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Metal Lords: com’è il film Netflix

Metal Lords è disponibile dall'8 aprile su Netflix.

Nel corso degli anni, il legame fra Netflix e i racconti adolescenziali si è fatto sempre più stretto. Una scelta derivante dal successo di opere come Stranger Things, Le terrificanti avventure di Sabrina e Sex Education, ma frutto anche della crescente attenzione della piattaforma nei confronti di questa fascia d’età, che rappresenta un bacino di utenza ambito da qualsiasi tipologia di business. Nella moltitudine di teen drama e commedie adolescenziali che affollano Netflix, irrompe anche Metal Lords, curioso esperimento che fonde un classico racconto di formazione ad ambientazione liceale con un filone musicale e culturale da sempre controverso come l’heavy metal. Un film diretto dal regista di Nick & Norah – Tutto accadde in una notte Peter Sollett e firmato dai creatori de Il trono di spade D.B. Weiss (sceneggiatore e produttore) e David Benioff (produttore esecutivo), al loro secondo progetto Netflix dopo la miniserie La direttrice.

Metal come passione artistica, ma anche come stile di vita in aperto contrasto con quello di un tipico adolescente. Un’ambiguità di fondo su cui nasce la bizzarra amicizia fra Hunter (Adrian Greensmith), vero e proprio cultore del genere, e il più pacato Kevin (Jaeden Martell, già visto in It e Cena con delitto – Knives Out), batterista alle prime armi che vede nella musica una possibilità per uscire dall’emarginazione sociale. L’obiettivo dei due è partecipare alla rinomata Battaglia delle Band, massima aspirazione per i giovani musicisti del posto.

Mentre la ricerca di un bassista per gli Skullfucker langue, Kevin incontra Emily (Isis Hainsworth), violoncellista con un problema di gestione della rabbia con cui intreccia una relazione artistica e sentimentale. Il trio è completo, ma Hunter vede nel nuovo elemento una minaccia per la stabilità della band. La tensione sale sempre di più e porta a conseguenze imprevedibili.

Un racconto di formazione metal

Metal Lords Netflix

Con Metal Lords, Netflix cerca insieme al suo team creativo un difficile compromesso fra lo stile rassicurante e raramente spigoloso delle proprie produzioni e la filosofia metal, che nasce anche e soprattutto in contrapposizione al perbenismo e al puritanesimo. Rifacendosi a punti fermi del filone come School of Rock, Alta fedeltà e Sing Street, Peter Sollett mette in scena un appassionato omaggio al mondo del metal, dall’anima indie ma dagli intenti squisitamente commerciali, grazie anche alla partecipazione di leggende del metal come Kirk Hammett, Rob Halford, Scott Ian e Tom Morello, autore del brano degli Skullfucker Machinery of Torment.

Da una parte, è lodevole il tentativo di trattare tematiche importanti e urgenti come le droghe, la solitudine, il bullismo e il disagio psicologico, attraverso il filtro della passione per un genere che nel 2022 deve ancora convivere con un incomprensibile stigma sociale. Al tempo stesso, spiace evidenziare che tutti questi temi vengono affrontati con estrema superficialità e messi in secondo piano in nome di dinamiche ormai logore del teen drama, come il contrasto con il bullo della scuola (in questo caso totalmente privo di spessore) o la presunta difficoltà di convivenza fra amore, amicizia e passione. A questo proposito, risultano particolarmente sgradevoli e fuori tempo massimo le continue punzecchiature di Hunter ai danni di Emily, ripetutamente definita la Yoko Ono degli Skullfucker.

Difetti che sarebbero comunque perdonabili se Metal Lords si concentrasse con entusiasmo e coerenza sulla musica e sulla sincera passione che essa richiede. Sorprendentemente, il metal invece si vede e si sente pochissimo, nonostante i continui e didascalici riferimenti alla storia del genere.

Metal Lords: l’edulcorata trasgressione di Netflix

A lasciare perplessi è inoltre l’approccio alla materia da parte del team creativo di Netflix, che è talmente terrorizzato dall’idea di fare passare concetti sbagliati e pericolosi da trasformare Metal Lords in un’aperta negazione del pensiero metal, ovvero in un invito al compromesso e all’aderenza alle convenzioni sociali. Non c’è traccia della provocazione e della fascinazione per il metal alla base di piccoli cult come Deathgasm e Metalhead, e nonostante i tentativi di animare il percorso dei protagonisti con le sonorità tipiche del genere tutto si riduce a un ostentato inno all’autocensura e al rispetto delle regole.

Esemplare in questo senso è l’evoluzione del personaggio di Hunter e la stessa Battaglia delle Band, che almeno lascia intravedere i più significativi sprazzi musicali. Un fiore inserito nel nome della band (e visivamente al posto di un teschio) per aderire ai dettami scolastici, annullando ogni traccia di trasgressione, diventa il simbolo dell’intero progetto: il metal visto dai boy scout, fatto e studiato non per provocare e abbattere barriere morali ma come maschera da indossare per distinguersi dalla massa, restando però saldamente all’interno di essa. Una trasgressiva passione si trasforma quindi in macchietta esplicitamente piegata al sistema, col risultato di annullare qualsiasi tentativo di abbattere i pregiudizi sul metal e sui metallari, socialmente accettabili solo quando normalizzati e ripuliti.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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