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Videogiochi

Chi non muore, si rimasterizza

Vecchie glorie e nuove grafiche nei videogame remake, remastered e reboot

In tempo di uscite importanti come Final Fantasy VII Remake, Resident Evil 3 Remake e altre edizioni in versione “rimasterizzata”, rivista o potenziata rispetto a quella originale, un denominatore comune balza all’occhio. Che sia presente nel titolo del gioco o meno, si tratta di un impasto ripreso da un passato più o meno lontano, fatto lievitare nuovamente con aggiunte di ingredienti di diversa importanza e rimesso in forno. Il risultato? Non sempre le ciambelle vengono col buco. Non è un caso se stiamo affrontando il tema di videogame remake, remastered e reboot proprio in questo momento, dove le presenze sugli scaffali (virtuali e non) vedono parecchi titoli di questo tipo, spuntati pian piano sul mercato in concomitanza con un’altra nouvelle vague.

Ci riferiamo alla ripresa di grandi classici della cinematografia, soprattutto guardando al mastodontico lavoro e impegno profuso da mamma Disney. A tal proposito, le opinioni si sono fatte sentire sempre più forti e decise, rimbalzando qua e là sui social network, ogni volta che un vecchio titolo, accompagnato dalla dicitura “remastered” o “remake”, veniva annunciato. Com’è andata finora? La parola alla critica (e ai criticoni).

I tre fratelli: remastered, remake e reboot

Cominciamo però con un po’ di chiarezza sulle differenze tra videogame remake, remastered e reboot, grazie del nozionismo spicciolo che non guasta mai. Cosa stanno a indicare precisamente i termini “remastered”, “remake” e “reboot”?

Cominciamo dal primo dei tre: parliamo di remastered“, ossia “rimasterizzato”, un videogioco migliorato, dal punto di vista del comparto audio e video, rispetto alla qualità della versione originale, senza intaccare in alcun modo il contenuto vero e proprio del gioco. Non ci riferiamo solo a titoli recenti, come Final Fantasy VIII Remastered o a Crash Bandicoot: N.Sane Trilogy, ma anche a riprese di “vecchie glorie” rimaste un po’ più nell’ombra come Dragon Ball Z: Budokai – HD Collection del 2012. 

Se in questi casi appena citati la storia rimane invariata, diversa è la sorte toccata ai remake, dove ci suggerisce il termine stesso di un rifacimento del gioco originale. Vengono mantenute le basi originali della storia, ma la ricetta cambia, anche drasticamente, per non parlare delle “ovvie” migliorie sul versante tecnico. Come anticipavamo, Final Fantasy VII Remake o RE3 Remake sono gli esempi più recenti che abbiamo a disposizione, sui quali sono già cominciate le prime discussioni tra critica e pubblico a riguardo.

final fantasy vii remakeChe dire allora dell’ultimo “fratello”, il reboot? In questo caso il confine con il remake è davvero poco marcato: si tratta di rifacimenti completi dei brand più famosi, abbandonando la continuità cronologica dei capitoli già prodotti per ricreare dall’inizio la storia e le vicende legate ai personaggi. Viene compresa quindi una riscrittura degli eventi avvenuti nella saga originaria, un po’ il lavoro svolto nell’ultimo decennio da Activision con Skylanders: Spyro’s Adventure o da parte di Square Enix con Tomb Raider, per intenderci. Non vogliamo far morire una storia che è sempre riuscita a riscuotere successo? La si svecchia e si prende la coperta che, per quanto rimanga corta, viene rigirata su un lato ancora poco mostrato, o semplicemente meno noto, proprio come è successo a Lara Croft.

Il tuo cuore per trenta denari

Quest’ultimo aspetto motiva per buona parte la presenza sul mercato di questi titoli, uno dei principali escamotage per far sopravvivere un brand grazie a una “seconda giovinezza” e a nuovi incassi per l’industria. Quindi il soldo compra il cuore del giocatore? Da che mondo è mondo, le logiche di mercato gravitano proprio attorno alla conquista dei desideri, dei sogni e alla soddisfazione delle necessità delle persone. Il business dei videogame non poteva esentarsi da questo, con buona pace delle software house e dei giocatori che posano sempre più i loro occhi famelici sulle novità in arrivo.

