzo 2023) ha scritto Screenshot society, il cui sottotitolo recita Come le fotografie dello schermo raccontano il nostro stare online.

Screenshot society: la nostra recensione

Screenshot society cover

Screenshot society

Il libro si prefigge di fornire una disamina teorica, concentrando l’attenzione sul fenomeno della condivisione delle schermate in tre popolari social: Tumblr, TikTok e Telegram.

Qui, forse, le differenziazioni e l’individuazione di categorie sono fin troppo sottili, e danno conto di una gamma di diverse intenzioni che rischia di somigliare a una sovrainterpretazione.

Ci è sembrata ben più persuasiva, tornando a quanto dicevamo prima, l’analisi della pratica dello screenshotting intesa come azione ibrida, quasi paradossale. Vediamo in che senso.

Lo screenshot come cristallizzazione del flusso

La potenza eversiva dello screenshot è spiegata già nella primissima pagina di Screenshot society. Dove leggiamo che le fotografie dello schermo “si prefigurano allora come cristallizzazioni di un flusso quotidiano e ininterrotto” (p. 15).

È vero: gli screenshot pescano dall’abnorme informazione di dati ciò che di volta in volta ci appare notevole, lo salvano – per così dire – dal flusso, e lo custodiscono.

Ma qui si apre una doppia questione.

La decontestualizzazione

Anzitutto, lo screenshot è la fotografia (nel doppio significato, concreto e metaforico) di un certo istante, ma la sua condivisione è già essa stessa una manipolazione, perché priva la schermata del proprio contesto.

Questo ingenera due fenomeni tipici della nostra contemporaneità virtuale. Il primo, a noi ben noto grazie a una nostra rubrica, è la possibile produzione e diffusione di fake news. L’altro è l’istituzione di rapporti di forza tra l’inconsapevole vittima e il carnefice. In altre parole, l’uso illegittimo dello screenshot, specie se decontestualizzato, può dare vita a tutti i fenomeni di cyberbullismo e violenza telematica di cui anche noi ci siamo occupati in svariate occasioni.

Ad esempio tra gli adolescenti gli screenshot hanno “un ruolo centrale nella negoziazione di questo potere, legata alla popolarità, al controllo, e alla rappresentazioni dei corpi – soprattutto femminili” (p. 73).

Far emergere. Ma per breve tempo

Ma al di là degli utilizzi distorti della condivisione delle schermate, questa pratica ci condanna a essere pedine di quella che, già in tempi non sospetti, Zygmunt Bauman ha chiamato società liquida.

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Perché se è vero che la cattura e condivisione di una schermata, abbiamo detto, interrompe il flusso e ne estrapola momenti esemplari, è pur vero che – una volta inviato altrove – quel contenuto è destinato a ritornarvi, nel flusso.

L’utilizzo compulsivo e pressoché ininterrotto dei device, infatti, ci fa vivere come in un continuum, in un eterno presente che muta con tale rapidità da apparire statico.

E diventa fluido anche il concetto di identità. Siamo desiderosi di mostrare agli altri momenti emblematici della nostra vita. Bene: ma questi vengono visualizzati da altri per qualche istante. Dopo di che vengono dimenticati, per lasciare spazio a nuovi contenuti.

E lo schermo del device si fa materia molle, che nella sua concretezza materica è quasi un prolungamento del nostro corpo, un’impronta digitale: “Si viene così a  creare un contesto in cui l’individuo vive nel suo corpo e grazie ad esso interagisce con il mondo fisico ma anche con la fisicità del virtuale espressa dalla superficie del touch screen” (p. 44).

Gli screenshot e la società dell’incertezza

Nelle sue pagine conclusive, il volume di Zurovac palesa il nucleo del paradosso.

Perché lo screenshot è probabilmente un sintomo della società dell’incertezza. Sì, perché dove tutto scorre a ritmi vertiginosi (e con buona pace della profondità), “lo screenshot sembra essere uno strumento salvifico per contenuti e narrazioni. Perché tramite esso si può decidere di tenere da parte momenti intesi come rilevanti per la memoria personale e collettiva” (p. 120).

Ma tali contenuti vengono condivisi sradicati dalla loro cornice originaria, e così sono fraintesi, interpretati in modo superficiale e arbitrario.

E contribuiscono anch’essi ad alimentare quella stessa cultura dell’oblio che dovrebbero – almeno nelle migliori intenzioni – arginare.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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