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The Blues Brothers di John Landis – Il filo nascosto

Per il nuovo appuntamento con Il filo nascosto, restiamo nel 1980 con The Blues Brothers di John Landis.

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Si apre con una panoramica dall’alto dell’area urbana di Chicago The Blues Brothers, soffermandosi sui fumi delle fabbriche e sulle aree più povere per poi scendere a strapiombo sulla celeberrima Joliet Prison, che successivamente sarà anche il set delle prime due stagioni di Prison Break. Nessuna fuga in questo caso, ma solo la liberazione di un detenuto particolarmente bizzarro, ovvero Jake Blues. Ad attenderlo ci sono un orologio rotto, due preservativi (uno usato e uno no), il suo caratteristico outfit interamente nero (con immancabili occhiali e cappello) e soprattutto il fratello Elwood insieme alla nuova Bluesmobile. È l’inizio di una vera e propria pietra miliare della commedia musicale, esaltata dalla straordinaria regia di un maestro della comicità come John Landis, dall’esuberanza degli irresistibili protagonisti John Belushi e Dan Aykroyd e da una serie di comparse d’eccezione, fra cui spiccano Aretha Franklin e Ray Charles.

Dopo aver affrontato il crepuscolare La terrazza di Ettore Scola nel precedente appuntamento della nostra rubrica cinematografica Il filo nascosto, restiamo dunque nel 1980 per una commedia dall’impianto narrativo sgangherato e dall’atmosfera volutamente demenziale, che fra le sue pieghe cela però una riflessione politica e sociale altrettanto acuta e profonda. Il successo di The Blues Brothers nasce però prima, e più precisamente nel 1978, anno in cui John Landis e John Belushi sbancano il botteghino con Animal House e in cui fa il suo debutto nel corso del Saturday Night Live un duo comico destinato a entrare nella storia dell’intrattenimento.

Il successo in termini di pubblico e addirittura di vendite di dischi è epocale; il passaggio sul grande schermo è pressoché scontato, e ad aggiudicarsi i diritti è la Universal, che riunisce Landis e Belushi mettendo nelle mani del primo un budget destinato a lievitare fino a 27.5 milioni di dollari.

The Blues Brothers: la genesi

The Blues Brothers

È l’inizio di una lavorazione avvolta nella leggenda e afflitta dai problemi di dipendenza dalla droga di gran parte del cast, che portano addirittura alla necessità di inserire a budget una quota dedicata all’acquisto di cocaina. Una situazione ingestibile sul lungo periodo, che porta infatti ad aspri scontri fra lo stesso Landis e Belushi, spesso totalmente fuori controllo. A questo si aggiungono poi le frizioni con le guest star musicali, inadatte alla monotonia e alla ripetitività di un set cinematografico, e i costi di produzione in continuo aumento, anche a causa dell’elevato numero di automobili utilizzate e distrutte e dello sfruttamento come location di ampie aree del centro di Chicago.

C’è chi parla di fallimento annunciato, di opera inadatta al pubblico bianco in quanto basata sulla cultura afroamericana. Nonostante una distribuzione col freno a mano tirato negli Stati Uniti, a fine corsa The Blues Brothers incassa 115 milioni di dollari, ma è solo l’inizio del cammino di un film che entra lentamente nell’immaginario collettivo anche e soprattutto grazie alla distribuzione in home video e ai ripetuti passaggi televisivi.

La mera trama è semplice e lineare: dopo l’uscita di Jake dalla prigione, i Blues Brothers si recano presso l’orfanotrofio in cui sono cresciuti, dove ricevono dalla suora Mary Stigmata la notizia che servono 5.000 dollari di tasse arretrate per evitare la chiusura della struttura. Per ottenere la cifra richiesta, i due decidono di rimettere in piedi la vecchia banda per un grande concerto. Fra nuove e vecchie conoscenze, non mancano le disavventure: a braccare i fratelli arrivano, fra gli altri, le forze dell’ordine, una band country e i temibili nazisti dell’Illinois.

The Blues Brothers: la missione per conto di Dio è ancora un concentrato insuperato di risate, musica e ribellione

The Blues Brothers

Il racconto è un pretesto per mettere in scena la carica sovversiva che contraddistingue il cinema di John Landis. Il regista statunitense continua il discorso iniziato con Animal House, mettendoci di fronte a quella che è sostanzialmente un’altra pittoresca e spassosa guerra contro l’autorità. I fratelli Blues non sono né persone integerrime né simboli positivi, tutt’altro. Jake ed Elwood Blues sono due persone anaffettive, allergiche alle regole e con una fedina penale ben lontana dall’essere pulita, messe ai margini da una società che imprigiona l’estro e premia invece la sottomissione, spronando gli individui a entrare a fare parte del sistema per non diventarne una vittima.

