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Monster, com’è il film diretto da Hirokazu Kore’eda

Kore’eda ci sorprende con una storia struggente, che vincola lo sguardo e infrange ogni certezza. Monster, presentato durante l’ultimo Festival di Cannes, in cui si è aggiudicato il premio per la Miglior Sceneggiatura, nelle sale distribuito da Lucky Red e Bim Distribuzione, è una storia preziosa, una storia periferica, una famiglia orfana di un padre e un marito che deve convivere con l’assenza e il silenzio abbottonato sui vestiti. 

Tutto comincia con un edificio in fiamme, una fiammata contro il cielo notturno, che diventa anche lo spettro emotivo che aleggia sul film. La mamma single Saori (Sakura Ando) e suo figlio Minato (Soya Kurokawa) osservano l’incendio divampare nell’edificio, che è anche il sito di un bar poco raccomandabile, in cui circola voce che l’insegnante di Minato, il maestro Hori (Eita Nagayami), è uno dei clienti.

Monster, la recensione del film di Kore’eda presentato a Cannes

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Apparentemente tra l’insegnante e Minato non c’è un bel rapporto, al punto che Minato torna a casa spesso scosso, rivelando alla madre che l’insegnante lo sta bullizzando e umiliando in classe. Quando Saori irrompe nell’ufficio della preside (Yûko Tanaka) chiedendo una spiegazione, la scuola cerca di liquidarla con una scusa bizzarra, completa di inchini e di scuse. Il dispiacere è così poco sincero che Saori diventa solo più furiosa. La storia diventa però più complicata quando l’insegnante rivela che in realtà è Minato che sta bullizzando un altro bambino. Ma la verità è più complicata. 

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Kore’eda vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes per Un affare di famiglia nel 2018, collabora con lo sceneggiatore Yûji Sakamoto e il compositore scomparso Ryuichi Sakamoto, che crea melodie che si combinano con le immagini creando un effetto sbalorditivo, un quadro della vita in tutta la sua bellezza e il suo dolore.

Monster è un racconto che ci sfida, che cambia continuamente prospettiva, un dramma familiare sul bullismo, l’omofobia, la disfunzione familiare, tutto per creare un senso di inadeguatezza che fluisce ovunque: stare al mondo come atto di inadeguatezza. Il cinema di Kore’eda riflette spesso sui ruoli familiari che si sviluppano al di fuori di una cornice affettiva canonica e istituzionale, e anche questa volta Kore’eda crea una storia attenta, piena di colpi di scena nascosti, e veste il film in diversi generi, a volte come un thriller e a volte come un mistero.

Monster, la nostra recensione del film di Kore’eda

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Il modo in cui Kore’eda posiziona la telecamera e costruisce suspense è fatto con attenzione, a cominciare dalla prospettiva di Saori, che è la prospettiva più sfornita di informazioni, la più costretta, la più inconsapevole: che ci piaccia o no, i genitori tendono ad essere le persone che sanno meno dei loro figli. Le altre due prospettive sono consegnante nelle mani del maestro Hori e di Minato: noi vediamo la storia riavvolgersi ogni volta attraverso il loro sguardo, elemento che rende la storia un insieme di tre film diversi, di tre generi diversi, uno dopo l’altro, che esaminano gli stessi eventi da tre prospettive diverse. 

Nella testa dello spettatore si agitano domande continue, e spesso anche in contraddizione tra loro, essendo Monster un ritratto mutevole e a volte difficile da seguire di diverse persone che abitano lo stesso microcosmo, ognuno dei quali si rivela molto più complesso e insondabile di quanto potremmo supporre. Kore’eda è abile nel selezionare e mostrare quasi in maniera chirurgica, e anche manipolatoria, solo pezzi selezionati della vita privata di ciascun personaggio, al punto che ci obbliga subito a saltare a conclusioni sbagliate, distraendo lo spettatore con tematiche come il bullismo, l’aggressività e il suicidio quando il vero argomento cardine è come i bambini vengono socializzati e le pressioni ingiuste e le aspettative che vengono poste su chiunque non si adatti alla norma.

Monster, la recensione del film: il ritratto della società attraverso gli occhi di una madre, un insegnante e un bambino

Monster non è un film sui mostri, ma è il mostruoso il tema del film, il mostruoso inteso come affermazione disattesa, come perdita, come lutto, come incomprensione, incomunicabilità: questa storia sull’infanzia, l’amore inizia sotto il segno del disastro e ci ricorda continuamente quanto sia vulnerabile il nostro mondo. Tutto è colorato dall’angoscia, dalla tensione e dalla paura di ulteriori perdite e di scivolare nell’oblio, come se il film fosse costantemente in bilico tra questo mondo e un altro.

Rashomon di Akira Kurosawa potrebbe essere il punto di riferimento per una storia come questa, anche se le prospettive di Monster non sono mai sbagliate o disoneste, solo incomplete. Non stiamo davvero vedendo storie diverse, ma piuttosto la stessa storia da diverse prospettive, che ritorna tre volte all’immagine dell’edificio in fiamme. Ogni volta che Kore’eda torna sul fuoco sappiamo che siamo tornati all’inizio della storia.

Cucendo le storie in modo preciso, tagliandole, e mostrandoci i pericoli delle prospettive frammentate, il regista non fa altro che dimostrare come la compassione possa tramutarsi in una forza crudele quando percepita in frammenti, senza contesto, senza storia, e come tale non è uno stato, non è qualcosa di naturale: la compassione è un processo che richiede una discussione, un’espansione del proprio campo visivo. 

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  • Editore: Laterza
  • Autore: Konstantin S. Stanislavskij , F. Malcovati , A. Morpurgo , M. R. Fasanelli
  • Collana: Biblioteca universale Laterza

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Lucia Tedesco

Giornalista, femminista, critica cinematografica e soprattutto direttrice di TechPrincess, con passione ed entusiasmo. È la storia, non chi la racconta.

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