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Obbligare i dipendenti ad accendere le webcam viola i diritti umani

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Una corte olandese ha deciso in favore di un dipendente licenziato per non aver tenuto accesa la webcam durante lo smart working, arrivando a dire che obbligare i dipendenti a farlo viola i diritti umani. I giudici pensano che l’obbligo sia “in conflitto con il rispetto della privacy dei lavoratori”.

Webcam per lo smart working, non si può obbligare a tenerla sempre accesa

L’azienda americana Chetu, che si occupa di software aziendali, ha assunto un dipendente in Olanda per il telemarketing. E ha chiesto al lavoratore di accedendere la propria webcam durante lo smart working (nove ore al giorno) e tenere aperto sul PC un programma di condivisione dello schermo. Il dipendente si è rifiutato di farlo, provocando il licenziamento per “rifiuto di lavorare” e “insubordinazione”.

Il lavoratore ha fatto quindi appello alla corte del proprio Paese, che gli ha dato ragione. Nel verdetto i giudici parlano della privacy e di come la sorveglianza tramite webcam sia una violazione dei diritti umani. Tenere la webcam spenta quindi non può essere una motivazione per licenziare un dipendente.

Sorveglianza continua

Il dipendente, il cui nome non è stato divulgato, aveva cercato di spiegare all’azienda la propria obiezione. “Non mi sento a mio agio ad essere monitorato per nove ore al giorno da una videocamera. Questa è un invasione della mia privacy e mi mette a disagio. Questo è il motivo per cui la mia videocamera è spenta”. Il dipendente inoltre fa notare che l’azienda poteva già monitorare tutte le mie attività sul laptop e sto condividendo il mio schermo”.

In risposta, la compagnia l’ha licenziato. Nello stato in cui ha sede Chetu, la Florida, i licenziamenti “At-Will” (senza giusta causa) sono perfettamente legali. Ma in Olanda la situazione è diversa: il dipendente ha fatto causa e ha vinto.

La corte infatti ha spiegato che “monitorare tramite la videocamera per otto ore al giorno non è proporzionato e non è permesso nei Paesi Bassi”. E sottolinea, citando la Convenzione per la Protezione dei Diritti Umani e le Libertà Fondamentali: “la video sorveglianza di un dipendente sul luogo di lavoro, nascosta o no, va considerata come un importante intrusione della vita privata del dipendente. […] e quindi costituisce un interferenza con il messaggio dell’articolo 8″ della Convenzione, che tutela la ‘Vita privata e familiare’ degli individui.

Il risarcimento per il dipendente

La corte olandese ha quindi deciso che Chetu dovrà pagare al dipendente le spese del processo, gli arretrati sullo stipendio, una multa di 50 mila dollari e dovrà inoltre rimuovere la clausola di non-competizione del dipendente. Inoltre dovrà risarcire il lavoratore dei giorni di vacanza non usufruiti e di tutti gli altri compesi cui ha diritto.

Secondo quanto riporta la pubblicazione olandese NL Times, Chetu non era presente al processo. E resta da capire se vorrà appellarsi a questa decisione. Ma resta un dato: quantomeno in Europa, obbligare un dipendente in smart working a tenere accesa la webcam tutto il giorno viola il suo diritto alla privacy.

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