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Il filo nascosto: Labyrinth – Dove tutto è possibile di Jim Henson

Il secondo capitolo della nostra rubrica Il filo nascosto è dedicato a Labyrinth - Dove tutto è possibile.

L’alchimia alla base di Labyrinth – Dove tutto è possibile è un prodigio di fronte al quale ancora oggi è difficile non rimanere esterrefatti. Questa favola dark con sfumature musical è infatti frutto della mente del compianto Jim Henson e della sua abilità coi pupazzi, già mostrata con i suoi Muppets e col precedente Dark Crystal, ma è anche chiaramente figlia dell’umorismo del Monty Python Terry Jones, autore della sceneggiatura, e della smisurata ambizione di George Lucas, coinvolto in qualità di produttore esecutivo e sempre pronto a creare altri mondi di fantasia dopo i successi di Star Wars e Indiana Jones. A questo si aggiunge poi la dichiarata e manifesta volontà di attingere a celebri avventure fantastiche (da Alice nel Paese delle Meraviglie a Il mago di Oz) e il carisma dell’iconico Re dei Goblin, interpretato dal leggendario David Bowie.

Nasce così un vero e proprio manifesto degli anni ’80, indelebilmente scolpito nella memoria di chi è cresciuto durante questo periodo unico e irripetibile del cinema per ragazzi. Un’opera capace di fare spiccare definitivamente il volo alla carriera di Jennifer Connelly, già reduce dai successi di C’era una volta in America di Sergio Leone e Phenomena di Dario Argento, e soprattutto di fortificare il fantasy sul grande schermo, ancora lontano dalla popolarità scaturita da Il Signore degli Anelli di Peter Jackson.

Ma la gloria di Labyrinth – Dove tutto è possibile non è stata immediata: arrivato nelle sale nel 1986 (lo stesso anno di Stand by Me – Ricordo di un’estate, a cui proprio per questo motivo abbiamo scelto di collegarlo per la rubrica Il filo nascosto), il lavoro di Jim Henson conquistò appena 12 milioni di dollari al botteghino, a fronte di un budget di 25 milioni. Solo i passaggi televisivi e home video hanno restituito all’opera il successo che merita.

Labyrinth – Dove tutto è possibile: un inno alla fanciullezza e all’immaginazione più vivo che mai

Labyrinth - Dove tutto è possibile

Ci troviamo in una serata qualsiasi, quando una ragazza come tante, devota alla fantasia e alle storie, si trova costretta a fare da baby sitter al piccolo fratellastro Toby. La quindicenne Sarah (Jennifer Connelly) ha diversi motivi per rifugiarsi nel mondo dell’immaginazione, a partire dalla sua matrigna e dallo stesso Toby che, complice un temporale, non ne vuole proprio sapere di smettere di piangere. La sua fiducia nella fantasia è tale da spingerla a chiedere ai goblin (protagonisti del libro che sta leggendo, intitolato proprio The Labyrinth) di portare via con loro il fratellino.

In men che non si dica, il desiderio della ragazza viene esaudito. Nel tentativo di trovare Toby, Sarah finisce in un mondo incantato e allo stesso tempo sinistro, al cospetto del Re dei Goblin Jareth (David Bowie). Questo istrionico personaggio concede a Sarah una sola possibilità per salvare il fratello prima che diventi anch’esso un goblin, cioè raggiungerlo nel suo castello al centro di un suggestivo labirinto, in un arco di tempo di sole 13 ore. Inizia così l’avventura di Sarah, fra cervellotici indovinelli e bizzarri personaggi, surreali scenari e sorprendenti proposte sentimentali.

Un racconto di formazione fantasy

Labyrinth – Dove tutto è possibile si profila come un classico racconto fantasy, esaltato dai formidabili pupazzi di Jim Henson e da diverse notevoli sperimentazioni del regista, fra cui spicca il barbagianni dell’incipit, uno dei primi animali in CGI fotorealistica della storia del cinema. Dietro a questa superficie, si cela però un classico racconto di formazione, in cui Sarah incarna tanti ragazzi e ragazze del periodo, costantemente in preda all’insoddisfazione, con pochi amici e incapaci di trovare una figura adulta a cui affidarsi senza esitazioni. Da qui la fascinazione per un mondo plasmato sulla loro immaginazione, in cui trovare la propria voce ed essere finalmente protagonisti.

Non a caso, molte teorie e interpretazioni di Labyrinth – Dove tutto è possibile partono dal presupposto che buona parte di ciò che vediamo sullo schermo sia avvenuto solo nella mente della protagonista. Una lettura dell’opera che trova peraltro riscontro in diversi dettagli, come il fatto che la camera di Sarah sia letteralmente tappezzata da giocattoli e stampe raffiguranti alcuni dei personaggi che in seguito la accompagneranno nel corso della sua avventura (addirittura si scorge una foto della madre della ragazza, famosa attrice, insieme a un uomo dalle sembianze di David Bowie).

Il viaggio di Sarah è infatti un’allegoria del rito di passaggio verso l’età adulta, simile a quella di Stand by Me – Ricordo di un’estate, al centro del precedente capitolo della nostra rubrica dedicata alla storia del cinema. Nelle sue 13 ore di viaggio verso il castello, la ragazza scopre l’affetto per il suo fratellino, che precedentemente non riusciva ad accettare in quanto frutto del rapporto fra il padre e l’odiata matrigna, ma impara anche a non fidarsi degli evidenti tranelli, subendo addirittura le avance di un uomo molto più grande di lei (risvolto che per la mentalità di oggi sarebbe stato decisamente problematico).

