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Lo smart working ci salverà dal Coronavirus

Il Coronavirus costringerà buona parte della popolazione italiana ad adottare quello stile di vita tanto caro a noi introversi: l’isolamento. Ebbene sì, i casi nel Bel Paese stanno aumentando, la fobia dilaga e quelle che prima erano solo indicazioni di massima – basate sul buon senso – ora sono diventati consigli preziosi. Da qui la necessità non solo di curare la propria igiene, ma di mantenere la giusta distanza dalle altre persone, soprattutto se tossiscono o starnutiscono.

In questo scenario – non entusiasmante ma ben lontano dall’Apocalisse – si inserisce lo smart working, ossia la possibilità di sfruttare la tecnologia per lavorare da remoto. Ovvio che questo non riguarda tutte le categorie, ma se svolgete un tradizionale lavoro d’ufficio, se siete soliti lavorare al PC o se passate molto tempo al telefono, allora il telelavoro  potrebbe fare al caso vostro.

Smart Working che cos’è?

Prima di capire perché lo smart working potrebbe rappresentare la soluzione ideale, dobbiamo capire che cos’è.

In italiano lo abbiamo tradotto con “lavoro agile” e nel nostro ordinamento viene così definito:

«una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.»

Insomma, l’idea è quella di lavorare dove volete e quando volete, a patto che vengano raggiunti determinati obiettivi. Penso, ad esempio, ad una grossa società che richiede comunque un numero minimo  (ma anche massimo) di ore, penso a coloro che devono consegnare lavori e progetti prima della scadenza e penso anche a chi deve “presenziare” ugualmente alle riunioni del proprio team.

Smart working quindi non significa che ognuno fa come vuole, ma che posso svolgere la mia attività lavorativa ordinaria anche stando seduto sul divano di casa, in giardino o al mio bar di fiducia.

Per noi – millenials che scriviamo online – è praticamente un’abitudine consolidata. Buona parte del mio lavoro infatti può essere svolta ovunque: basta uno smartphone, un computer e una buona connessione. Ah, dimenticavo: la corrente elettrica. Perché ok il lavoro agile, ma scrivere articoli nel cuore dell’Amazzonia senza poter alimentare il portatile sarebbe difficoltoso anche per MacGyver.

Smart working vs Coronavirus

Il titolo, spero l’abbiate già intuito, è volutamente provocatorio. Prima di tutto perché la situazione non è ancora così drammatica e, in secondo luogo, perchè non tutti possiamo optare per il telelavoro. Ci sono decine di categorie professionali che non possono concedersi questo lusso.

Supponiamo però che voi apparteniate alla fetta di popolazione che può fare tutto per via telematica. Come passare a questa nuova modalità di lavoro? E quali sono i vantaggi?

Basta organizzarsi

Lo smart working è ormai sempre più diffuso. Decine di aziende hanno implementato questa modalità e molte altre la stanno considerando. Non è quindi una novità assoluta, ma una variante già nota ed apprezzata. L’ostacolo più grande – potete immaginarlo – è l’organizzazione: più è grande l’impresa, più è difficile coordinare l’attività e controllare i propri dipendenti.

Le difficoltà però non riguardano solo le diverse società, ma anche i singoli dipendenti e professionisti. Tecnicamente infatti lo smart working non richiede un hardware particolare. Come dicevo prima, bastano un telefono, un computer ed una buona connessione. Il resto è facilmente implementabile usando una serie di software come Skype, Office 365 e i servizi di cloud storage. Il problema principale è mentale e riguarda l’organizzazione. 

Cosa fare quindi per lavorare in maniera efficace anche da remoto?

  • usate le app to-do (Microsoft To Do, Todoist o TickTick) per segnare i vostri compiti;
  • decidete quante attività spuntare quotidianamente e… fatelo!
  • prendete le giuste pause a seconda del vostro ritmo di lavoro (possono essere poche e lunghe o tante e brevi);
  • datevi degli obiettivi settimanali da raggiungere; 
  • rimanete in contatto con i vostri colleghi per non perdere il senso della realtà, per mantenere un buon feeling con il team e focalizzare le giuste priorità.

Perché scegliere lo smart working

Il vantaggio più evidente – considerando proprio la diffusione del Coronavirus – è la mancanza di contatto. Il Ministero della Salute infatti consiglia di mantenere almeno un metro di distanza dalle altre persone, soprattutto se mostrano tosse, raffreddore e febbre.

Naturalmente non è l’unica ragione per cui dovreste sposare il lavoro agile. Il telelavoro infatti:

  • riduce lo stress;
  • vi permette di dedicare più tempo al lavoro, ma anche a voi stessi, a famigliari e ad amici;
  • riduce le spese di benzina, mezzi pubblici, parcheggi, autostrade, ecc;
  • vi aiuta a trovare il vostro ritmo invece di sostenere quello imposto da qualcun’altro.

Perché non scegliere lo smart working

Non voglio illudervi. Non è tutto oro quel che luccica. Lo smart working comporta qualche rinuncia e qualche piccolo sacrificio. Ovviamente non siamo tutti uguali e non tutti andremo incontro agli stessi problemi, ma qualche elemento in comune possiamo sicuramente trovarlo:

  • si lavora di più: essere a casa ci spinge a continuare oltre il normale orario perché tanto non dovete tornare alla vostra abitazione, ci siete già;
  • lavorate nello stesso ambiente in cui vivete e, alla lunga, potrebbe portarvi ad odiarlo, a vederlo come un luogo dove faticate e non vi rilassate mai;
  • l’interazione con il team di lavoro è più bassa.

Non dimenticate che ora – a causa della diffusione del Coronavirus – molti di noi fanno e faranno il possible per ridurre il contatto con il resto del mondo ma, un domani, passato il COVID-19, è probabile che vogliate riprendere ad interagire con il resto del mondo perché sì, alla fine gli altri umani – quelli che adesso evitate, additate e magari insultate – vi mancheranno.

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Erika Gherardi

Amante del cinema, drogata di serie TV, geek fino al midollo e videogiocatrice nell'anima. Inspiegabilmente laureata in Scienze e tecniche psicologiche e studentessa alla magistrale di Psicologia Clinica, dello Sviluppo e Neuropsicologia.

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