Qual è il motivo principale che induce un’azienda a rispolverare vecchi prodotti? Non solo marketing (ci auguriamo), ma anche il tentativo di un “effetto nostalgia” innescato nei giocatori di lunga data, che ben ricordano il momento in cui avevano conosciuto un determinato gioco anni e anni addietro.  Si parla comunque di una fetta, per quanto importante, di pubblico. La parte restante è figlia della velocità sempre più incontrollabile del mondo contemporaneo, di chi molto probabilmente non ha voglia di imparare i Junction di Final Fantasy VIII (faticavamo anche noi all’epoca, diciamola tutta) e di stare a leggere minuti e minuti di spiegazione. Vogliamo parlare della fatica e costanza che ci portavano lentamente a centinaia di ore di gioco? Arriviamo nel 2019 con la versione remastered e la sua possibilità di evitare scontri casuali, oltre all’accelerazione in fast forward del gameplay. Non doveva essere “solo” una remastered? Appunto.

Non ci sono più le memory card di una volta

Si gioca allora sul sentimento come leva di marketing, o è il sentimento che si prende gioco di noi? “Vendere emozioni” è una logica alla base della vendita, parola di Kotler, ma non è l’unico punto. Cambia l’approccio, cambiano le aspettative, cambiano dettagli che non sono più “dettagli”, ma sintomi di un parziale snaturamento del gioco originale, nel tentativo, forse, di vendere quelle copie in più. Non ci sono più le memory card di una volta, ma salvataggi cloud per i quali dobbiamo augurarci di avere memoria e spazio sufficienti per il nuovo software che stiamo installando.

Ormai remake e remastered sono diventati un leitmotiv della produzione gaming, vuoi per reimpastare quella ciambella di cui parlavamo, vuoi per speculare sul sentimento della vecchia guardia di giocatori, vuoi perché ormai vi è una saturazione non indifferente di generi e prodotti. Situazione contemporanea o zavorra che ci trasciniamo da tempo? Una volta si parlava di “conversioni”, quando decenni or sono la tecnologia reclamava a gran voce le sue prime evoluzioni e si passava dal transistor al microprocessore. Erano gli anni Settanta e Ottanta, e molti videogiochi dell’epoca sono stati “rivisti” più volte, come Space Invaders, Space Quest o King’s Quest, fino ai primi arrivi su Nintendo e Sega per le console di generazione successiva.

Il logorio della vita moderna

I videogiochi sono “vittime” di hardware e software che si trasformano e si potenziano molto più velocemente rispetto agli altri media motivo per cui le nuove versioni possono andare incontro alle esigenze aziendali e dei giocatori, permettendone la fruizione su generazioni diverse di console. Un lavoro “in economia” per lucrare sugli sforzi fatti in precedenza? Severo, ma onesto: studi di sviluppo più piccoli o di terze parti lavorano a remake e remastered, consentendo di investire capitali più contenuti e, detto fuori dai denti, trovando un modo per fare soldi ancora, dopo un grande e dispendioso lavoro di creazione ex novo.

Un futuro fatto da soli videogame remake, remastered e reboot? Non sappiamo cosa augurarci, perché rimpiangiamo tanti vecchi giochi che stentano a rivedere la luce: che ne è stato di Dino Crisis, Tombi o  Silent Hill? Come ben sappiamo, sono i numeri a parlare: se le vendite degli ultimi progetti lanciati si riveleranno fonte di nuova ricchezza nelle tasche delle software house, queste ultime potranno ben pensare di gettare le basi per nuovi progetti, quale che sia la loro natura. Questa tipologia di produzione sembra aver acquistato popolarità negli ultimi tempi, quindi se fosse anche occasione e spunto per rivedere vecchie conoscenze o riscoprire ricordi d’infanzia, perché no?

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Francesca Sirtori

Indielover, scrivo da anni della passione di una vita. A dispetto di tutti. Non fatevi ingannare dal faccino. Datemi un argomento e ne scriverò, come da un pezzo di plastilina si ottiene una creazione sempre perfezionabile. Sed non satiata.

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