Non è un caso che nel corso della loro missione per conto di Dio i Blues Brothers si scontrino prevalentemente con diverse emanazioni del potere. La prima, invisibile e serpeggiante, è proprio quella che con la minaccia della chiusura reclama le tasse da una struttura deputata esclusivamente ad aiutare i bisognosi; successivamente arriva la polizia, che in un crescendo di follia e ilarità trasforma una patente scaduta in un valido motivo per un inseguimento per tutto lo stato, con un incredibile dispiegamento di uomini e mezzi; da non sottovalutare poi i nazisti dell’Illinois e il gestore del locale riservato alla musica country, facce opposte della stessa medaglia fatta di conformismo, conservatorismo e violenza. Persino la misteriosa inseguitrice dei fratelli, interpretata dalla solita strepitosa Carrie Fisher, incarna le regole e le convenzioni: abbandonata sull’altare da Jake, è in cerca di una vendetta morale e fisica per quanto subito.

La commistione di generi

The Blues Brothers è sostanzialmente una lunga e sgraziata corsa verso un’esibizione musicale dal vivo con cui pagare le tasse per salvare un orfanotrofio. Niente di illegale o moralmente disdicevole, ma sufficiente per scatenare una vera e propria caccia agli uomini. Da regista colto e raffinato, John Landis sfrutta questo canovaccio per scardinare i generi, come è solito fare. Prima opera un necessario rimaneggiamento della sceneggiatura scritta dallo stesso Dan Aykroyd, che inizialmente supera abbondantemente le 300 pagine. Ma i tagli non si limitano allo script: il regista filma infatti alcune sequenze fortemente volute da Aykroyd, per poi tagliarle in sede di montaggio. L’esempio più evidente è quella in cui viene suggerita l’origine della magia della Bluesmobile, che in effetti è del tutto superflua se non addirittura dannosa per l’aura che accompagna questo veicolo.

The Blues Brothers è tecnicamente una commedia a tinte noir, ma contiene al suo interno un’infinità di generi e sottogeneri. C’è ovviamente il musical, che diventa terreno di scontro fra la rigidità della macchina cinematografica e l’estro degli artisti chiamati in causa, con il risultato di vere e proprie esibizioni filmate, lontane anni luce dalla perfezione nella messa in scena di Stanley Donen e Gene Kelly. Non manca il road movie, che diventa oggetto di parodia con battute come «Sono 126 miglia per Chicago. Abbiamo il serbatoio pieno, mezzo pacchetto di sigarette, è buio, e portiamo tutt’e due gli occhiali da sole» e viene ribaltato dalle fondamenta da Landis: il viaggio dei fratelli Blues non porta né al cambiamento interiore né a una vera e propria redenzione, ma si torna invece al punto di partenza, cioè il carcere.

Fra azione e cartoon

John Landis sfonda poi apertamente i confini del cinema d’azione, dando vita a una serie di inseguimenti esilaranti, che sfociano superbamente nel surreale. È questo il caso del tallonamento della polizia ai Blues Brothers all’interno di un centro commerciale, che viene letteralmente messo a ferro e fuoco dalla pazzia mista a istinto di sopravvivenza, nel comprensibile panico generale. Ancora più folle, nonché contrario alla stragrande maggioranza delle leggi fisiche, la lotta su strada con i nazisti dell’Illinois, che si conclude con una vera e propria capriola della Bluesmobile e con un volo di centinaia di metri dell’auto dei malvagi, ulteriormente estremizzato dal montaggio.

Questi inserti spettacolari e allo stesso tempo demenziali, le svariate guest star e la magia della Bluesmobile («Motore truccato, sospensioni rinforzate, paraurti antistrappo, gomme antiscoppio e cristalli antiproiettile. E non c’è neanche bisogno dell’antifurto perché ho collegato tutti i contatti con la sirena. Allora, che ne dici, è la nuova Bluesmobile o no?») contribuiscono inoltre a conferire al racconto una dimensione evidentemente cartoonesca. Gli stratagemmi con cui l’ex fidanzata di Jake cerca di vendicarsi ricordano quelli messi in atto da Willy il Coyote con Beep Beep; non ci sono morti nonostante i numerosi scontri a fuoco; la stessa Bluesmobile è indistruttibile come la Batmobile, almeno fino alla sua ultima eroica impresa. Una scelta ben precisa di Landis, che non banalizza The Blues Brothers, ma al contrario esalta le caratteristiche più estreme del racconto, rendendolo paradossalmente più vero e politico.

