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Dentro la canzone: la vera storia di come Seven Nation Army è diventata un inno da stadio

"From the Queen of England to the Hounds of Hell"

Sette note. Solo sette. Tante sono bastate a quel piccolo genio di Jack White per comporre uno dei riff più riconoscibili e iconici della storia della musica. Sette proprio come le nazioni che formano il presunto esercito citato nel titolo: Seven Nation Army, opening track di Elephant (2003), quarto album in studio dei White Stripes.

Ma è un basso o una chitarra a suonare? Qual è il significato del testo? Come mai la canzone è diventata un inno sportivo? Già perchè, per coloro che fossero più appassionati di calcio che di musica, stiamo parlando dell’inconfondibile “Popopopopopopoooopooo” che ha fatto da colonna sonora a quell’impresa della nazionale italiana nel 2006, quella dei Mondiali tedeschi e della testata di Zidane.

Seven Nation Army nasce come ipotetica canzone per un film di James Bond

Nel 2003 nessuno aveva chiesto a Jack White di realizzare una canzone per la colonna sonora di James Bond. Tuttavia il musicista, anche con una certa consapevolezza nei propri mezzi, pensò di comporla lo stesso, nel caso qualcuno un giorno glielo avesse proposto. White allora sviluppa un riff: sette note, in tonalità di mi minore, con una cassa di batteria dritta come solo la sodale Meg White sarebbe stata in grado di suonare. Tanta semplicità per una sequenza musicale assolutamente ipnotica. Era appena nata Seven Nation Army, ma ancora nessuno lo sapeva.

Una volta composta la musica, mancava tutto il resto, come ad esempio delle parole. A Jack piace il titolo Seven Nation Army, gli ricorda quando da piccolo storpiava così il nome dell’Esercito della Salvezza (Salvation Army). Ed è a quel punto che l’autore comincia ad immaginarsi di combattere contro un intero esercito, senza paura. 

In molti rivedono nel testo la condizione degli stessi White Stripes in quel periodo: una band atipica, composta da due soli elementi, senza un bassista, ma con un’estro creativo fuori dal comune. C’è chi dice siano fratello e sorella, chi ritiene siano stati sposati. Un duo che incuriosisce, troppo indie per essere mainstream ma troppo catchy per essere indie. Stando a questa interpretazione, Jack White combatterebbe contro il gossip musicale, ossessionato dalla sua presunta relazione con la batterista Meg White. 

Il brano esce il 7 marzo 2003, come primo singolo dell’album Elephants, riscuotendo subito un’ottima accoglienza e guadagnandosi un posto fisso nelle rotazioni radiofoniche. Inizialmente si pensò che il titolo si riferisse all’esercito NATO (l’esercito delle Sette Nazioni). In realtà, come detto, il riferimento è ben diverso.

La storia però sa essere davvero ironica. Nel 2008 a Jack White verrà davvero richiesto di comporre una canzone per James Bond – Quantum of Solace. Per la colonna sonora del film l’artista registrerà, insieme ad Alicia Keys, il brano Another Way To Die.

La vera storia di com’è diventato un inno da stadio

Sappiamo tutti che il coro ha accompagnato la nazionale italiana di calcio nel 2006, ma come è arrivato negli stadi? La storia è decisamente affascinante, e nasce ben tre anni prima dei mondiali tedeschi.

Il 22 ottobre del 2003, a San Siro, il Milan gioca una partita contro la squadra belga Club Brugge, match valido per la fase a gironi della UEFA Champions League. Qualche ora prima del fischio d’inizio un nutrito gruppo di tifosi ospiti decide di riunirsi in un pub di Milano, per affogare l’attesa della partita in un fiume di alcol. Ed è proprio in quel pub che nasce il mito. Nel locale risuona Seven Nation Army dei White Stripes che, come detto, in quel periodo era uno dei brani più trasmessi nelle radio europee. Complice il riff catchy, e favoriti dal tasso alcolemico e dal clima pre-gara, i tifosi del Club Brugge cominciano a intonare (per non dire stonare)a squarciagola il motivetto, senza conoscerne il testo. Il risultato è la prima versione del coro da stadio che oggi conosciamo.

Ma non è finita qui: il gruppo di tifosi si reca ovviamente allo stadio, dove il Club Brugge, contro ogni pronostico, batte la squadra milanese 0-1. Sugli spalti è il delirio: i tifosi belgi, galvanizzati dal primo gol, intonano il motivetto fino alla fine della partita. Il coro era diventato l’inno non ufficiale di una squadra di calcio, ma ben più importante: era entrato in uno stadio italiano.

Ancora una volta però, la storia è lontana dall’essere finita. Tre anni dopo, nel 2006, il Club Brugge è chiamato ad affrontare la Roma in una partita valevole per i sedicesimi di quella che all’epoca si chiamava Coppa UEFA (oggi Europa League), allo Stadio Olimpico. È il 15 febbraio, e quattro mesi dopo si sarebbero svolti i Mondiali in Germania.

