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Ecco l’impatto energetico dei pagamenti tradizionali

Un report ribalterebbe il luogo comune sui consumi energetici delle criptovalute

La pandemia, si dice (un po’ per consolarci, un po’ perché in fondo è vero) ha portato con sé anche delle cose buone.

Ha avvicinato anche i più scettici, ad esempio, al mondo virtuale. A tutte le opportunità che si possono avere digitando comodamente dalla tastiera del proprio computer.

Oltre a tutto ciò che si può acquistare, conoscere e visitare da remoto, più in generale abbiamo scoperto che oltre al mondo tridimensionale ce n’è un altro, dematerializzato, che ha sempre più piena dignità.

Pensiamo, certamente, al metaverso. Ma anche alle possibilità di pagamento alternative a quella col denaro contante. Già sapevamo che il passaggio di denaro porta con sé alcuni rischi, primo tra tutti la non sempre facile tracciabilità delle operazioni.

La pandemia da Covid 19, poi, ci ha insegnato un altro importante aspetto: quello igienico. Indubbiamente, evitare il viavai di monete e banconote di mano in mano ci preserva (anche) dalla possibilità di contrarre o diffondere una serie di malattie.

Ma avevamo mai considerato l’impatto energetico dei pagamenti tradizionali?

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Criptovalute, pagamenti tradizionali e impatto energetico

Beh, se lo avevamo fatto, avevamo adottato una prospettiva parziale, che (forse) partiva da un preconcetto. Quello secondo cui a essere estremamente nocivo per il nostro pianeta fosse il cosiddetto mining di Bitcoin e affini.

Cioè? Cioè, in sintesi, per l’estrazione (virtuale) delle criptovalute occorrono equazioni matematiche estremamente complesse. Che vengono elaborate da supercomputer stipati in enormi capannoni. L’energia che consumano è ingente, e a essa va aggiunta quella di grandi ventilatori sempre in funzione per raffreddare le macchine.

In un recente articolo vi avevamo spiegato come la crisi del Kazakistan potesse in parte essere riconducibile all’aumento del costo dell’energia. Che avrebbe a sua volta come concausa il mining di criptovalute.

L’Unione europea si è mossa contro i danni ambientali a opera dell’estrazione di Bitcoin. Che, secondo l’International Energy Agency, produrrebbero globalmente 36 milioni di tonnellate di C02 ogni anno.

Quindi il problema è risolto: se proprio vogliamo, adoperiamo le carte di credito. Ma sappiamo che i pagamenti tradizionali non incideranno in alcun modo sui consumi energetici, specie se rapportati alle criptomonete. È proprio così?

Il report di Michel Khazzaka

Nell’aprile di quest’anno Michel Khazzaka ha redatto un report, pubblicato poi il 16 giugno su SSRN (Social Science Research Network).

Khazzaka, ingegnere informatico, è il fondatore di Valuechain, azienda di consulenza in criptomonete.

Nella sua ricerca, Michel Khazzaka paragona i consumi energetici delle criptomonete con quelli dei pagamenti col denaro contante. E non solo.

I pagamenti tradizionali e l’impatto energetico

Si tratta di un fitto report di 27 pagine. Estrapolando i dati più significativi possiamo comunque dire che, scrive Khazzaka, nel mondo circolano 842,57 miliardi di banconote e 1.507,7 miliardi di monete.

Ben il 26,4% di queste banconote (stiamo parlando di 219 miliardi di pezzi) ogni anno sono sostituite. Perché ritirate, ristampate e ridistribuite.

Questo ciclo ingenera un impatto energetico annuale pari a 908 TWh. Dove TWh sta per terawattora, che equivale a un miliardo di chilowatt (kW) o, se preferiamo, a mille miliardi di Watt.

Ciò significa più di 6 volte il consumo annuale calcolato per i Bitcoin.

Allora, viene da pensare, non ci resta che affidarci ai pagamenti con carte di credito e chip.

Sportelli ATM e POS

Non esattamente. Secondo la ricerca di Michel Khazzaka, tutti i pagamenti tradizionali hanno un forte impatto energetico. Per esempio, a livello globale ci sono 4.823.564 sportelli ATM, che consumano 47 TWh all’anno.

I 4 grandi datacenter di VISA, collegati con una rete in fibra dedicata la cui lunghezza è superiore ai 10 milioni di miglia, consumano 17,72 TWh all’anno.

Nel mondo ci sono poi 207 milioni di POS, che tutti assieme consumano 54 TWh ogni anno.

E non dimentichiamoci che le banche nel mondo hanno 2,3 milioni di server e 46 milioni di PC collegati. Il cui consumo complessivo è stato calcolato in 33,58 TWh annuali.

Meglio i Bitcoin?

La conclusione dello studio di Khazzaka è che i sistemi di pagamento tradizionali hanno un impatto energetico pari a 56 volte quello dei Bitcoin.

Dobbiamo credere al report? Certo, il fatto che l’autore sia il fondatore di una società di consulenza sulle criptomonete adombra più di qualche sospetto. Attendiamo qualche consulente bancario che ci fornisca dati opposti.

Nel frattempo, l’azienda polacca Walletmor ha ideato un’alternativa, benché vagamente inquietante. Si tratta di un chip da impiantare sottopelle, che permette di pagare istantaneamente avvicinando la mano al POS.

Viene da rimpiangere il baratto.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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