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Codice d’onore di Rob Reiner – Il filo nascosto

Per il nuovo appuntamento con Il filo nascosto, parliamo ancora di Tom Cruise e della sua prova in Codice d'onore.

«Non serve una mostrina per essere un uomo d’onore», dice il Tenente Daniel Kaffee al termine del travolgente climax emotivo con cui si chiude Codice d’onore. Una battuta capace di racchiudere l’intero senso del film e soprattutto dell’affilata sceneggiatura di Aaron Sorkin, che per il suo primo script hollywoodiano (adattato dalla sua opera teatrale A Few Good Men) si muove con naturalezza fra le pieghe del legal drama, dando vita a una pungente riflessione sulle storture e sulle tragiche conseguenze delle rigide regole militari. Il folgorante esordio di una delle penne più brillanti del cinema americano contemporaneo, da oltre 30 anni sulla cresta dell’onda sia al cinema (The Social Network, Steve Jobs), sia in televisione (West Wing – Tutti gli uomini del Presidente, The Newsroom).

La sola scrittura di Aaron Sorkin non è però sufficiente a giustificare il successo di Codice d’onore, che a più di 30 anni dalla sua uscita è ancora scolpito nell’immaginario collettivo. Gran parte del merito va infatti anche a un regista talentuoso e poliedrico come Rob Reiner, che dopo il formidabile falso documentario This Is Spinal Tap, lo struggente racconto di formazione Stand by Me – Ricordo di un’estate, il fantasy La storia fantastica, la commedia romantica Harry, ti presento Sally… e il raggelante thriller Misery non deve morire entra con destrezza e carisma fra le mura di una corte marziale. Con lui una vera e propria parata di stelle: la reduce dal successo di Ghost – Fantasma Demi Moore, il duttile Kevin Bacon, il sinistro Kiefer Sutherland e soprattutto gli strepitosi Tom Cruise e Jack Nicholson, protagonisti di un confronto finale da antologia.

Codice d’onore: possiamo reggere la verità?

Codice d'onore

Dopo aver parlato della sua prova in Vanilla Sky nel precedente appuntamento con la nostra rubrica cinematografica Il filo nascosto, chiamato in questo caso a interpretare il tenente Daniel Kaffee, giovane e brillante avvocato della marina degli Stati Uniti. L’ardua prova che tocca a Kaffee è quella di difendere il vice-caporale Dawson e il soldato scelto Downey, accusati dell’omicidio del soldato semplice William T. Santiago presso la base di Guantánamo. Con l’aiuto dell’amico Sam Weinberg (Kevin Pollak) e del tenente comandante JoAnne Galloway (Demi Moore), l’avvocato imposta la sua linea difensiva sulla possibilità che la tragedia sia stata causata dall’ordine da parte dei superiori di mettere in pratica il famigerato “codice rosso”, procedura non ufficiale con cui punire i soldati ribelli o inefficienti.

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Dall’altra parte della barricata c’è il capitano Jack Ross (Kevin Bacon), che pur essendo avversario di Kaffee vive con lui un rapporto schietto e sincero. Nonostante le scarse possibilità di vittoria e i potenziali rischi per la sua carriera, Kaffee si imbarca comunque in questa dura battaglia legale, che lo porta a incrociare la strada con il temibile Colonnello Nathan R. Jessep (Jack Nicholson) e con il tenente Jonathan Kendrick (Kiefer Sutherland), ovvero i principali sospettati per l’ordine di codice rosso.

Codice d’onore: la scrittura di Aaron Sorkin

Codice d'onore

«Noi usiamo parole come onore, codice, fedeltà: usiamo queste parole come spina dorsale di una vita spesa per difendere qualcosa. Per voi non sono altro che una barzelletta. Io non ho né il tempo né la voglia di venire qui a spiegare me stesso a un uomo che passa la sua vita a dormire sotto la coperta di quella libertà che io gli fornisco e poi contesta il modo in cui gliela fornisco», dice Jessep, toccando consapevolmente un nervo scoperto della società americana, attraversata e guidata dalle forze armate ma allo stesso tempo protagonista di slanci progressisti e inclusivi.

Un cortocircuito in cui Aaron Sorkin si incunea con grande intelligenza, mettendo in luce le contraddizioni e turbamenti di un’intera nazione. Non c’è nulla di umano e rispettabile nel cinismo e nella ferocia di Jessep e del suo scagnozzo Kendrick, eredi spirituali dell’indimenticabile sergente maggiore Hartman di Full Metal Jacket. Ma allo stesso tempo non possiamo ignorare né il paradosso di un sistema che addestra alla cieca obbedienza nei confronti di un superiore salvo poi rivalersi sui gradini più bassi della scala gerarchica quando le cose vanno male, né l’ipocrisia di fondo di chi, muovendosi fra le fitte maglie dell’ambiente militare, si scaglia contro il suo stesso mondo e soprattutto contro le regole che implicitamente accetta.

