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Quando 50 anni fa Bertolucci scandalizzò la morale borghese con Ultimo tango a Parigi

Compie oggi 50 anni il capolavoro di Bernardo Bertolucci con Marlon Brando e Maria Schneider che non ha mai smesso di far discutere

Nel 1971 Bernardo Bertolucci e Marlon Brando erano entrambi alla ricerca di qualcosa che desse loro una spinta verso una nuova fase. Bertolucci aveva trent’anni, si era appena fatto conoscere grazie a Il conformista, che venne apprezzato molto dalla critica e a oggi è considerato il suo primo capolavoro. Adattamento dell’omonimo romanzo di Alberto Moravia, qui è dove la forza del pensiero critico antiborghese di Bertolucci e la sua esperienza come regista maturata negli anni raggiungono un primo perfetto equilibrio. È il film in cui Bertolucci trova la sua voce. Ora però è giunto il momento di farsi sentire da tutti.

Brando invece nel 1971 di anni ne aveva 47 e sembrava fosse ormai il gigante del passato sul viale del tramonto. Dopo il grande successo negli anni Cinquanta con Un tram che si chiama desiderio, Giulio Cesare, Il selvaggio, Fronte del porto e Bulli e pupe, per gran parte dei Sessanta Brando finì in un vortice di insuccessi commerciali che ne stavano pian piano minando il mito. Persino La contessa di Hong Kong, che lo vedeva per la prima volta a fianco di Sophia Loren con alla regia la leggenda Charlie Chaplin (sarà il suo ultimo film), non ebbe i risultati sperati. Sembrava ormai finita ma Brando non molla e se Bertolucci stava cercando un modo per farsi conoscere da tutto il mondo, lui sulla cresta di quell’onda c’era già stato e voleva assolutamente tornarci.

In poche parole: Bertolucci stava cercando una nascita, Brando una rinascita.

E per entrambi la ricerca portò ad un’unica destinazione: Ultimo tango a Parigi.

Che proprio oggi compie 50 anni.

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Ultimo tango a Parigi: la rinascita di Marlon Brando e la nascita di Bernardo Bertolucci

Ok, a onor del vero Brando fino a un mese prima da inizio riprese era sul set de Il padrino, quindi se vogliamo essere precisi cronologicamente sarebbe stato il capolavoro di Francis Ford Coppola a segnare il suo grande ritorno. Tuttavia sia Il padrino che Ultimo tango sarebbero usciti nelle sale l’anno seguente, nel 1972, il primo a marzo e il secondo a ottobre, quindi possiamo dire, visto l’enorme successo, che entrambi favorirono la rinascita di Brando. Il quale nel 1979 tornerà a lavorare con Coppola in quello che sarà il suo ultimo grande ruolo al cinema: il colonnello Walter E. Kurtz di Apocalypse Now.

Per Bertolucci invece Ultimo tango significò porte spalancate verso la possibilità di fondere cinema d’autore e kolossal, di dare alle sue immagini intrise di politica un respiro internazionale. E quindi di approdare, qualche anno dopo, all’altro progetto a cui stava lavorando da tempo: Novecento, una cavalcata di 5 ore e 20 minuti divisa in due atti lungo la Storia d’Italia, dal 1901 al 1945. Monumentale. Granitico. Immenso.

Ma torniamo a Ultimo tango.

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Quello scandaloso Ultimo tango a Parigi

Lui si chiama Paul, è americano, vedovo e vive a Parigi. Incontra Jeanne, francese, molto più giovane di lui, e scatta la scintilla. I due, senza neanche sapere i rispettivi nomi, iniziano a esplorare a fondo la loro sessualità. Ed è in quel “a fondo” che sta tutta la differenza tra questo di Bertolucci e qualunque altro precedente film di ampia distribuzione con un po’ di erotismo. Nel 1972 la censura cattolica era molto più rigida, severa e potente di adesso, e tutto quel sesso esplicito in Ultimo tango fece scandalo.

Quanto scandalo? Beh, vi basti sapere che nel dicembre del 1972 il film fu sequestrato e messo sotto processo. Un processo al termine del quale nel 1976 la Cassazione condannò la pellicola alla distruzione. Qui stiamo parlando di rogo, mica bollino rosso o rated R. RO-GO. Come nel Medioevo. E non solo: Bertolucci, Brando, il produttore Alberto Grimaldi e lo sceneggiatore Franco Arcalli vennero condannati a due mesi di carcere. Pena poi sospesa, ok, ma Bertolucci dovette comunque scontare quella per offesa al comune senso del pudore e venne quindi privato dei diritti civili per cinque anni, fra cui il diritto di voto. Insomma, non si andò per nulla per il sottile.

