A cinque anni di distanza da Evergreen (e a otto da Mainstream), Calcutta ha pubblicato il suo nuovo album dal titolo rigorosamente monovocabolo: Relax, che proveremo a sviscerare in questa nostra recensione.
È il ritorno del papà del cantautorato indie italiano, che tanto indie però non è. Quello che per mancanza di definizioni più adeguate abbiamo deciso di chiamare ItPop. Un termine orrendo, ma non è questo il tempo e il luogo per litigare con le definizioni dei critici italiani.
In questi cinque anni sono successe molte cose. Calcutta ha superato lo scoglio dei 30, ha contribuito (dietro le quinte e non) all’incredibile successo di Liberato, ha firmato il brano Sanremese di Ariete e soprattutto ha vissuto, come tutti noi, il disagio esistenziale della pandemia. E Calcutta è il Re Mida dei disagi esistenziali, capace come pochi di trasformarli in canzoni dall’indiscutibile piglio generazionale.
Con una copertina che per molti versi ci ha ricordato inevitabilmente Il sorprendente album d’esordio de I Cani (che ha dato il via al genere), Relax si presenta come un disco leggermente più maturo. Non tanto dal punto di vista musicale, dove ritroviamo il Calcutta di sempre, ma in quello lirico. Sembra quasi che il suo disagio voglia avere la pretesa di diventare universale, con una scrittura che si presta a più livelli interpretativi, cucita su melodie irresistibili. Disperate ma leggerissime.
La recensione di Relax, il nuovo album di Calcutta
Relax si apre con un brano interamente vocale chiamato Coro, che gioca tutto sulle armonie. Il primo pensiero va immediatamente a Tales of Girls, Boys and Marsupials, l’opening track di The Wombats Proudly Present: A Guide to Love, Loss & Desperation. Ci siamo così fiondati a leggere i credits della produzione, e difatti spicca il nome di chi i Wombats li conosce bene, come l’esimio Laurent Brancowitz dei Phoenix. A differenza dei nostri Wombatti preferiti però il testo qui è più malinconico. “Resta qui vicino/Tanto ritornerò/Quando finisce il buio”. Il mood del disco è stato impostato.
La seconda traccia è l’unica del disco a contenere più di una parola nel titolo. In Giro con Te ritorna il Calcutta di sempre, ma in versione post-pandemica. Quel “volevo solo scomparire in un abbraccio” – diventata frase manifesto dell’It-Pop/Indie italiano – diventa ora “volevo solo un giro con te prima dell’Apocalisse”. Stessa urgenza espressiva, solo modalità diverse di condivisione di un amore.
Se le armonie per ottave sono la vera cifra stilistica di questo nuovo disco di Calcutta, allora Controtempo è il la dichiarazione d’intenti di questa nuova era. Tra un basso funky e qualche falsetto, Calcutta torna a fare ciò che sa fare meglio: proporci ritornelli squisitamente melodici. Questa si che è musica leggera, anzi leggerissima.
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2minuti è forse la vera hit di Relax (non a caso è il brano più ascoltato) nonostante non sia stata neanche pubblicata come singolo. 2minuti è un viaggio mentale: quello di un innamorato che cammina per strada, e ha solo due minuti prima di arrivare a destinazione. Ma quando si è innamorati il tempo si dilata e quei due minuti diventano un’eternità. In quei 160 secondi lui la vede ovunque, tipo Alex Turner in Cornerstone, ma più esasperato, più pop. Più Calcutta. Col giusto mix tra ritmiche sintetiche e batterie acustiche.
Alla numero 4 troviamo Tutti che, per chi vi scrive, è la canzone meglio riuscita del disco. Riprende l’intimismo piano e voce di Hubner (di cui vi avevamo parlato in un articolo dedicato), ma con maggiore disperazione e meno intento biografico. Nel testo Calcutta non lesina qualche sottile riferimento/frecciatina a Jovanotti (“ho messo le scarpe nuove/per i giorni di fango” e poi ancora “non giocare col mio cuore/che devasto una spiaggia/ci organizzo un bel festival/e poi mi lavo la faccia”). Il climax finale è da cantare a squarciagola, mentre un synth in dissolvenza ci indirizza verso l’acido Intermezzo3, in rigorosa stereofonia. Uno strumentale che sembra voler chiudere virtualmente il lato A di Relax.
SSD ricorda inevitabilmente i Pink Floyd di The Wall, quelli in cui Waters urla disperato in The Thin Ice. E in effetti ci sono i riferimenti sia alla madre che all’LSD, e pure qualche immancabile critica all’ambiente musicale Milanocentrico (ne troveremo tante in questo disco). “Tutti a fare musica a Milano”, canta Calcutta, che ripudia la contemporaneità di determinate esigenze markettare ecologiste: “piantare un albero al supermercato, non riesco a credergli”. Il tutto per la paura che si spengano i riflettori dell’attenzione: “perchè non volete stare al buio” e “sembra di non esserci”. Calcutta a suo modo ripudia questo mondo: “andiamo via, non è casa mia”. Credibile, se detto da uno che non pubblicava un disco da 5 anni.
Il tema della città nordica dalla vita frenetica e alienante ritorna anche in Loneliness. E ritornano anche i falsetti, le armonie per ottave e quel martellante basso funky. Ma ciò che spicca è il controtempo tra melodia e ritmica nel ritornello, che si apre ad un cantato che, nella nostra testa, è già un coro ai concerti. “Ma che ne so di te? E delle fabbriche grigie del nord”.
Di Ghiaccioli salviamo solo lo spunto melodico del ritornello, mentre di Preoccuparmi non buttiamo via niente, come il maiale. È bellissimo quando Calcutta si lascia andare alla disperazione. È lì che si toccano le vette più alte di questo album impregnato di testi post-moderni, intimismo da ascensore e tinte soul.
Chiude l’album Allegria… Non lasciatevi ingannare dal titolo, perchè il brano è colmo di una tristezza che a confronto quella di Tenco era musica da balera. “Ma in fondo forse c’è, ma non è la mia”.
È la solitudine del cantautore, quella che fa scrivere canzoni belle, che compongono album belli. E Relax di Calcutta è uno di questi, almeno secondo la nostra recensione. Bentornato.
- Relax, LP Nero 180gr.
Canzoni da ascoltare: Tutti, Loneliness, Preoccuparmi, 2minuti, SSD
Cosa potreste skippare: Coro, Intermezzo3, Ghiaccioli, Allegria…
Ultimo aggiornamento 2024-10-06 / Link di affiliazione / Immagini da Amazon Product Advertising API