Il legal drama si tinge di western

Il dilemma etico e morale alla base di Codice d’onore è talmente importante e attuale che rischia più volte di mangiarsi il resto del racconto, a partire dall’impalpabile personaggio di Demi Moore e per finire con il rapporto con il rapporto con la figura paterna dello stesso Kaffee, che curiosamente ha più di un punto di contatto con la storia di Pete “Maverick” Mitchell di Top Gun, anch’esso membro della Marina degli Stati Uniti e impersonato da Tom Cruise. Ma la fulgida scrittura di Sorkin si riprende sempre quando sembra sul punto di deragliare, trovando solidità e brillantezza proprio nei meandri più spregevoli e respingenti del codice d’onore militaresco.

Come nelle scatole cinesi, ognuno dei tasselli umani protagonisti di questa storia ha un’entità superiore a cui obbedire: spesso un militare più alto in grado, in altre occasioni la ricerca della verità, altre volte ancora la propria coscienza, come nel caso del dolente personaggio del tenente colonnello Matthew Andrew Markinson. Personalità discordanti, gerarchie inviolabili e visioni della vita diametralmente opposte, che finiscono per collidere in una fredda e apparentemente austera aula di tribunale, dove si consuma invece un duello dalle sfumature western, in cui le parole, la logica e la furbizia dialettica prendono il posto delle pistole.

Il finale di Codice d’onore

Codice d'onore

Mentre l’America processa se stessa, i due marine sotto accusa e la memoria di Santiago lasciano spazio allo scontro umano, politico e generazionale fra Kaffee e Jessep, finalmente faccia a faccia. Da una parte il giovane rampante che vuole cambiare le cose, puntando il dito contro un potere diabolico e spietato, pronto a tutto pur di perpetuarsi; dall’altra l’imponente e rigoroso apparato militare, consapevole della scarsa presa delle sue logiche sui civili, ma contemporaneamente forte della sua storia, della sua potenza e della sua necessità, in particolare negli Stati Uniti.

Da pacifista convinto, Jack Nicholson sale in cattedra, dando corpo e volto a uno dei più vili guerrafondai visti sul grande schermo, che non esita a utilizzare la sua posizione militare e politica per mettere in difficoltà il suo avversario. A Tom Cruise il compito di tenergli testa, sfruttando la sua proverbiale sfrontatezza ma anche una recitazione sviluppata in un’altalena emotiva fra apparente passività e consapevole aggressività.

«Un bravo poliziotto che sa fare il suo mestiere sa che ogni uomo ha un vizio che lo farà cadere», cantava Francesco De Gregori. E a far cadere Jessep è proprio la sua sicurezza, insieme a un orgoglio che gli impedisce di mettere in discussione la fedeltà ai suoi ordini, condannandolo a diventare il nuovo accusato di un processo privo di vincitori e vinti.

Un finale lieto ma non consolatorio

Codice d'onore

Mentre Jessep si dirige verso l’oblio, Dawson e Downey salvano la propria libertà ma sono congedati con disonore. Kaffee può invece festeggiare una vittoria legale di altissimo profilo, ottenuta con scaltrezza e un pizzico di incoscienza. Ma quanto tempo passerà prima che un nuovo crudele colonnello imponga ai suoi sottoposti la sua iniqua legge?

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Una crepa nel lieto fine di Codice d’onore, ritratto di un ambiente così fedele alle proprie norme da perdere di vista le più basilari regole di civiltà, e di un mondo talmente fragile e impaurito da affidarsi a un ordine in cui le vite contano meno delle valutazioni sul campo.

«Tu non puoi reggere la verità! Figliolo, viviamo in un mondo pieno di muri e quei muri devono essere sorvegliati da uomini col fucile. Chi lo fa questo lavoro, tu? O forse lei, tenente Weinberg? Io ho responsabilità più grandi di quello che voi possiate mai intuire. Voi piangete per Santiago e maledite i Marines. Potete permettervi questo lusso. Vi permettete il lusso di non sapere quello che so io: che la morte di Santiago nella sua tragicità probabilmente ha salvato delle vite, e la mia stessa esistenza, sebbene grottesca e incomprensibile ai vostri occhi, salva delle vite. Voi non volete la verità, perché nei vostri desideri più profondi che in società non si nominano, voi mi volete su quel muro, io vi servo in cima a quel muro».

Il filo nascosto nasce con l’intento di ripercorrere la storia del cinema nel modo più libero e semplice possibile. Ogni settimana un film diverso di qualsiasi genere, epoca e nazionalità, collegato al precedente da un dettaglio. Tematiche, anno di distribuzione, regista, protagonista, ambientazione: l’unico limite è la fantasia, il faro che ci guida è l’amore per il cinema. I film si parlano, noi ascoltiamo i loro dialoghi.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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