MILANO – Cosa mangeranno gli astronauti sulla Luna?
Se state pensando “quello che mangiano sulla Stazione Spaziale Internazionale“, beh… risposta sbagliata.
Se c’è infatti un settore che nel tempo si è evoluto tantissimo, è quello del cibo da consumare tanto in orbita quanto sul nostro satellite o, addirittura, su altri pianeti.
Negli anni ’60, durante le missioni Mercury e Gemini, il cibo era essenzialmente compresso in tubi simili a quelli per il dentifricio, poi sono arrivati i cibi liofilizzati, quelli in scatola e addirittura i prodotti freschi.
Il futuro però è un altro: si punta ad avere vere e proprie coltivazioni. Sia sulle prossime stazioni spaziali – soprattutto quelle commerciali – sia sulla Luna.
Raggiungere questo obiettivo non è affatto semplice ma una startup italiana ci sta provando: Space V.
La serra spaziale di Space V
Per vederla e toccarla con mano ci siamo intrufolati in una sala dello IAC – International Astronautical Congress – insieme a Franco Malerba, primo astronauta italiano della storia e fondatore di Space V.
“Sono passati quasi 40 anni dal mio volo nel 92, quindi tante cose, tanta acqua è passata sotto i ponti, ho fatto altri mestieri. Ultimamente ho raccolto la sfida con alcuni colleghi ingegneri e ricercatori, per questa nuova opportunità di sviluppare la serra più adatta per le coltivazioni nello spazio, o almeno così noi crediamo“, ci dice Malerba.
Una sfida di certo non semplice visto che tutto deve funzionare sfruttando le sole tre risorse presenti: ossigeno, acqua ed energia. E sì, questo vale tanto per le stazioni spaziali quanto per il nostro satellite.
“Sulla Luna abbiamo già degli accordi, attraverso l’Agenzia Spaziale Italiana, con la NASA, per sviluppare un modulo logistico multi-purpose, che serve a tanti scopi, per ospitare astronauti sulla Luna, e in quel contesto, in questo appartamento sulla Luna, ci vorrà anche una cucina, ci vorrà anche un posto dove si coltivano delle piante, per avere finalmente qualcosa di fresco e di sano, perché gli astronauti stressati dalla distanza da Terra, stressati dalle radiazioni ionizzanti, con una produzione di radicali liberi particolarmente elevata, trarranno beneficio dal fatto di avere delle vitamine fresche, dalle insalate che coltiveremo in serre come questa.”
A spiegarci com’è fatta ci pensa Patrizia Bagnerini, Professore associato di analisi numerica presso la Scuola Politecnica dell’Università di Genova e socia di Space V.
La serra è composta da diversi ripiani, che visti dall’esterno paiono in polistirolo ma che ovviamente sono composti da un materiale a prova di spazio; questi ripiani sono adattivi quindi la loro posizione può variare per adattarsi alla crescita delle piante, garantendo ai vegetali lo spazio necessario. Il tutto sfruttando sensori e algoritmi di intelligenza artificiale.
Ma non solo.
Ogni ripiano ha dei LED che cambiano colore così da poter sfruttare la tonalità più giusta per stimolare la crescita di quello specifico ortaggio; in più c’è uno strato in metallo dedicato alla dissipazione del calore, così da evitare che i LED modifichino i parametri selezionati per la crescita della pianta.
Bagnerini ci ha inoltre spiegato che i ripiani possono avere tutti settaggi diversi, permettendo quindi ad una sola serra di far crescere prodotti diversi e garantendo così una grande versatilità.
La domanda ora è: funziona?
Sì e no.
Nel senso che quello che abbiamo visto noi è un proof of concept, un prototipo che non è ancora pronto per il volo, ma le basi sono molto promettenti e le idee a Space V di certo non mancano.
Patrizia Bagnerini, ad esempio, ci spiega che l’idea per il futuro sarà quella di poter fornire delle capsule agli astronauti, che dovranno limitarsi a piantarle e attendere poi che la natura faccia il suo corso, aiutata dalla tecnologia della startup italiana.
La cosa curiosa è che questa serra non è nata per lo spazio.
“Questa serra si posiziona come la serra più efficace in un ambiente spaziale. In effetti si potrebbe immaginare questa serra anche a terra, in effetti il brevetto è stato immaginato per serre terrestri, per risparmiare energia nella coltivazione, per esempio, del basilico. – racconta Franco Malerba – Noi siamo originari di Genova, il basilico è una pianta cui siamo particolarmente affezionati, e il basilico d’inverno costa più caro perché il riscaldamento della serra costa di più. Quindi l’idea è nata in questo contesto, ma è evidente che il risparmio energetico diventa particolarmente importante laddove l’energia è così difficile da ottenere, se non con pannelli solari. Tra l’altro sulla Luna il giorno dura 14 giorni, ma c’è poi la notte che dura 14 giorni, quindi i pannelli solari durante quei 14 giorni non funzionano proprio. Quindi è chiaro che una gestione estremamente efficace del consumo energetico diventa fondamentale, così come anche dei volumi a disposizione perché devono essere climatizzati, devono essere pressurizzati, e questa serra risponde a queste domande in modo particolarmente efficace.”
Ora non ci resta che attendere e scoprire se Space V riuscirà davvero a portare sulla Luna la sua serra.
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