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Gli Editoriali di Tech PrincessRubriche

Cop26 tra grandi obiettivi e grandi difficoltà

Partita il 31 ottobre la conferenza sul clima di Glasgow

Domenica 31 ottobre è partito l’attesissimo Cop26.

Cop26 è la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si tiene a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre. E che ha come aspettativa generale dei partecipanti quello di fissare, per quanto riguarda la salvaguardia climatica del nostro pianeta, obiettivi più ambiziosi di quelli di Cop21. Cioè della conferenza che si è svolta a Parigi dal 30 novembre al 12 dicembre del 2015.

Scopriamo cos’è Cop26, chi vi partecipa e chi ha declinato l’invito. Vediamo poi quali sono alcuni obiettivi dichiarati dai partecipanti e quali le difficoltà riscontrate in questi primi giorni di conferenza.

Cos’è Cop26

Per la precisione, Cop26 è la XXVI Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, in programma nella città scozzese di Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre, sotto la presidenza del Regno Unito. La Convenzione quadro è più nota come Accordi di Rio, ovvero il risultato del cosiddetto Summit della Terra, tenutosi a Rio de Janeiro nel 1992.

La conferenza incorpora la ventiseiesima Conferenza delle Parti (da cui il nome Cop26), la sedicesima Conferenza delle Parti del Protocollo di Kyoto e la terza Conferenza delle Parti dell’Accordo di Parigi, scaturito da Cop21.

Cop26

I quattro grandi obiettivi di Cop26

Nonostante le tredici giornate della conferenza siano fitte di appuntamenti e di incontri specifici, Cop26 si propone di raggiungere quattro importanti risultati.

Il primo è l’azzeramento delle emissioni nette a livello globale entro il 2050, e la limitazione dell’aumento delle temperature a 1,5°C. Per far questo, ogni Paese è chiamato a una notevole riduzione delle emissioni già entro il 2030, attraverso la fuoriuscita dal carbone, la riduzione della deforestazione, l’accelerazione verso l’uso di veicoli elettrici e verso gli investimenti nelle energie rinnovabili.

Secondo risultato prefissato è quello di mettere in grado i Paesi più colpiti dal cambiamento climatico di proteggere e ripristinare gli ecosistemi. E di costruire difese, sistemi di allerta, infrastrutture e agricolture più resilienti.

La terza aspettativa, funzionale al raggiungimento dei primi due risultati, è rivolta ai Paesi sviluppati. Che devono mantenere la loro promessa di mobilitare almeno 100 miliardi di dollari all’anno in finanziamenti per il clima entro il 2020. Obiettivo non raggiunto, dunque provvisoriamente posticipato al 2023.

Infine, quarto risultato da non mancare, la piena collaborazione tra i governi, le imprese e la società civile.

Le attese

Cop26 è stato preceduto da altri appuntamenti, come Youth4Climate, che si è svolto a Milano ed è stato organizzato e gestito da giovani e giovanissimi (tra cui Greta Thunberg).

La conferenza è ancora più importante perché è stata preceduta da un nulla di fatto. I partecipanti a Cop25, che si è svolto a Madrid nel 2019 ed è stato ospitato dal governo cileno, non sono infatti riusciti a trovare nessun accordo concreto sui mercati di carbonio.

I grandi assenti

Le tre assenze più rumorose al Cop26 di Glasgow sono quelle di Xi Jinping, Vladimir Putin e Jair Bolsonaro, presidenti di Cina, Russia e Brasile. Mancheranno anche i leader di altri importanti Paesi come il Portogallo, il Messico, la Turchia e il Sudafrica.

Anche se alcuni, come Putin, hanno motivato la propria assenza citando la situazione pandemica globale, non è facile resistere alla tentazione di pensare a motivi politici o di opportunità. La Cina, ad esempio, è il primo Paese mondiale per produzione assoluta di emissioni.

La difficoltà di trovare un punto d’intesa

Ma anche tra i presenti non c’è unanimità di intenti.

Se alcuni tra i Paesi più ricchi, tra cui Stati Uniti, il Canada e Gran Bretagna, si sono impegnati ad aumentare gli sforzi per ridurre le emissioni, altre grandi economie sono meno propense a decarbonizzare (le già citate Cina, Russia e Turchia ma anche l’India).

O non hanno ancora le risorse necessarie per effettuare la transizione ecologica.

Greta Thunberg

Patto sul metano: otto Paesi non firmano

Le disuguaglianze ideologiche e strutturali tra gli Stati si sono palesate già nelle prime ore di Cop26.

Quando otto Paesi dell’Unione europea non hanno sottoscritto il patto per ridurre del 30% le emissioni di metano (rispetto ai valori del 2020) entro il 2030. L’iniziativa è stata presentata a Glasgow il 2 novembre da Ursula von der Leyen e Joe Biden. Ma ha incassato i no di Austria, Polonia, Romania, Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria, Lituania e Lettonia.

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La strada è lunga, il tempo è poco

Si sprecano gli appelli sull’emergenza climatica all’insegna del “non c’è più tempo”. E sono arrivati anche da personalità come Papa Francesco e dalla Regina Elisabetta.

Non mancano le tirate d’orecchie, come quella di Biden, che ha pubblicamente disapprovato l’assenza di Xi Jinping.

Emblematico il fatto che la Cina, così come la Russia, si è impegnata a raggiungere la neutralità climatica solo nel 2060. L’India punta ancora più lontano: al 2070.

Nonostante il “cauto ottimismo” espresso da Boris Johnson, insomma, forse ci sono ancora troppe reciproche sordità tra i Paesi, e troppe differenze di ricchezza da appianare, prima di poter procedere ad accordi globali di questa importanza.

Il problema è che, come ha denunciato lo State of the Global Climate 2021 (il rapporto annuale del Wmo, l’Organizzazione meteorologica mondiale), gli ultimi sette anni sono stati i più caldi da quando esistono le rilevazioni scientifiche, cioè dalla fine dell’Ottocento.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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