fbpx
CulturaPersonaggi

Chi è Antonio Capuano e perchè è considerato il maestro di Paolo Sorrentino

Omaggiato stupendamente in È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, Antonio Capuano è considerato una delle gemme più preziose del cinema partenopeo e italiano. Il regista, che ha da poco compiuto 82 anni, riceverà proprio in questi giorni il David Speciale durante i David di Donatello 2022. Ma chi è realmente Capuano? E come avvicinarsi al suo cinema? Entrambe le domande non sono di semplice risposta, ma forse è proprio Sorrentino a fornirci la risposta ne L’uomo in più, il lungometraggio di debutto del futuro premio Oscar: Capuano è “un uomo libero”. 

Il legame tra i due registi è molto intenso, e oltre a condividere una città, i due si ritrovano anche nel concetto di cinema, come rappresentazione sì della realtà, ma sempre edulcorata da quell’elemento magico che solo la settima arte è in grado di offrire. Pensiamo a Polvere di Napoli, per esempio, film a episodi scritto a quattro mani. Personaggi con sfumature grottesche, che parlano, vivono e si muovono in una città polverosa, sospesa tra realtà e sogno. Del resto giraffe dai balconi di Palazzo Pandola non si sono mai viste, e neppure Squali negli Scavi di Pompei. Ma andiamo con ordine, perchè questo rapporto (e questo personaggio) va raccontato per bene.

Antonio Capuano e le infinite passeggiate con Paolo Sorrentino per Via Caracciolo

Nel 1998 Paolo Sorrentino ha 28 anni e lavora già come sceneggiatore per una fiction RAI chiamata La Squadra. Sogna però di fare il cinema, e difatti scrive numerose sceneggiature. Una di queste, chiamata Dragoncelli di fuoco, grazie al produttore di Sorrentino, Nicola Giuliano, arriva sulla scrivania di Antonio Capuano, che intanto è un regista già affermato dopo aver girato Vito e gli altri (1991) e il ferocissimo Pianese Nunzio, 14 anni a maggio (1996). Lo stile di Paolo piace ad Antonio, che lo invita a partecipare alla scrittura di Polvere di Napoli, film in 5 episodi che rappresenta un chiaro omaggio a L’oro di Napoli di Vittorio De Sica. Tre dei cinque episodi vedono proprio il contributo autoriale di Sorrentino. Per il suo apporto Paolo riceverà 7 miliardi di lire. Nel ricordare le sessioni di scrittura con Capuano dirà: “Facevamo delle passeggiate infinite su e giù Via Caracciolo, così scrivevamo”.

Il Capuano di È stata la mano di Dio appare ruvido, polemico, irascibile. Leggermente diversa è invece la percezione che si ha del vero regista, che sebbene appaia timido, mantiene un atteggiamento schietto, e non le manda a dire. Nelle numerose interviste, anche facilmente reperibili in rete, è possibile apprezzare tutta la verve dell’82enne, che si propone sempre nell’offrire senza filtri la propria visione libera e priva di preconcetti del mondo.

Polvere di Napoli e L’amore non ha confini

Sebbene venga definito da molti “sudespressionista”, in Polvere di Napoli (presente nel catalogo Prime Video) il cinema di Capuano appare quasi surrealista. Visioni oniriche, giraffe a Piazza del Gesù e costanti e grotteschi riferimenti agli animali, nei quali i personaggi puntualmente si trasformano. Una dimensione parallela nella quale i protagonisti parlano e si muovono in una città invasa dalla polvere. La cartina geografica dell’Italia capovolta del quarto episodio, quando uno straordinario Silvio Orlando suona il suo sax, forse potrebbe simboleggiare proprio questo sottosopra, per usare un termine strangerthingsiano.

