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Cow: il doloroso documentario animalista di Andrea Arnold

Cow è disponibile su MUBI.

È uno sguardo che non si dimentica quello di Luma, la mucca protagonista assoluta del documentario di Andrea Arnold Cow, disponibile da qualche giorno su MUBI. Uno sguardo che è contemporaneamente tante cose: richiesta di aiuto, rassegnazione, paura e soprattutto simbolo dell’esistenza alienata e disumana che sono costretti a vivere molti animali da allevamento, come la mucca da latte su cui è incentrata l’opera della regista. Ci troviamo in una fattoria di Park Farm, nel Kent, ma potremmo trovarci in un qualsiasi altro allevamento del mondo, dato che la minacciosa presenza dell’uomo è sempre sullo sfondo, a sottolineare lo sguardo ad altezza di animale di Andrea Arnold.

Luma è la Cow del titolo, una generica mucca che seguiamo nella sua triste vita, fatta di sfruttamento e continue brutalità. Una piccola componente di un ingranaggio studiato nei minimi dettagli, che manda avanti all’insegna della produttività e dell’efficienza la florida industria del latte e dei suoi derivati. La prima scena del documentario (le cui riprese hanno richiesto ben 4 anni di tempo), è una vera e propria dichiarazione d’intenti della regista: un vitellino viene letteralmente tirato fuori dal ventre materno con una corda. Un atto che assomiglia più al traino di un veicolo in panne che al miracolo della vita che si compie, primo di una lunga serie di attività stranianti, capaci di lasciare il segno anche sugli spettatori meno interessati agli animali e al loro benessere.

Cow e Gunda

Ciò che segue nei successivi 94 minuti di Cow è la fedele descrizione della vita di una mucca da allevamento, il cui unico senso è quello di fornire il maggior quantitativo possibile di latte ai suoi proprietari. Un processo che non risparmia neanche i più piccoli: appena nato, il vitellino resta con la madre solo il tempo necessario per farsi leccare via la placenta e per mettersi in piedi. Subito dopo, viene separato dalla madre e comincia un percorso fatto di torture e soprusi, fra cui spiccano due bruciature sul cranio, fatte per evitare la crescita delle sgradite corna. Parallelamente, la madre ricomincia un loop perpetuo di gravidanza e produzione di latte, assumendo farmaci che le permettano di tornare ad avere il ciclo il prima possibile.

Sulla scia di Gunda di Viktor Kossakovsky, Andrea Arnold adotta il punto di vista degli animali per mettere in scena un doloroso e struggente atto di sensibilizzazione dello spettatore verso lo sfruttamento animale. Dove l’opera di Kossakovsky sfruttava il lirismo della vita bucolica di una scrofa e la purezza del mondo animale, ammantato da un elegante bianco e nero, Cow adotta uno stile ben più diretto e privo di compromessi, accompagnando Luma e le sue compagne negli angusti spazi a loro assegnati e documentando con dovizia di particolari la loro esistenza.

A fare da filo conduttore alle ripetute separazioni, alle mungiture, agli avvilenti biberon con cui si allattano i piccoli e all’inquietante musica fatta ascoltare alle mucche per favorire la loro produzione c’è lo sguardo di Luma, che si posa continuamente sulla macchina da presa, rompendo di fatto la quarta parete e diventando una sorta di voce narrante e guida morale del racconto.

Un’opera sopraffina ed emotivamente devastante

Al netto di qualche forzatura di montaggio (gli stacchi fra lo sguardo di Luma ed elementi del paesaggio circostante, con i quali Arnold ci suggerisce gli stati d’animo dell’animale), il risultato è travolgente. Non servono didascalie con statistiche sugli allevamenti per cogliere l’operazione messa in piedi dalla regista: la sovrapposizione fra il punto di vista dello spettatore e quello di Luma permette di comprendere il regime di totale sottomissione in cui vivono queste bestie, mentre le figure umane sfocate sullo sfondo e le sporadiche irruzioni della tecnologia (gli aerei che solcano il cielo durante l’ora d’aria delle mucche) ci ricordano quanto è distruttivo e annichilente l’impatto della nostra società sul mondo animale.

Il finale, non certo inaspettato ma ugualmente devastante, è il punto esclamativo su un’opera sopraffina, che al tempo stesso è perfettamente coerente coi temi trattati dalla regista nelle sue opere di finzione (la maternità disfunzionale, le esistenze ai margini della società, il commercio sessuale) e riesce a compiere ciò che il grande cinema dovrebbe sempre fare, cioè porre domande anche scomode allo spettatore. È difficile disinnescare le criticità di una società interamente costruita sullo sfruttamento del prossimo e della natura, ma dopo la visione di Cow sarà estremamente difficile per chiunque bere un bicchiere di latte senza sentirsi almeno parzialmente in colpa.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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