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Hustle: com’è il film Netflix con Adam Sandler

Hustle è disponibile dall'8 giugno su Netflix.

Fra una quarantina d’anni, chi fra noi sarà ancora presente dovrà spiegare alle generazioni più giovani la scarsa considerazione che ha accompagnato Adam Sandler per tutta la sua carriera. Stiamo parlando di un interprete che ha ormai vissuto da protagonista 4 decenni di cinema, portando un contributo innegabile ai generi che ha frequentato maggiormente come la commedia, e nello specifico la commedia demenziale. Un attore che ha indubbiamente preso parte a progetti inqualificabili (Jack e Jill ne è un ottimo esempio), ma che ha anche saputo guadagnare la fiducia di registi del calibro di Paul Thomas Anderson, Noah Baumbach e Josh e Benny Safdie, centrando sorprendenti interpretazioni drammatiche in Ubriaco d’amore, Reign Over Me, The Meyerowitz Stories e Diamanti grezzi. Proprio un’altra interpretazione drammatica di questo sottovalutato attore è al centro di Hustle, film Netflix da lui prodotto insieme a LeBron James e incentrato sul mondo del basket americano.

Siamo di fronte a una sorta di rilettura contemporanea di Rocky (non a caso, al centro del racconto ci sono i Philadelphia 76ers e il film di John G. Avildsen viene citato esplicitamente), incentrata però sulla figura del mentore Stanley Sugarman, interpretato proprio da Sandler. La morte dell’anziano proprietario della squadra Rex Merrick (un efficace cameo di Robert Duvall) e il successivo passaggio di testimone al figlio mettono Sugarman in una situazione scomoda: da una parte le aspirazioni dell’uomo, che dopo una vita passata in giro per il mondo a caccia di nuovi talenti vuole finalmente sedersi in panchina e aiutare la squadra sul campo; dall’altra, le necessità del team stesso, a cui urge un ultimo tassello per inseguire il sogno del titolo NBA. In Spagna, Sugarman incontra accidentalmente il giocatore che fa al caso suo, Bo Cruz (il vero cestista in forza agli Utah Jazz Juan Hernangómez).

Hustle: il basket metafora della vita nel nuovo film Netflix con Adam Sandler

Hustle Netflix 2

Con Hustle, Netflix propone al pubblico un classico edificante racconto sportivo, fatto di riscatto e tenacia, cadute e risalite. A scaldare il cuore non è però la pur toccante storia di Bo, in fuga da un difficile passato e all’inseguimento di un sogno apparentemente impossibile, ma la fragile e fallibile parabola umana di Sugarman, uomo di mezza età che si trova costretto a riallacciare i tanti fili sparsi della sua vita sportiva e ad abbandonarsi finalmente al suo istinto. Un percorso esistenziale interpretato con profondità e grande umanità da Adam Sandler, che dopo la prova in Diamanti grezzi (la mancata nomination all’Oscar grida ancora vendetta) mette nuovamente in scena un uomo preso letteralmente a schiaffi dal mondo, ma capace ogni volta di rialzarsi con tenacia, abnegazione e un pizzico di umorismo.

Alla sua seconda opera di finzione dopo il convincente Quando eravamo fratelli, Jeremiah Zagar accompagna nel migliore dei modi la storia di Sugarman, dando vita a quello che possiamo definire senza paura di smentita il film definitivo sul basket attuale. Emerge infatti con chiarezza e dovizia di particolari la sottile ma decisiva linea che separa l’NBA dal resto del mondo cestistico, in cui convivono predestinate nuove leve delle leghe universitarie e spaccati della più disparata umanità, per i quali passare nel più conosciuto e ricco campionato di basket del pianeta significa staccarsi forse definitivamente dalla povertà e dal malaffare. Con una forbice così larga fra candidati ed effettiva disponibilità nei roster NBA, ogni dettaglio conta per prevalere sugli avversari: dalle furbizie di gioco alla prestanza fisica, passando per le provocazioni e addirittura per i video virali sui social.

Hustle: il film Netflix definitivo sull’attuale NBA

Hustle Netflix 3

Grazie al supporto di gran parte del mondo NBA (sullo schermo sfila una vera e propria parata di campioni del presente e del passato come Shaquille O’Neal, Allen Iverson e Dirk Nowitzki), Netflix e Hustle rendono il miglior servizio possibile al basket a stelle e strisce, che è una delle poche applicazioni reali del celeberrimo sogno americano: se si trova nel posto e nel momento giusto per fare valere le proprie qualità, anche un ragazzo dal carattere complicato proveniente da un’altra parte del mondo può riuscire a sfondare.

A rendere Hustle un progetto riuscito non è però solo quello che dice, ma anche come lo dice. Fondamentale in questo senso è proprio l’operato di Jeremiah Zagar, che compie un lavoro estremamente efficace sui corpi, facendoci percepire la fatica degli allenamenti, la potenza fisica sprigionata dalle schiacciate e trasformando il debuttante Juan Hernangómez in un perfetto corpo attoriale, nonostante le sue pochissime linee di dialogo. Altrettanto importante è l’impegno del regista sui personaggi secondari, e in particolare su quelli femminili: in una storia inevitabilmente a trazione maschile, Queen Latifah, María Botto e le giovanissime Jordan Hull e Ainhoa Pillet sono le bussole morali ed emotive dei protagonisti, che solo grazie a loro riescono a rimanere a galla nelle rispettive battaglie.

L’intreccio fra sport e vita reale

Hustle Netflix 4

I temi trattati da Hustle sono ampiamente rodati, soprattutto all’interno del cinema sportivo americano, ma Jeremiah Zagar compie tutti i passi adeguati a realizzare un’opera efficace, puntando sul realismo e sull’intensità agonistica quando necessario e sul controcampo emotivo nei momenti più intensi e nel climax finale. Proprio l’epilogo, tutt’altro che scontato, restituisce il senso di questa godibile parabola sportiva, che non sta solo nella determinazione, ma anche nella lealtà, nelle seconde occasioni e nel lato più sano della pura competizione sportiva. Ma Hustle funziona anche per i dettagli, come una scalinata (e non la scalinata di Philadelphia) percorsa nel momento in cui il massimo dello sforzo fisico si accompagna alla massima vicinanza a livello umano, o l’accenno al passato di Sugarman, che arriva nei tempi e nei modi perfetti, con i silenzi e le immagini che assumono la stessa importanza delle parole.

«Gli uomini sulla cinquantina non hanno sogni», dice Stanley. Hustle ci dimostra il contrario, mettendo in luce lo sforzo fisico, mentale e morale necessario per inseguirli e dando vita a uno splendido e inestricabile intreccio fra vita e sport, in cui gli avvenimenti e le scelte che avvengono fuori dal campo sono importanti tanto quanto quelle che si verificano nel terreno di gioco, e ci invitano a non smettere mai di ascoltare il nostro istinto.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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