fbpx
LibriRecensioni

Social media challenge: balli, prove sportive e gare di cucina. La vera natura delle sfide online

Lo abbiamo letto per voi

Com’è difficile parlare dei social, specie in rapporto ai giovani, in modo equilibrato.

Non più tardi di un paio di giorni fa, abbiamo riportato i dati di uno studio di Demoskopika che ci dice come una buona percentuale di ragazzi italiani under 35 sia a rischio di dipendenza dalle piattaforme. Nell’articolo citavamo poi l’udienza al Senato Usa, in cui Mark Zuckerberg e altre figure apicali delle aziende tech statunitensi sono state accusate di “avere le mani sporche di sangue”. Il riferimento è alla morte di tanti ragazzi, in qualche modo collegabile alla loro frequentazione della Rete.

Ma ogni ambiente, fisico o virtuale, è appunto frequentabile in svariati modi: i bar, gli stadi, le sale da ballo… Troppo facile, per gli adulti, additare un nemico esterno. Ben più faticoso è responsabilizzare se stessi, ed educare i figli a frequentare, appunto, ogni spazio in modo costruttivo e non distruttivo.

Le social media challenge

Poi c’è un ulteriore aspetto, da non sottovalutare. Ed è la possibilità (non remota, come vedremo) che i media scelgano un particolare ambito della Rete e ne parlino in maniera del tutto parziale, eleggendolo a colpevole, quando poi la realtà è molto più sfaccettata di come essa viene presentata.

Si sono occupati del problema i diversi autori di Social media challenge. Processi, attori e rappresentazioni delle sfide virali negli ambienti digitali, volume curato da Paola Panarese e uscito per FrancoAngeli nel gennaio del 2024.

Il libro si occupa proprio della rappresentazione distorta che ci viene fornita delle social media challenge.

social media challenge

Gli autori

Gli autori di Social media challenge sono sette, e per motivi di spazio ci limitiamo a dire che a diverso titolo si occupano di giovani, pratiche culturali e ambienti digitali.

I loro nomi, in rigoroso ordine alfabetico: Vittoria Azzarita, Arianna Bussoletti, Maddalena Carbonari, Marta Grasso, Gerarda Grippo, Cosimo Miraglia e Patrizio Pastore.

Social media challenge

Il volume Social media challenge, sin dalle prima pagine, ci offre un dato magari non inatteso, ma una dichiarazione d’intenti spiazzante.

Il dato si riferisce alla moltiplicazione del tempo trascorso online dai ragazzi durante la pandemia. È lì che, tra le altre attività, sono aumentate anche le sfide online tramite piattaforme social.

Ma ecco la prospettiva inedita: le social media challenge sono soprattutto qualcosa di assai differente dai pericolosissimi agoni in cui i nostri ragazzi mettono a repentaglio la loro vita (e in alcuni casi, purtroppo, finiscono per perderla).

Social media challenge e partecipazione

Un aspetto che viene messo in luce nel libro è il carattere creativo e inclusivo delle sfide online. Senza dimenticare quello benefico (che tuttavia, vista la natura stessa delle challenge, rischia un po’ di banalizzare l’ambito stesso che dovrebbe essere promosso).

E le sfide pericolose? Una percentuale minima, come per esempio dimostra uno studio condotto in Spagna nel 2020, che ha coinvolto 417 studenti fra i 10 e i 14 anni. Le challenge alle quali partecipa la percentuale più cospicua di giovanissimi sono quelle legate alla socialità (80,3%), seguite dalle sfide solidali (20,6%). Solo il 7,7% del campione ha preso parte a sfide pericolose (anche solo per la propria privacy).

Un censimento di 952 sfide apparse sui principali social dal 1° gennaio 2020 al 31 gennaio 2021 non ci dice cose troppo diverse. Le principali sfide hanno riguardato il ballo, seguite da quelle fisiche o sportive, estetiche e alimentari (prive di rischi in tutti e quattro i casi). Le sfide pericolose sono state solo 12 su 952.

Percezione e realtà

Il fatto è che molti media, nei confronti (anche) delle social media challenge, prendono “decisioni editoriali sempre più influenzate da sistemi che favoriscono la produzione e la distribuzione di notizie tarate sulle richieste degli utenti” (p. 64).

Sino a pubblicare titoli ampiamente fuorvianti, che sottintenderebbero un legame di causa-effetto tra la partecipazione a una sfida e la morte del soggetto anche nel caso in cui “questa sia solo una delle ipotesi al vaglio degli inquirenti” (p. 65).

Il ragionamento, come fanno gli autori di uno dei saggi del volume, andrebbe semmai spostato sul perché i giovani prendono parte alle social media challenge (che, se pure in percentuale minima, esistono). I principali motivi sono il bisogno di accettazione e quello di visibilità: ecco su cosa dovrebbe concentrarsi l’attenzione di noi adulti.

Da non perdere questa settimana su Techprincess

🚪 La pericolosa backdoor di Linux, disastro sventato da un solo ricercatore
 
🎶Streaming Farms: il lato oscuro della musica, tra ascolti falsi e stream pompati
 
✈️Abbiamo provato DJI Avata 2: sempre più divertente!
 
✒️ La nostra imperdibile newsletter Caffellattech! Iscriviti qui 
  
🎧 Ma lo sai che anche Fjona ha la sua newsletter?! Iscriviti a SuggeriPODCAST!
  
📺 Trovi Fjona anche su RAI Play con Touch - Impronta digitale!
  
💌 Risolviamo i tuoi problemi di cuore con B1NARY
  
🎧 Ascolta il nostro imperdibile podcast Le vie del Tech
  
💸E trovi un po' di offerte interessanti su Telegram!

Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button