In un periodo a dir poco burrascoso dal punto di vista sanitario, tutti i nostri modi di vivere e agire hanno subito una trasformazione radicale. Pensare a una ripresa, oltre che alla riduzione e all’azzeramento dei numeri del contagio, e a una costruzione post pandemica è necessario: l’urgenza è intervenire a livello scientifico e a livello di investimenti. Il sistema sanitario e la ricerca sono state le chiavi e la forma migliore di resilienza per molte nazioni: la pandemia ha infatti dimostrato che i paesi che hanno scelto di investire molto in ricerca (come Germania e Corea del Sud) si sono rivelati i più resilienti.
Centinaia di studi hanno dimostrato che la ricerca di base – condotta per desiderio di pura conoscenza – è all’origine dell’innovazione tecnologica di lungo periodo e produce nuovi mestieri, nonché benefici economici. Il dopo pandemia ci ha condotto alla possibilità di finanziare a livello europeo la ricerca pubblica, di base ed applicata, facilitandone l’eccessiva burocrazia. L’Italia dovrebbe quindi dirigersi con decisione nella stessa direzione degli altri paesi europei.
Il Piano Amaldi per la ricerca pubblica
Federico Ronchetti, ricercatore presso l’Istituto Nazionale Fisica Nucleare, ha lanciato una petizione necessaria e puntuale. La sua petizione, intitolata “Ripartiamo con il #PianoAmaldi per la ricerca pubblica”, e redatta con Serena Di Cosimo, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, e Barbara Majello, Università Federico II, Dipartimento di Biologia, parte da una proposta del Prof. Ugo Amaldi, uno degli scienziati italiani più conosciuti a livello internazionale. La petizione di Ronchetti-Di Cosimo-Majello chiede al Governo Conte di stanziare, con criteri meritocratici, fondi aggiuntivi, che devono essere ripartiti su quattro aree d’investimento: le Risorse Umane, i Progetti, le Infrastrutture e il Trasferimento tecnologico.
Petizione che Tech Princess ha deciso di sostenere e far conoscere, condividendone appieno gli intenti.
Il Piano Amaldi propone di aggiungere 1,5 miliardi al bilancio della ricerca pubblica – di base e applicata – già nel 2021 e continuare fino a raggiungere l’1,1% del PIL nel 2026, in modo da raggiungere l’investimento della Germania. Gli obiettivi sono invertire la “fuga dei cervelli” con aumento delle borse di dottorato e del numero di ricercatori, lanciare nuovi grandi progetti di rilevanza scientifica e sociale, potenziare i laboratori e le infrastrutture di ricerca esistenti e trasferire conoscenze e tecnologie dalle Università e dagli enti pubblici alle imprese, in particolare a quelle medie e piccole.
L’appello degli scienziati e dei ricercatori italiani
Ugo Amaldi ha esposto la sua proposta in un contributo contenuto nel saggio “Pandemia e Resilienza. Persona, comunità e modelli di sviluppo dopo la Covid-19”, pubblicato dalla Consulta scientifica del Cortile dei Gentili. Quel che si evince è che l’Italia investe ogni anno soltanto lo 0.5% del Prodotto Interno Lordo (PIL) in ricerca pubblica, ossia circa 9 miliardi di euro, di cui 6 miliardi per la ricerca di base e 3 miliardi per quella applicata. La Francia, contrariamente, investe lo 0.75% (circa 17 miliardi di euro) e la Germania 30 miliardi, ossia quasi l’1% del PIL, mentre i paesi del Nord Europa investono frazioni del PIL ancora maggiori.
“La ricerca pubblica (che riguarda non soltanto le scienze naturali ma anche le scienze sociali, le discipline umanistiche e l’arte) offre una delle migliori possibilità di investimento dei fondi del New Generation EU ed è in grado di qualificare tutte le altre richieste fatte all’Europa perché ha effetti proprio sul futuro delle nuove generazioni in un settore nel quale, con relativamente pochi fondi, l’Italia – che ha pochi ma validi ricercatori – può molto migliorare portandosi in 6-7 anni al livello della Germania. Investire nella ricerca pubblica è, inoltre, un investimento sulle donne perché il 47% dei ricercatori pubblici sono donne, mentre in Germania e Francia sono il 35%”.
Investimenti per la ricerca
Attraverso l’appello di Ronchetti-Di Cosimo-Majello ciò che viene denunciato è che da sempre l’Italia investe nella ricerca di base la metà dei Paesi che hanno, in Europa e nel mondo, dimensioni e peso economico simili. “Il post pandemia deve essere il momento giusto per invertire la rotta e cambiare questo stato di cose, anche perché in questi mesi gran parte dell’opinione pubblica ha capito che i risultati della ricerca scientifica sono essenziali non soltanto per far fronte a situazioni sanitarie emergenziali, ma anche per indirizzare le azioni delle istituzioni. Una ricerca pubblica forte produrrà nuove conoscenze, contribuendo a mantenere l’Italia all’altezza della sua storia, e sarà in grado di trainare il sistema industriale e imprenditoriale affinché possano avvenire, in modo sistemico, quei trasferimenti di conoscenze e di tecnologie che finalmente renderanno le imprese italiane innovative e competitive sul mercato globale”.