A suscitare la collera delle istituzioni fu una scena in particolare: il famigerato momento in cui Paul, interpretato ovviamente da Brando, lubrifica con del burro l’ano di Jeanne, una Maria Schneider al tempo diciannovenne, prima di sodomizzarla.

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La famigerata scena di sesso col burro tra Brando e Maria Schneider

È abbastanza difficile se non impossibile parlare oggi di Ultimo tango senza aprire una parentesi su quello che resta un controverso e per nulla simpatico retroscena sulla lavorazione del film. Ci limiteremo a dire che dalle interviste rilasciate, ciò che emerge è l’immagine di una giovane Schneider al suo primo ruolo davvero importante che non vuole girare una scena perché non è come è presente in sceneggiatura. Quindi non è come è stata da lei approvata.

Il cambiamento è dovuto alla presenza di burro durante la simulazione di un rapporto anale. Questo dettaglio, il burro, non era stato concordato, viene aggiunto sul set poco prima di filmare e a Schneider questa idea non piace per niente. È abbastanza facile immaginare poi che abbia avuto grosse difficoltà a far valere la propria opinione dinnanzi a Brando e Bertolucci, che non erano solo due giganti ma erano due uomini in un mondo di soli uomini e con in tasca molti più anni di lei. Alla fine Schneider la scena la gira, ma si sente parecchio umiliata. E tale umiliazione è proprio ciò che Bertolucci cercava di catturare.

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Un film che fa discutere ancora oggi

Insomma, non esattamente un aneddoto allegro da raccontare. Una situazione molto figlia di un modo di fare cinema oggi considerato inaccettabile. E lasciatemi aggiungere: e meno male. Purtroppo non è l’unico esempio di quanto può essere pericolosa la ricerca di una reazione realistica e genuina da parte degli attori. E di quanto sia legittimo domandarsi fino a che punto ti puoi spingere tu, regista, a pretendere un tale livello di autenticità. Si pensi ad esempio al pessimo trattamento riservato a Shelley Duvall da parte di Stanley Kubrick sul set di Shining.

Detto questo, alla censura dell’epoca importava poco delle implicazioni morali che tale scena porta con sé per il modo in cui è stata realizzata, questo è argomento di discussione più per noi contemporanei (infatti CBS Studios ci sta facendo una serie televisiva al riguardo). A loro interessava ciò che la scena mostrava, era quello lo scandalo. Ed era soprattutto per quello che Ultimo tango e Bertolucci dovettero affrontare tutte le magagne che abbiamo elencato.

Ultimo tango a Parigi: il frutto proibito degli italiani

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Nonostante tutto, l’ascesa al successo del film non venne arrestata nemmeno per sbaglio. Per molti anni Ultimo tango è stato il più grande incasso di sempre per il cinema italiano (lo avrebbe superato nel 1997 La vita è bella di Roberto Benigni), quindi si può dire sia stato per molto tempo il frutto proibito su celluloide per eccellenza degli italiani: desiderato dal pubblico e odiato dalla morale borghese. Quando anche i film possono essere rockstar.

50 anni dopo, con il porno di qualunque tipo a portata di click in qualunque momento della giornata, fa abbastanza sorridere ricordare queste cose. Col passare del tempo e con il cambiare di mentalità, nel 1987, 11 anni dopo la condanna della Cassazione, Ultimo tango venne riabilitato e da quella volta non è più un problema il passaggio in sala o in televisione. Nel 2018 inoltre, a 46 anni dalla sua realizzazione, è tornato in sala restaurato in 4K dal Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale, con la supervisione di Vittorio Storaro, che del film curò la fotografia.

Perché guardare oggi Ultimo tango a Parigi

Per cui se riuscite a mettere da parte lo sgradevole retroscena della scena del burro, date uno sguardo a questa spietata critica alle contraddizioni borghesi che proprio oggi spegne 50 candeline, perché può ancora dirci tanto di cosa siamo. Ultimo tango è il ritratto di una società ipocrita, dove il sesso è l’unica forma di ribellione possibile, l’unica arma contro il conformismo, l’unica trasgressione ancora invisa alla morale dominante. E questa è una provocazione ma al tempo stesso anche una profonda e cinica riflessione sul mondo rappresentato da Paul, il vecchio mondo. Quel mondo che si finge progressista e dalla mentalità aperta ma poi non lo è fino in fondo. Sperimenta e prova a trovare un contatto con il nuovo mondo, Jeanne, tra le pareti di uno squallido appartamento di Parigi. Ma alla fine resta imbrigliato nei recinti mentali che la società che lo ha cresciuto ha creato per lui.

Per Paul non c’è speranza. Per Jeanne forse sì.

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