I belgi ci credono, forti anche del miracolo di tre anni prima a Milano, e intonano ancora una volta a squarciagola il coro. Dopo un iniziale vantaggio della Roma, il Club Brugge pareggia nel secondo tempo, e i tifosi ospiti decidono di alzare ulteriormente il volume delle proprie corde vocali. Pochi minuti dopo però è la Roma a tornare in vantaggio con un gol di Perrotta. La frittata è fatta: i tifosi romani cominciano ad intonare lo stesso coro come sfottò verso i tifosi avversari, e lo faranno anche nelle successive partite di Serie A.

A seguire quella partita dalla tribuna c’era anche Francesco Totti, capitano di quella Roma, quattro giorni dopo, in una partita di Serie A contro l’Empoli, avrebbe subito un gravissimo infortunio che rischiò di compromettere la sua presenza ai mondiali. In merito al coro, Totti disse: “Non avevo mai sentito quella canzone prima della partita contro il Brugge. Da quel momento non me la sono più tolta dalla testa”.

“Popopopopopopoooo”

Ciò che accade dopo è storia. L’Italia si presenta in Germania con una squadra lacerata dallo scandalo Calciopoli. Il CT Marcello Lippi fa gruppo e, sorretti dai “Popopopopopopoooo” dei tifosi, la nazionale riesce nel miracolo. Il 9 luglio 2006 Fabio Cannavaro alza al cielo la Coppa del Mondo dopo l’ultimo rigore di Fabio Grosso contro la Francia. Pochi giorni dopo, al Circo Massimo di Roma, più di 700mila persone accolgono i Campioni del Mondo intonando il coro di Seven Nation Army. La maggior parte assolutamente ignara dell’esistenza dei White Stripes.

Parlando di come la sua canzone sia diventata di colpo un inno da stadio per la nazionale italiana, Jack White ha dichiarato:

“Sono onorato che gli italiani abbiano adottato questa canzone come propria. Niente è più bello di quando le persone sposano una melodia e la fanno entrare nel pantheon della musica folk. Come compositore è una cosa impossibile da pianificare. Specialmente di questi tempi. Adoro il fatto che la maggior parte della gente che la canta non sappia minimamente da dove provenga”.

Successivamente il coro ha cominciato ad apparire in diversi stadi, per diverse squadre e innumerevoli discipline sportive. Ancora oggi è possibile ascoltarlo nei palazzetti NBA, durante le partite della NFL e, ovviamente, negli stadi di calcio europei. Seven Nation Army non è più una canzone dei White Stripes. Non è più neanche l’inno del Club Brugges o della nazionale italiana. È ora una canzone di tutti.

È una chitarra o un basso che suona il riff di Seven Nation Army?

Nel corso degli anni si è discusso molto sull’iconico tema della canzone. Il riff sembra essere, effettivamente, una linea di basso. In realtà si tratta di una chitarra che utilizza un effetto octaver, che abbassa di un’ottava la nota suonata. Ad essere precisi White utilizza un pedale DigiTech Whammy, impostato però un’ottava sotto. Quindi è a tutti gli effetti una chitarra semiacustica che suona come un basso elettrico.

Nello spettacolare documentario It Might Get Loud, nel quale tre dei più importanti chitarristi viventi (Jack White, The Edge degli U2 e Jimmy Page dei Led Zeppelin) parlano di musica, White ha spiegato ai suoi colleghi come ha composto la canzone. I tre si sono poi cimentati in una jam condivisa suonando insieme l’ipnotico riff.

Nel corso del documentario White racconta di aver composto il riff mentre era in tour, durante un soundcheck prima di un concerto. NME riferisce che lo show in questione si sarebbe tenuto al Corner Hotel di Melbourne.

L’eredità culturale di Seven Nation Army

Inizialmente la discografica dei White Stripes era contraria alla scelta del brano come primo singolo di Elephants. Sia la label europea (XL Recordings) che quella americana (V2 Records) avrebbero infatti preferito There’s No Home For You Here. La storia ha poi dato ragione a Jack e Meg.

Daniel Martin di NME ritiene che la canzone rappresenti la “melodia decisiva” dei White Stripes, avendo innescato la transizione della band “da gruppo garage rock a fenomeno globale”.  Secondo Tom Maginnis di Allmusic, Seven Nation Army ha contribuito all’esplosione del movimento garage rock revival di inizio millennio, diventando la prima canzone del genere a raggiungere il numero uno della classifica Modern Rock di Billboard.

Il brano è stato oggetto di numerosissime cover da parte di una lista pressochè infinita di artisti. Tra questi citiamo Living Colour, Hard Fi, The Flaming Lips, The Pretty Reckless, Kelly Clarkson, Metallica, Audioslave, Kate Nash. Persino i Finley ne hanno realizzato una propria versione, dal gusto decisamente dubbio, con tanto di riscrittura del testo in italiano per omaggiare la vittoria della nazionale di calcio ai Mondiali del 2006.

Per chiudere questo episodio di Dentro la Canzone, però, vogliamo lasciarvi con una versione live suonata da Jack White questa estate, quando è stato act a sorpresa del The Park Stage del leggendario Glastonbury Festival.

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Marco Brunasso

Scrivere è la mia passione, la musica è la mia vita e Liam Gallagher il mio Dio. Per il resto ho 30 anni e sono un musicista, cantante e autore. Qui scrivo principalmente di musica e videogame, ma mi affascina tutto ciò che ha a che fare con la creazione di mondi paralleli. 🌋From Pompei with love.🧡

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