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Tiktok: vietato nei dispositivi governativi di Usa e Canada

Dopo analoga decisione del Canada

Abbiamo appena finito di scrivere un articolo sul fatto che anche il governo italiano starebbe valutando la possibilità di vietare TikTok, almeno per quanto riguarda i device dei dipendenti pubblici, ed eccoci di nuovo qua.

Sì, perché stavolta – visto l’attore in scena – l’altolà al social cinese ha quasi un sapore da guerra fredda. Sono infatti gli Stati Uniti ad aver vietato TikTok sui dispositivi governativi.

Peraltro, la decisione di Washington segue di poche ore quella, del tutto simile, di Ottawa.

Partiamo dalla notizia dello stop a TikTok da parte degli Stati Uniti. E vediamo poi cosa sta accadendo nel mondo riguardo ai dubbi e ai sospetti sulla piattaforma di ByteDance.

Stati Uniti: stop a TikTok nei dispositivi governativi

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Il governo degli Stati Uniti stoppa TikTok.

Washington ha deciso. E adesso tutti i dipendenti delle agenzie federali avranno 30 giorni di tempo per rimuovere l’app del social cinese dai loro dispositivi usati per lavoro.

La decisione è, secondo l’Office of Management and Budget, un passo “fondamentale per affrontare i rischi rappresentati dall’app ai dati sensibili governativi”.

È una mossa ben più radicale di quella dello scorso dicembre, quando l’utilizzo del social di ByteDance era stato inibito sui dispositivi di tutti i dipendenti della Camera degli Stati Uniti.

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Dichiarazioni di Washington, risposta di Pechino

Sulla decisione degli Stati Uniti di vietare TikTok nei dispositivi governativi si è espresso Chris DeRusha, responsabile federale della sicurezza delle informazioni.

DeRusha ha detto: “L’amministrazione Biden-Harris ha investito molto nella difesa dell’infrastruttura digitale della nostra nazione e nel limitare l’accesso degli avversari stranieri ai dati degli americani.

Questa guida fa parte dell’impegno costante dell’Amministrazione per proteggere la nostra infrastruttura digitale e proteggere la sicurezza e la privacy del popolo americano”.

Da Pechino la risposta non si fa attendere. E arriva con le parole di Mao Ning, portavoce del governo. Che ha dichiarato: “Ci opponiamo con forza alla pratica sbagliata degli Stati Uniti di generalizzare il concetto di sicurezza nazionale, di abusare del potere statale e di sopprimere irragionevolmente le società di altri Paesi”.

Gli USA dovrebbero “rispettare seriamente i principi dell’economia di mercato e della concorrenza leale, smettere di sopprimere irragionevolmente le società interessate e fornire un ambiente aperto, equo e non discriminatorio affinché le aziende di tutto il mondo possano investire e operare negli Usa”.

La decisione del Canada

Lo stop di TikTok negli Stati Uniti è praticamente contemporaneo a quello del Canada.

Ottawa, infatti, da oggi 28 febbraio vieta l’utilizzo della piattaforma social cinese sui dispositivi governativi. Questo perché l’app “presenta un livello di rischio inaccettabile per la privacy e la sicurezza”.

Non solo: l’agenzia per la privacy canadese ha avviato un’indagine contro il social di proprietà di ByteDance. Obiettivo, verificare se davvero esista “un consenso valido e certificato per la raccolta, l’utilizzo e la divulgazione di informazioni personali”.

La mossa della Commissione Europea

Le azioni di Stati Uniti e Canada ricalcano quella, di pochi giorni precedente, della Commissione Europea.

Che a sua volta “ha deciso di sospendere l’uso dell’applicazione TikTok sui dispositivi aziendali e su quelli personali usati per accedere ai servizi mobili della Commissione”, come possiamo leggere su Euractiv.

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I timori verso TikTok

Le stesse paure hanno fatto dire a Paolo Zangrillo, ministro della Pubblica Amministrazione, che anche il governo italiano valuterà l’altolà a TikTok sui dispositivi dei dipendenti pubblici.

Il timore sempre più diffuso è quello che i dati degli utenti europei e statunitensi vengano trattenuti dalla piattaforma. E messi a disposizione del governo di Pechino.

Il responsabile dei rapporti istituzionali di ByteDance in Europa, Giacomo Mannheimer, ha detto a Italian Tech che “il governo cinese non ci ha mai chiesto dati e comunque non glieli daremmo”. E ha aggiunto che “la nostra strategia di data governance, in conformità al Gdpr, si basa su un approccio volto a limitare il più possibile l’accesso ai dati, riducendone al minimo il flusso al di fuori dell’Europa nel rispetto di rigidi protocolli di sicurezza”.

Ma sono parole che, dette durante un’intervista, hanno un valore del tutto relativo. Perché si ricomponga la situazione occorrerebbe che l’azienda cinese dimostrasse in concreto, a chi l’ha messa al bando, la propria estraneità alle accuse.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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