Il cinema sovversivo di John Landis

The Blues Brothers

Fondere e ribaltare sono le parole chiave del cinema di John Landis. Un regista che con Slok, Un lupo mannaro americano a Londra e il videoclip di Thriller ha miscelato la commedia con l’orrore, mentre con Animal House, The Blues Brothers, Una poltrona per due e Il principe cerca moglie ha sovvertito regole e classi sociali, scambiando di posto ricchi e poveri, trasformando una confraternita scolastica in avamposto rivoluzionario e rendendo i membri di una band musicale novelli Robin Hood, in lotta contro le storture della società. Alto e basso che si mescolano in un cinema fieramente commerciale ma con le radici ben piantate nella storia del grande cinema.

Le risate che grandinano con battute come «Quattro polli fritti e una Coca» o «Gesù Cristo ha compiuto il miracolo! Ho visto la luce!», sequenze come la piazzata dei fratelli Blues in un ristorante di lusso e prodigiosi numeri musicali come quelli di James Brown, Aretha Franklin e Ray Charles rischiano di fare passare in secondo piano momenti di cinema altissimo. Doveroso in questo senso menzionare la già citata introduzione di Jake Blues, da manuale di regia e sceneggiatura per come presenta un personaggio prima ancora di inquadrarlo in volto, il climax conclusivo di azione e comicità, che non a caso coincide con un cammino verso l’alto dei Blues Brothers, o l’improvvisa incursione nell’horror nel momento in cui Mary Stigmata si muove e sbatte le porte come un demone, ennesimo ribaltamento di regole e stereotipi.

The Blues Brothers: la memorabile prova del compianto John Belushi

«Chi non sa ridere, non è una persona seria», recita un celebre adagio. The Blues Brothers rispetta perfettamente questa regola, mettendo un campionario inesauribile di musica e comicità al servizio di una storia che, se osservata a distanza, mostra diversi risvolti drammatici. In una Chicago quasi soffocata dalle fabbriche, una bandiera americana sventola fieramente nel giardino di un carcere, punto di partenza e di arrivo per il viaggio di due veri e propri disadattati, che possono permettersi solo un misero sgabuzzino letteralmente affacciato sui binari. Due persone ai margini per le quali l’unico strumento di riscatto è la musica, aspirazione che tuttavia gli viene continuamente negata.

Impossibile poi non tributare un pensiero a John Belushi, che nell’arco di appena 3 anni ha lasciato un segno indelebile nella storia del cinema non solo con The Blues Brothers e Animal House, ma anche recitando accanto a Jack Nicholson e Christopher Lloyd in Verso il sud, dominando 1941 – Allarme a Hollywood e lasciando intravedere notevoli potenzialità drammatiche in Chiamami aquila. La sua morte, arrivata a soli 33 anni a causa di un’overdose di eroina e cocaina, è una ferita ancora aperta per tutti gli ammiratori di questo fulgido esempio di genio e sregolatezza.

The Blues Brothers: un film a cui bisogna essere grati

The Blues Brothers

Dopo oltre 40 anni, la missione per conto di Dio dei Blues Brothers è più viva che mai, ed è ancora un concentrato insuperato di irrefrenabili risate, straordinaria musica e cinema capace di criticare e attaccare il sistema da dentro il sistema stesso, senza per questo trasformarsi in farsa. Un cinema demenziale, sarcastico, ostentato, ribelle, e perciò serissimo, a cui non smetteremo mai di essere grati.

“Il ricorso alla violenza anche non necessaria per l’arresto dei Blues Brothers è ammesso e approvato.”

Il filo nascosto nasce con l’intento di ripercorrere la storia del cinema nel modo più libero e semplice possibile. Ogni settimana un film diverso di qualsiasi genere, epoca e nazionalità, collegato al precedente da un dettaglio. Tematiche, anno di distribuzione, regista, protagonista, ambientazione: l’unico limite è la fantasia, il faro che ci guida è l’amore per il cinema. I film si parlano, noi ascoltiamo i loro dialoghi.

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  • Film commedia musicale del 1980
  • Film diretto da John Landis
  • In formato 4K UHD e Blu-ray

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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