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Napster killed the radio (and disco) star

Sono passati 19 anni dal tentativo dell'industria discografica di fermare il progresso digitale

Al giorno d’oggi siamo abituati ad ascoltare la musica prevalentemente in streaming, tramite servizi come SpotifyApple Music YouTube (sia normale che in versione premium). Ma non è sempre stato così: negli anni ’90, agli albori di Internet, l’industria discografica andava ancora alla grande, e la maggior parte delle persone sentiva la musica da cassetta o da CD. Poi, con l’arrivo di Napster, tutto cambiò. Sono passati oggi 19 anni dal tentativo delle case discografiche di fermare la nuova realtà digitale, e vogliamo cogliere questa occasione per raccontarvi la sua storia.

Napster e la musica a portata di click

Partiamo dall’inizio: sono gli anni ’90, e l’industria discografica controlla completamente la propria distribuzione. La maggior parte delle persone ascolta la musica da supporti fisici o dalla radio. La pirateria esiste già, ma per lo più è limitata a persone che rippano i CD o che incidono cassette. Si tratta quindi di un fenomeno tutto sommato limitato, soprattutto se paragonato a quanto sta per accadere di lì a poco.

Giugno 1999: Shaw Fanning, un programmatore 18enne, lancia Napster. Si tratta, “banalmente”, di un servizio di condivisione file peer-to-peer, ovvero “tra pari”, non centralizzato e dove tutti i nodi sono ugualmente importanti. Gli utenti, installando il programma, mettono a disposizione di tutti la musica salvata sul proprio computer. È una rivoluzione, con 80 milioni di persone registrate al suo apice. Nei college, dove la velocità di connessione è più alta della media, fino al 61% del traffico è di MP3 scaricati. Le etichette musicali non possono rimanere con le mani in mano.

VII – Non Rubare 

Il 7 dicembre 1999 la Recording Industry Association of America (RIAA, equivalente USA della FIMI) fa causa a Napster per violazione del copyright. Il processo dura fino alla prima metà del 2001, e nel frattempo Napster continua a crescere, anche grazie all’attenzione mediatica. Diversi artisti si schierano pubblicamente contro il servizio di “pirateria”. In particolare, i Metallica sono protagonisti sia di un’ulteriore azione legale nei confronti di Napster che di un controverso e provocatorio spot televisivo.

L’MP3 è morto, viva l’MP3

Alla fine l’industria vince la causa, e nel luglio 2001 Napster è costretto a chiudere. Ma ormai è troppo tardi: il cambio di paradigma è avvenuto, e gli utenti di Napster semplicemente migrano su altre piattaforme analoghe, in una frammentazione difficilmente contrastabile. Non è possibile tornare indietro, ma non sembra esserci una soluzione facile per contrastare la pirateria. Finché qualcuno non la inventa.

Steve Jobs, nel 2001, in accordo con i vari produttori musicali, lancia iTunes. Non esisteva ancora nemmeno l’iPod, presentato più tardi quello stesso anno, ma è comunque una svolta epocale. Il mercato digitale di Apple è un successo commerciale, e dà modo all’industria di entrare veramente nel ventunesimo secolo. L’idea di album diventa antiquata, e cominciano a dominare i singoli brani, venduti di solito a 99 centesimi l’uno. Il panorama, però, non è florido come prima di Napster: la maggior parte della distribuzione non è più nelle mani delle case di produzione, e i margini di guadagno diminuiscono notevolmente, soprattutto per gli artisti.

Streaming Generation

Il download, legale e illegale, non è destinato a rimanere. Nel 2005 arriva YouTube, ed è un’altra rivoluzione. YouTube è da subito una piattaforma utilizzata, oltre che per i video amatoriali, per caricare musica illegalmente. Tutt’ora YouTube è la piattaforma più utilizzata per lo streaming di musica on-demand. Questa volta l’industria discografica non interviene pesantemente come con Napster. Da una parte cominciano ad emergere artisti nati sul web e vicini a questo, partiti dal basso proprio grazie alle piattaforme digitali, dall’altra YouTube gioca dalla parte dell’industria, permettendo la monetizzazione dei video e controllando le infrazioni del copyright grazie a strumenti come il Content ID.

Oltre a Youtube, cominciano a spuntare tutta una serie di servizi dedicati esclusivamente allo streaming musicale, come SpotifyPandora e la stessa YouTube con YouTube Music. Il loro modello di ascolto, mobile e flessibile, cambia ancora una volta l’industria musicale. La stessa Apple inizia a basarsi sempre meno su iTunes (all’inizio necessario addirittura per gestire il proprio iPhone) e lancia il servizio di streaming Apple Music.

Il passaggio allo streaming e all’on-demand coinvolge, con diverse tempistiche e modalità, anche altre industrie, come quella cinematografica e televisiva, con NetflixHulu Amazon Prime Video. Ma mentre questi ultimi, insieme alle reti e i produttori tradizionali, portano più investimenti e una maggiore creazione di contenuti, non è così per la musica. Spotify, nonostante l’enorme successo, non è ancora in attivo: gli utenti premium sono ancora molto meno di quelli free, monetizzati con la pubblicità, e i margini di guadagno per i vari artisti sono molto limitati.

L’eredità di Napster

Durante il processo contro Napster, l’opinione pubblica non si è semplicemente divisa in “scrocconi” e persone che invece riconoscono il diritto degli artisti di essere pagati per il loro lavoro. C’è anche chi in Napster vede una possibilità, una democratizzazione della musica, con la possibilità per alcuni artisti di farsi conoscere dal pubblico senza passare per i contratti con le case discografiche. Inoltre non tutti sono convinti dello stretto legame tra download illegali e calo delle vendite, anzi: c’è chi argomenta che, con la possibilità di conoscere più facilmente più artisti, la gente finisce per comprare album che altrimenti non avrebbe neanche considerato.

Se questi discorsi vi sembrano familiari, avete ragione: la diatriba tra chi vede la rete come un luogo democratico e chi invece la vede come un luogo senza regole è emersa molte altre volte negli anni. Quando Taylor Swift andò contro Spotify, non fu un attacco diverso da quello fatto dai Metallica nei confronti di Napster. Quando c’è chi dice che i download illegali delle serie TV di HBO, come Game of Thrones, in realtà sono una cosa buona, perché allargano il bacino di persone che poi acquisteranno DVD e merchandising, non è nulla che non fosse già stato detto all’inizio degli anni 2000 per Napster. Il discorso è ovviamente molto complesso, e non è facile né forse corretto esprimere un giudizio valido per tutti.

Napster nel 2018

Sarete forse sorpresi di sapere che Napster esiste ancora: dopo la sua chiusura, il logo ed il brand sono passati per molte mani. A seguito della bancarotta, la compagnia fu acquistata da Roxio, che ribattezzo il suo servizio di musica Pressplay con il nome Napster 2.0. Nel 2008,  fu venduta a Best Buy, e nel 2011 fu fusa con il servizio di streaming Rhapsody, che cambiò definitivamente il proprio nome in Napster nel 2016. In un certo senso, quindi, Napster vive ancora, anche se in modo completamente diverso dal fenomeno che era negli anni ’90. Chissà che il futuro non ci riservi sorprese, con un Napster nuovamente protagonista sotto un’altra veste.

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Source
The VergeThe New York TimesFoto di Taylor Swift di Jamie McCarthy

Giovanni Natalini

Ingegnere Elettronico prestato a tempo indeterminato alla comunicazione. Mi entusiasmo facilmente e mi interessa un po' di tutto: scienza, tecnologia, ma anche fumetti, podcast, meme, Youtube e videogiochi.

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