Labyrinth – Dove tutto è possibile: fra cinema e videogame

Labyrinth - Dove tutto è possibile

Jim Henson mette in scena tutto questo con la cadenza e le dinamiche tipiche del videogioco, intrecciate con la grande tradizione del racconto fantastico per ragazzi. Come Alice e Dorothy, protagoniste rispettivamente di Alice nel Paese delle Meraviglie e Il mago di Oz, Sarah trova sulla sua strada creature dall’aspetto pittoresco, che sfidano le leggi della logica e del buon senso, mettendola a dura prova sia emotivamente che fisicamente. La vediamo inoltre subire raggiri, come una pesca drogata che le provoca allucinazioni (altro riferimento tutt’altro che criptico ai pericoli del mondo degli adulti), e procedere chiaramente per mini obiettivi all’interno della quest principale, a caccia di informazioni e indizi che possano aiutarla a raggiungere il castello dove è prigioniero il fratellino, fra illusioni e false piste.

Non stupisce dunque che pochi mesi dopo l’uscita di Labyrinth – Dove tutto è possibile sia arrivato negli scaffali di tutto il mondo un omonimo videogioco di genere avventura grafica ispirato agli eventi del film, prodotto dall’allora Lucasfilm Games (successivamente protagonista della storia videoludica come LucasArts), diretto da David Fox (in seguito autore dell’epocale Zak McKracken and the Alien Mindbenders) e con lo stesso stile di titoli che pochi anni dopo faranno la storia del genere, come Maniac Mansion e Monkey Island. Una delle prime contaminazioni fra cinema e videogame che conferma, casomai ce ne fosse bisogno, lo strettissimo legame fra la settima arte e l’arte videoludica, fin dagli albori di quest’ultima.

Labyrinth – Dove tutto è possibile: lo straordinario contributo di David Bowie

Nonostante le evidenti limitazioni dell’epoca, come l’inevitabile ausilio da parte degli assistenti di scena per buona parte dei pupazzi partoriti dalla mente di Jim Henson, Labyrinth – Dove tutto è possibile ha resistito alla prova del tempo, scavandosi una nicchia nel cuore e nei ricordi dei bambini di allora e continuando ad attrarre anche le generazioni successive. Il merito di tutto questo è da attribuire a diversi fattori, a cominciare dalle scenografie all’avanguardia, realizzate col contributo di maestri del settore del calibro di Elliot Scott. In un’epoca ben lontana dal diluvio di computer grafica odierno, Jim Henson e i suoi collaboratori hanno saputo trasformare gli ostacoli tecnologici in opportunità, dando vita a immagini scolpite indelebilmente nell’immaginario collettivo, fra cui spicca indubbiamente l’architettura del castello di Jareth, chiaramente ispirata alle opere di M. C. Escher.

Gran parte del successo dell’opera va però attribuito ai due formidabili protagonisti. Da una parte, Jennifer Connelly incarna alla perfezione la determinazione e la vitalità di Sarah, caricandosi sulle sue fragili spalle di quindicenne l’intero peso del racconto. Allo stesso tempo, David Bowie dona tutto se stesso alla causa, conferendo a Jareth il suo impagabile enigmatico magnetismo da stregone rock, cimentandosi in balletti e siparietti autoironici e contribuendo alla colonna sonora con cinque canzoni che ne costituiscono l’ossatura: Magic Dance, Chilly Down, As the World Falls Down, Within You e Underground. Il contributo di questi due formidabili interpreti trova il proprio apice in una scena di ballo impossibile da dimenticare, che trasmette allo stesso tempo sfumature apparentemente agli antipodi come attrazione, inganno e volontà di indipendenza, sulle quali si fonda il senso stesso di Labyrinth – Dove tutto è possibile.

“Tu non hai nessun potere su di me”

Labyrinth - Dove tutto è possibile

In quel “Tu non hai nessun potere su di me“, frase del suo libro preferito che Sarah non riusciva mai a ricordare ma che sgorga dalle sue labbra proprio allo scoccare della tredicesima ora, liberando lei e Toby dall’incantesimo, risiede il messaggio più intimo e profondo di questo vero e proprio inno al potere salvifico della fantasia. Un messaggio ribadito con forza nell’ambigua scena finale, quando Sarah riesce finalmente a connettersi col piccolo Toby anche nel mondo reale donandogli uno dei suoi pupazzi preferiti, esplicitando al tempo stesso la sua volontà di non staccarsi mai totalmente da quell’universo incantato in cui ha vissuto le ultime ore e da quelle strambe creature che l’hanno aiutata a credere davvero in se stessa per la prima volta nella sua vita.

L’improvvisata festa che si svolge nella cameretta di Sarah, fondendo realtà e immaginazione, è uno dei più potenti omaggi alla fantasia mai visti sul grande schermo. Una sequenza che ci ricorda che siamo frutto delle storie con cui siamo cresciuti e delle opere che ci hanno formato, e ci invita al tempo stesso a non abbandonare mai la parte più fanciullesca e sognante di noi stessi, anche quando il mondo e la vita ci spingono a essere più aridi e cinici.

Labyrinth Dove tutto e possibile 7

Il filo nascosto nasce con l’intento di ripercorrere la storia del cinema nel modo più libero e semplice possibile. Ogni settimana un film diverso di qualsiasi genere, epoca e nazionalità, collegato al precedente da un dettaglio. Tematiche, anno di distribuzione, regista, protagonista, ambientazione: l’unico limite è la fantasia, il faro che ci guida è l’amore per il cinema.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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