E poi ci sono le immagini che rappresentano la psicologia dei personaggi. Il tavolo della cruenta partita a scopa diventa infuocato, e i due perdenti hanno un viso sempre più malaticcio e impolverato. O ancora i due sassofonisti col viso macchiato di bolle, nell’apprendere del furto degli strumenti. Quel “i nostri prosciutti sono così buoni perchè noi li facciamo veramente con la carne” da frase banale di inizio episodio diventa rivelazione sconvolgente nel finale. Il film di Capuano è ricco di questi riferimenti: dettagli apparentemente insignificanti che però si rivelano incredibilmente rivelatori: ad esempio la mano fasciata di Mimmo (Giovanni Esposito, nel quarto episodio) e il nome del custode degli Scavi Archeologici di Pompei, che si chiama Pasqualo (secondo episodio). Numerosi sono poi gli elementi che rompono la quarta parete, come gli attori che si rivolgono alla macchina da presa o frasi come “siamo noi i protagonisti del film”. E poi la colorazione della pellicola e l’uso della luce. Ogni elemento nel film ha un significato ben preciso, e l’effetto straniante è sempre dietro l’angolo.

Le pistole che sparano in aria, pesci che cadono dal cielo e la caratterizzazione dei dialoghi sono elementi che ritroveremo anche in L’amore non ha confini, un cortometraggio di Paolo Sorrentino del 1998, dove c’è tantissimo dello stile di Antonio Capuano manifestato in Polvere di Napoli.

L’importanza dei dialoghi come caratterizzazione dei personaggi

E poi ci sono quei dialoghi, quel modo di esprimersi. Dal vocabolario di un uomo si capisce la sua intera vita e il suo posto nel mondo, e questo Sorrentino e Capuano lo sanno bene. Già dall’inizio del film, nel primo episodio, quello della partita a carte, ritroviamo dei bambini giocare a calcio con l’immancabile Super Santos. Una scena che chi ha vissuto a Napoli conosce bene. Uno dei ragazzi propone un gioco: “facciamo i triangoli”, intendendo di passarsi il pallone attraverso tre vertici. Un altro risponde, in napoletano: “si sapevo fa’ e’ triangoli iev a’ scola”. Una frase semplice ma che racchiude tutto. Non solo il banale (che banale non è mai) concetto dell’assenteismo scolastico in favore della strada, ma anche l’universo che permea gli scugnizielli: la risposta pronta, l’irriverenza, il saper controbattere con ogni mezzo alla vita.

Frasi secche, più o meno utilizzate a Napoli, che sono in grado di caratterizzare da sole tutti i personaggi. “Io e mio fratello beviamo solo Chivas” o “Giochiamo a credito? Nun ce so’ maje stato, ma che r’è? N’u paese nuovo?”. In questa scena c’è un monologo di oltre un minuto del personaggio di Sanguetta (Gianni Ferreri) che infierisce sugli avversari, senza pietà: “Vi è rimasto qualche cosa? Gli orologi ve li siete giocati, gli anelli pure. Volete giocare, ma che cazzo vi giocate. […] Ditemelo voi che vi volete giocare. Vogliono giocare ancora, ma che capa di cazzo vi giocate?!” “Le carte senza le pezze non servono a niente, e qua deve scorrere il sangue”.

O ancora nel quinto episodio, quando due sassofonisti discutono sulla performance, e uno dice all’altro “Stiv n’de chiavett”. Si tratta di un’espressione tipica di Napoli, che deriva proprio dal mondo della musica, e che viene comunemente utilizzata per indicare una situazione spiacevole. Di questi e tanti altri dialoghi presenti nel film potremmo parlare per ore, giorni, settimane.

“Ciò che si vede nei film, anche se a volte luccica, non è tutto Oro, rassomiglia più all’argento e, il più delle volte è polvere”.

Polvere Di Napoli
  • Orlando,Taiuti (Attore)

Da non perdere questa settimana su Techprincess

✒️ La nostra imperdibile newsletter Caffellattech! Iscriviti qui 
 
🎧 Ma lo sai che anche Fjona ha la sua newsletter?! Iscriviti a SuggeriPODCAST!
 
📺 Trovi Fjona anche su RAI Play con Touch - Impronta digitale!
 
💌 Risolviamo i tuoi problemi di cuore con B1NARY
 
🎧 Ascolta il nostro imperdibile podcast Le vie del Tech
 
💸E trovi un po' di offerte interessanti su Telegram!

Marco Brunasso

Scrivere è la mia passione, la musica è la mia vita e Liam Gallagher il mio Dio. Per il resto ho 30 anni e sono un musicista, cantante e autore. Qui scrivo principalmente di musica e videogame, ma mi affascina tutto ciò che ha a che fare con la creazione di mondi paralleli. 🌋From Pompei with love.🧡

Ti potrebbero interessare anche:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button