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L’Ucraina e i diritti violati: il rovescio della medaglia di una guerra ipertecnologica

Donne trans costrette a combattere o a cui viene impedito di fuggire

Quotidianamente vi portiamo a conoscenza dei nuovi risvolti tecnologici del conflitto tra Russia e Ucraina. Gli hacker si sono ormai divisi in due fazioni. Complessa e articolata, poi, è la questione delle piattaforme social. Non solo perché i social stanno fotografando il conflitto in un modo inedito. Ma anche perché, dopo un momento iniziale in cui sembravano tutti apertamente schierati contro il governo di Mosca, negli ultimi giorni non sono mancati atteggiamenti quanto meno ambigui.

Ci sono poi i colossi del comparto tech, che salvo poche eccezioni stanno lasciando la Russia a corto di prodotti e servizi. E che in molti casi hanno fatto donazioni o sono comunque intervenuti a favore della popolazione ucraina assediata.

Inoltre, in un’ottica più strettamente militare, si pensi al largo utilizzo dei droni.

Insomma, non sbaglia chi dichiara che questa è una guerra combattuta anche con le armi di una sempre più avanzata tecnologia.

E questa verità ci fa dimenticare il resto. Ci fa dimenticare, ad esempio, l’antico adagio di Charles Fourier, che ha più ho meno detto quanto segue: “Il grado di civiltà di un Paese si misura dalle condizioni delle donne”.

manifestazione LGBT Kiev

L’Ucraina e le persone transgender

La frase di Fourier, socialista utopista vissuto tra Sette e Ottocento, andrebbe aggiornata. Oggi, il grado di civiltà di un Paese si misura – anche – da come percepisce la questione dell’identità di genere. Cioè l’appartenenza psicologica al genere maschile, femminile o non binario.

Ricordando che si chiama transgender (ma sarebbe l’ora di utilizzare il termine italiano transgenere) chiunque si identifichi in un genere diverso rispetto a quello attribuito alla nascita.

Vale forse la pena, dunque, di riassumere qui alcune clamorose notizie degli ultimi giorni. Che riguardano non Mosca ma Kiev. E più precisamente l’Ucraina e le persone transgender. A dimostrazione che, per quanto combattuta all’insegna delle più moderne tecnologie, la guerra tra Russia e Ucraina non è lo scontro tra due Paesi all’avanguardia da un punto di vista culturale.

Ucraina: le donne transgender non possono fuggire

Al di là della meritoria campagna di accoglienza di centinaia di migliaia di profughi, messa in moto da svariati Paesi, centinaia di donne transgender ucraine stanno vivendo un dramma. Che va oltre le quotidiane discriminazioni subite.

Una legge marziale voluta da Zelensky, infatti, vieta ai cittadini di genere maschile dai 18 ai 60 anni di abbandonare il Paese. E in questo caso non fa testo – appunto – l’identità di genere, ma il genere che campeggia sul documento di identità.

Nessuna responsabilità, naturalmente, è di chi controlla i documenti al confine. Il punto, come sentiremo più avanti dalle parole di Alessandro Zan, è che le donne trans non si “sentono” donne ma lo sono. E le carte d’identità dovrebbero confermarlo.

Le donne transgender, dunque, non possono lasciare l’Ucraina.

C’è chi è comunque riuscita a scappare nottetempo attraverso la foresta, per rifugiarsi in Moldavia, Romania o Polonia. Chi ha tentato più volte di oltrepassare la frontiera ma è stata respinta. E chi sta meditando di procurarsi un documento falso o fingere problemi di salute mentale, grazie a un medico compiacente.

C’è poi la vicenda per così dire fortunosa della ventottenne Dana, ora esule a Parigi. Che è riuscita a oltrepassare la frontiera con la Polonia solo perché chi ha controllato il suo documento si è concentrato sulla fotografia e non ha badato all’indicazione del genere, dove campeggiava la lettera M.

Il caso di Judis Andersen

La sera di mercoledì 30 marzo, nelle case di molti italiani è entrata una di queste storie.

Sì, perché durante la trasmissione di RaiTre Che succ3de? del 31 marzo scorso (giornata internazionale della visibilità transgender), la conduttrice Geppi Cucciari ha intervistato Judis Andersen. Judis è una pittrice ventiquattrenne di Leopoli che ha cercato di lasciare l’Ucraina, ma è stata respinta al confine con la Polonia. E così, adesso molto probabilmente sarà chiamata a imbracciare le armi.

Judis Andersen ha commentato: “Ho paura che mi chiamino a combattere, ma ho tantissimi problemi psicologici e fisici. Non penso di essere in grado di andare a combattere e non penso che io debba ammazzare qualcuno. Però non so come risolvere questo problema”.

Le parole di Alessandro Zan

Interviene sulla delicata situazione Alessandro Zan, deputato del Pd e relatore del disegno di legge contro le discriminazioni di genere che prende il suo nome.

Intervistato da Adnkronos, Zan ha detto: “Siamo di fronte una palese violazione dei diritti umani. Dobbiamo cercare di fare di tutto per queste persone, perché siano messe nelle condizioni di varcare il confine e vivere senza essere perseguitate.”

E ancora: “Le donne trans non si ‘sentono’ donne, sono donne. Bisogna uscire da questo equivoco che è stato volgarmente strumentalizzato anche in Italia a proposito del tema dell’identità di genere.

Sono in contatto con la Farnesina per capire se c’è la possibilità che l’Italia possa interloquire con le autorità ucraine per favorire corridoi umanitari per queste persone che sono in condizione di sofferenza e disagio per la guerra. In quanto donne, non possono essere obbligate a rimanere.”

Il deputato conclude così: “Sto poi cercando, anche con le associazioni italiane, di mettermi in contatto con le associazioni Lgbtq ucraine, anche se sono davvero poche. Ci sono anche episodi di discriminazione al confine, dove queste persone vengono spogliate e umiliate Questo è un dramma nel dramma della guerra.”

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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